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Tristezza del pensiero
Shelling, insieme ad altri autori annette all’esistenza umana una profonda tristezza fondamentale, inevitabile. Su questa tristezza si radicano la consapevolezza e la conoscenza, questa pesantezza è anche creativa. Non sappiamo cosa sia esattamente il pensiero, quando tentiamo di pensare il pensiero l’oggetto della nostra indagine è interiorizzato e disseminato nel momento stesso in cui lo facciamo. Non è affatto chiaro se si possa trattenere il pensiero, certi mistici hanno mirato al vuoto, ma questo nulla è comunque carico di una paradossalità filosofica. La vera cessazione del pensiero è la morte.
- Per quanto siamo coscienti non possiamo pensare il pensare, il pensiero è limitato. Quello che si trova al di là del pensiero è impensabile.
Gli esperimenti mentali (come la poesia e le ipotesi scientifiche) non conoscono limiti, eppure il monosillabo "sia", indica la licenza arbitraria.
dell'illimitatezza del pensiero. L'infinità del pensiero è il marcatore essenziale: il pensiero consente all'uomo il dominio sulla natura e su se stesso. Questa infinità però è incompleta. È soggetta ad una contraddizione interna che non ammette soluzione: non sapremo mai qual è l'estensione del pensiero rispetto al reale. Non sappiamo se quello che ci sembra senza limiti sia in realtà limitato. 2. Il pensiero è incontrollato, anche durante il sonno la corrente scorre. Può originarsi a profondità psicologiche che vanno ben oltre la portata dell'introspezione. Probabilmente è un fenomeno prelinguistico: rinchiusi nella prigione del linguaggio non arriviamo mai ad una nozione plausibile "traducibile" di ciò che potrebbe essere il pensiero non detto o indicibile. Anche i livelli inconsci esplorati dalla psicanalisi sono superficiali. Inoltre il corso dei pensieri.è interroto da stimoli ambientali. È possibile pensare rettamente solo al prezzo di una concentrazione esercitata. C’è comunque una documentazione che fa pensare che le concentrazioni eccessive comportino sia un esaurimento temporaneo che un collasso di lunga durata, di qui l’ipotesi che l’indeggiamento involontario del pensiero sia una garanzia della conservazione delle risorse mentali.
3. Pensare ci rende presenti a noi stessi ed è l’ingrediente principale dell’identità personale. Niente e nessuno può penetrare i pensieri in modo verificabile, i pensieri possono essere nascosti, mascherati dalle espressioni esteriori. Eppure c’è un paradosso: questo nucleo della nostra singolarità è anche un luogo comune moltiplicato per miliardi. Benchè espressi in diverse forme lessicali i nostri pensieri sono un universale umano, infinitamente banali e scoloriti. Tutto questo è una conseguenza del
linguaggio fatto di assemblaggi combinatori di pezzi prefabbricati e di loro sezioni: le possibilità costruttive sono molteplici, ma anche ripetitive e limitate. Ne segue che la vera originalità del pensiero è estremamente rara. Non c'è modo di sapere se un pensiero apparentemente geniale non è mai stato pensato da qualcun altro anche se in forma meno adeguata, difettosa o magari solo come un "borbottio". Un nuovo atto di pensiero può essere organizzato solo laddove vi sia un riorientamento linguistico che in effetti è quello che tentano di fare i poeti o certe correnti artistiche come il Dada, ma i risultati spesso si sono rivelati banalità. Pensare è privato ed è nostro, ma è anche il più comune e ripetitivo degli atti e questa contraddizione non può essere risolta.
Non può esserci una verifica oggettiva della verità. I valori formali ed esistenziali sono
arbitrari. Persino le scienze sottendono paradigmi fluttuanti e suscettibili di revisione o di scarto. Quando pensiamo alla verità, automaticamente il nostro pensiero la relativizza. Al meglio il pensiero generale finzioni supreme come i dogmi. Inoltre quando pensiamo alla verità, il linguaggio che contiene il pensiero satura e si ribella, è saturo.