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2. I FIGLI NELLA FAMIGLIA NELLE SOCIETÀ TRADIZIONALI

2.1. FECONDITÀ E FIGLI NELLE STRATEGIE FAMILIARI

Per molti secoli la fecondità e il numero dei figli per famiglia sono stati affidati

essenzialmente a due regolatori, per così dire, esterni: al regolatore “naturale” della – dei

mortalità

figli, ma pure delle madri – e al regolatore sociale dell’età Un’età relativamente

al matrimonio.

alta, comunque distante da quella dell’inizio fisiologico della fecondità femminile (a sua volta

mediamente più alta, dato che il menarca avveniva attorno ai 14 anni, di quella contemporanea, in

cui l’età media al menarca è più vicina ai 12), riducendo il rischio di esposizione alla gravidanza

abbassava il numero dei figli nati a ciascuna donna/a ciascuna famiglia. Il controllo sociale si

incaricava di abbassare il numero dei figli illegittimi.

La diffusione della mortalità femminile per parto, o comunque per motivi collegati alle

gravidanze – una causa mi mortalità che ha iniziato a scomparire solo nell’Ottocento, col lento

miglioramento dell’alimentazione, dell’igiene e dell’asepsi, e infine pure con la riduzione delle

gravidanze – contribuiva a ridurre ulteriormente l’arco di fecondità possibile delle donne.

L’elevata mortalità infantile nei primi anni di vita, quando non appena nati, d’altra parte,

riduceva ulteriormente il numero dei L’esperienza costante della morte, cui si è già

figli effettivi.

accennato nel capitolo 1, riguardava in larga misura la morte dei bambini piccoli: le pratiche

terapeutico-scaramantiche (frizioni, amuleti, riti propiziatori ecc) di cui è rimasta traccia nel

folklore, testimoniano di questa ovvia e temuta possibilità della morte infantile [Loux 1978].

Il diario del medico di colui che sarebbe diventato Luigi XIII, re di Francia, cui si sono ispirati

Ariès [1968] e Hunt [1971], mostra come questo rischio di morte non rispettasse privilegi di ceto:

pure il piccolo Luigi rischiò di morire appena nato, perché le diverse balie cercate per lui non

avevano abbastanza latte. Con una matematica biologica drammatica, si può dire che ogni famiglia

(o meglio ogni donna) faceva il doppio dei figli che effettivamente sopravvivevano; o che per ogni

figlio che giungeva all’età adulta ce n’era almeno un altro che non ce l’aveva fatta e di cui quello

che sopravviveva spesso portava il nome. Tasso di fecondità e numero di figli viventi per famiglia

non coincidevano in una misura oggi impensabile.

Questa alta mortalità infantile ha fatto pensare a qualche studioso che i genitori, e in

particolare le madri, quasi come forma di autodifesa istintiva, non investissero effettivamente molto

nei bambini piccoli [ad esempio Stone 1983] e che l’amore materno fosse scarso o inesistente [ad

esempio Shorter 1978; Badinter 1981]. Si tratta di ipotesi che, dopo una breve fortuna, sono state

criticate sul piano metodologico, relativo agli indicatori usati per misurare la presenza o meno di

affetto materno, e sul piano di merito [cfr. Barbagli 1984, 366-392]. Come ha osservato ad esempio

Françoise Loux [1978], proprio le pratiche di cura e allevamento tradizionali, che oggi talvolta

sembrano barbare e poco attente – dalle fasciature strette all’uso di impiastri di dubbia fattura, ad

104

esempio – in realtà rivelano una forte preoccupazione di protezione rispetto agli azzardi di una

morte che appare colpire casualmente e al di fuori di ogni possibilità di controllo.

Accanto alla regolazione dell’intervallo tra inizio della fecondità fisiologica e matrimonio e

agli effetti della mortalità, esistevano pure altre forme di regolazione: dagli prolungati

allattamenti

che, nelle condizioni alimentari e di salute di un tempo, provocavano temporanea sterilità nella

donna, all’uso di non avere durante il periodo di allattamento, fino all’aborto.

rapporti sessuali 16

Non si può perciò dire che nel passato la fecondità fosse completamente incontrollata .

Il fatto, inoltre, che essa fosse più alta dell’attuale non dipendeva solo dalla mancanza di strumenti

efficaci per ridurre il numero dei nati e per garantire la loro sopravvivenza. Dipendeva pure da un

modello culturale e familiare in cui i figli, molti figli, erano un bene, una risorsa: non solo dal punto

di vista della continuità delle generazioni, ma pure da quello della sopravvivenza dei singoli.

Pure nella famiglia più povera, in cui il delicato equilibrio tra risorse e bisogni era più esposto al

i figli prima o poi divenivano una risorsa. Ciò è vero tuttora in molti

rischio di sbilanciamento,

Paesi in via di sviluppo. Quello che oggi è chiamato è stato a lungo una risorsa

lavoro minorile,

familiare importante e legittima: come forza lavoro nell’impresa familiare, agricola, artigianale o di

piccolo commercio, o come forza lavoro da spendere e scambiare in cambio di danaro o altro.

I resoconti di storia sociale sono affollati di bambini che lavorano fin dalla più tenera età: dai

bambini inglesi di quattro-cinque anni che pigiano l’uva nelle tinozze appoggiandosi a una sedia per

non scivolare dentro e annegare, alle piccole merlettaie le cui dita minute consentono lavori

impossibili a mani più adulte [Pinchbeck e Hewitt 1969-1973], ai bambini pastori delle campagne

francesi [Shorter 1978; Flandrin 1976]. Se ne trova traccia ancora nelle storie di vita raccolte da

Revelli [1977] tra i vecchi delle campagne delle campagne piemontesi; e talvolta emerge come

“residuo scandaloso” in alcune storie contemporanee che non coinvolgono solo migranti.

Si potrebbe dire che il permanere del lavoro minorile, non solo nelle campagne, ma nell’edilizia e

nel terziario di servizio (ragazzi di bottega, aiutanti nei bar ecc.), costituisca una forma di

prolungamento/adattamento di questa tradizione che vede i figli, pure piccoli, come risorsa

come partecipanti alla comune impresa di sopravvivenza, e perciò come potenzialmente

familiare, 17

sfruttabili dalla famiglia, dai genitori . La sopravvivenza di atteggiamenti e pratiche di questo

genere [si veda ad esempio Saraceno e Rusconi 2006] provoca oggi disagio e scandalo perché è

appunto mutato il posto del bambino nell’ordine simbolico familiare e nell’economia domestica.

16 In nessuna società esiste una fecondità naturale pura. Forme di regolazione diretta o indiretta si danno pure in culture

extraoccidentali a fecondità elevata, tramite aborti, tramite forme di astensione rituali, motivate religiosamente, per certi

periodi dell’anno o della vita; tramite forme matrimoniali come la poligamia che, se aumentano la fecondità potenziale

di un uomo, riducono quella delle donne (cfr. ad esempio lo studio comparativo di Goode [1982]). Non va inoltre

dimenticato che la regolazione della fecondità non necessariamente assume la forma del contenimento.

L’incentivazione alla natalità durante il fascismo rappresenta una forma di tentativo di regolazione in senso opposto, a

livello macrosociale. E le cure contro la sterilità rappresentano una forma di regolazione individuale “alla rovescia”

17 Nella storia della scuola italiana agli inizi del secolo, Bretoni Jovine [1963] mostra la resistenza delle famiglie

agricole e povere di fronte all’obbligo scolastico che sottraeva i ragazzi all’affitto stagionale come pastorelli, o anche al

lavoro in miniera. Lo stato a lungo ha concesso deroghe all’obbligo, o non si è preoccupato che fosse rispettato. 105

Quando si analizza il ciclo della emerge chiaro il paradosso della

famiglia-unità produttiva

posizione dei figli nell’economia familiare del passato: costo alimentare, causa di riduzione (per

quanto limitata) delle prestazioni lavorative della madre, rischio di morte per la stessa madre,

azzardo senza molte garanzie di riuscita, rischio di sbilanciamento pure nel futuro dell’equilibrio

familiare tra risorse e bisogni (se più figli sopravvivono rispetto alle risorse, ma pure in termini di

eredità e di dote), e tuttavia pure garanzia di sopravvivenza collettiva, ammortizzatore dei rischi

economici, serbatoio flessibile da cui attingere forza lavoro, o da spendere all’esterno. Pure le

analisi degli storici [Laslett 1977b; Barbagli 1984, 50-50, 216-238] sulla presenza di nella

servi

famiglia contadina e sull’esperienza della condizione di servitore lungo il ciclo di vita individuale,

mostrano questa elasticità e questa doppia faccia della posizione dei figli nella famiglia produttiva:

i servi sono in larga misura figli “in eccesso” che le famiglie si scambiano lungo il corso di vita,

assumendone quando i propri figli sono troppo piccoli, cedendone – e traendone un vantaggio

economico sotto forma di mantenimento e salario – quando i figli grandi sono troppo numerosi.

Paradossalmente è nelle famiglie aristocratiche e possidenti che i figli potevano rappresentare

più visibilmente un costo, nella misura in cui solo eredità e dote potevano garantire loro un futuro

adeguato. Si è visto come le famiglie fronteggiassero questo rischio controllando e riducendo il

numero dei figli ammessi all’eredità (o alla dote), e perciò al matrimonio. Ciò suggerisce pure che

l’idea dell’uguaglianza dei diritti nella famiglia, che oggi sembra così ovvia, fosse sconosciuta

come principio legittimo almeno in taluni periodi e circostanze del passato (a prescindere dai

desideri e aspettative individuali, dei genitori come dei figli/e) – epoche e circostanze in cui

vigevano, al contrario, principi di più o meno forzata solidarietà collettiva e interesse comune,

fondati su salde di potere e di precedenze.

gerarchie 2.2. FIGLI E FIGLIE

Parlare di figli senza ulteriori differenziazioni rischia in effetti di dare una visione statica e

omogenea dell’esperienza di essere figli pure all’interno della stessa famiglia, ieri come oggi: come

se non ci fosse differenza rispetto all’età e al sesso.

A prescindere dalla diversa posizione di maschi e femmine nelle strategie matrimoniali, figli e

figlie venivano precocemente inseriti in per quanto interdipendenti, tramite la

mondi differenziati

divisione del lavoro, delle competenze, dei comportamenti legittimi, dei saperi. Il mondo

apparentemente poco differenziato e articolato delle società preindustriali, urbane e, soprattutto,

rurali, aveva nella distinzione materiale e simbolica dei sessi uno dei suoi più potenti ordinatori.

I bambini erano immessi molto giovani in questo mondo, iniziando percorsi di vita materialmente e

simbolicamente molto più differenziati di quelli contemporanei: tra maschi e femmine così c

Dettagli
A.A. 2013-2014
241 pagine
9 download
SSD Scienze politiche e sociali SPS/08 Sociologia dei processi culturali e comunicativi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher miservonoriassunti di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia della famiglia e politiche sociali e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università del Salento o del prof Mancarella Maria.