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A RODUZIONE DELLA ULTURA
!
- L’industria culturale!
Dato che la nostra società è basata su un’economia di mercato e sulla produzione
industriale dei beni di consumo, la produzione di beni culturali rientra nell’organizzazione
capitalistica, in quanto merce, perché le persone possono acquistare una crescente
quantità di beni di consumo, e anche la produzione di oggetti che incorporano simboli,
credenze e valori estetici diventa un settore merceologico specifico. Inoltre, le innovazioni
tecnologiche - come l’invenzione della stampa - modificano la struttura di prodotto
culturale. Al giorno d’oggi, poi, anche la formazione dell’individuo è regolata
dall’esposizione a messaggi veicolati dall’industria culturale. !
Considerare la cultura SOLO l’insieme dei prodotti “nobili” dell’uomo limita la
comprensione della cultura in sé, privilegiandone una di tipo “alto”, a scapito di altre forme
di cultura nel nostro mondo contemporaneo. !
Se la cultura si è trasformata anche in “industria culturale”, allora chi ne usufruisce sarà,
verosimilmente, un “consumatore” culturale. Crescono i numeri delle persone che possono
“consumare” cultura, e crescono anche i mezzi di comunicazione con i quali questa viene
distribuita. Questi mezzi, tuttavia, non distribuiscono e basta: possono anche modificarne
le caratteristiche.
Nella produzione industriale in campo artistico prevale la serialità (riproducibilità) rispetto
all’unicità, sebbene siamo propensi ad ammettere che le opere del passato abbiano un
valore più “alto” proprio perché non riproducibili (mentre invece la merce odierna nasce già
con l’intenzione di essere riprodotta). E tuttavia, oggigiorno fruiamo di opere del passato
nello stesso “formato” che ci permette di consumare la “cultura di massa”. !
!
- La mediatizzazione della cultura!
Nella metà del XV (1400) secolo, Gutenberg, orafo di Magonza, mise a punto un nuovo
sistema, rimasto inalterato nei tre secoli successivi, per la riproduzione dei testi (stampa a
caratteri mobili). La sua invenzione provoca la diffusione di libri e testi prima appannaggio
esclusivi di pochi eletti, gettando le premesse per la creazione di un mercato per la
circolazione del libro. “Rivoluzione inavvertita” (E. Eisenstein). Tra le cause del mondo
moderno, vi è sicuramente la diffusione del libro, che si aggiunge a fattori economici e
strutturali (avvento della produzione e industria capitalistica, urbanizzazione, ascesa della
borghesia e consolidarsi dello Stato-Nazione). !
La diffusione dei testi sacri favorì una maggiore autonomia individuale nell’ambito della
teologia e contribuì alla stessa Riforma Protestante. La diffusione del libro a stampa fu
quindi colpevole della prima disgregazione della cristianità, accompagnata da fenomeni di
pluralismo religioso e secolarizzazione. Se, come dice Weber, il protestantesimo ha di
molto favorito l’avvento del mondo moderno, la diffusione del libro ha favorito l’avvento del
protestantesimo. Nonostante la censura della Chiesa, il libro si impone come primo mezzo
20
di mediatizzazione della cultura. Successivamente al libro, fu la stampa periodica a
favorire lo sviluppo di una nuova classe borghese (nei caffè francesi si discuteva delle
notizie dei giornali). Nasce l’opinione pubblica borghese. !
J. Habermas studia l’opinione pubblica, e distingue l’opinione pubblica del passato, più
“critica”, da quella del presente, che egli sostiene sia stata sostituita al consumo di cultura.
Secondo lui, gli individui non ragionano più per farsi un’opinione, ma sono vittime della
“costruzione del consenso”, di una strategia finalizzata all’educazione dei “consumatori”. !
J. B. Thompson sostiene che questa tesi sia ingiusta nei confronti dei fruitori, perché li
rende troppo passivi e manipolabili. !
La critica habermasiana si inserisce nel contesto della Scuola di Francoforte. Di
derivazione marxista, i suoi esponenti (M. Horkheimer e T. Adorno in particolare) nei
primi anni del secondo dopoguerra hanno sostenuto la “teoria critica” della società e
dell’industria culturale. Secondo Marx, l’ideologia borghese ottocentesca creava “falsa
coscienza”; analogamente, Horkheimer e Adorno credono che la produzione culturale
“corrompa” gli individui, riducendoli a consumatori, e li allontana da quelli che sono i loro
reali bisogni. I mezzi di comunicazione diffondono modelli e valori fittizi e
conformisti, che assicurano il consenso e la passività delle masse. !
H. Marcuse, altro nome della Scuola di Francoforte, sostiene che il consumatore sia un
soggetto dell’alienazione, che viene inghiottito dalla sua esistenza alienata. Le tesi della
Scuola di Francoforte sono state molto importanti per la metà del Novecento ma, sebbene
sia vero che anche i moderni mezzi di comunicazione di massa si avvalgano di strategie di
persuasione e di condizionamento dei consumatori, è anche vero che le tesi della Scuola
di Francoforte sono eccessivamente negative e radicate in una concezione della società
moderna discutibile. Il loro pessimismo si colloca nell’ambito delle visioni apocalittiche
dell’industria culturale. Nel 1964 U. Eco ha associato, alla figura dell’apocalittico, quella
dell’integrato, il quale prevede invece un progresso nell’allargamento della base sociale
dei fruitori di cultura. Apocalittici e integrati vanno considerati come due estremi, che si
riferiscono a due opposti giudizi sulla cultura di massa. !
!
- Consumi culturali e tempo libero!
La cultura di massa è legata alla crescita del tempo libero nelle società moderne. Si
inserisce quindi all’interno di uno spazio non-lavorativo, Il lavoro è un’attività strumentale -
e per quanto possa portare gratificazioni, strumentale rimane; in questo caso, l’individuo
ricerca significato e se stesso all’interno del suo spazio sociale privato, un concetto
assente nelle precedenti epoche storiche. Il tempo libero quindi serve a controbilanciare le
limitazioni che la sfera lavorativa impone al comportamento sociale. !
La possibilità di consumare beni soddisfa un bisogno di senso che va oltre la semplice
sopravvivenza. Metà delle cose che possediamo, anche prodotti di cultura, sono superflui,
ma hanno significato sociale. Anche i beni più concreti a volte non si limitano a soddisfare
un bisogno primario: servono a definire uno status (consumo ostentativo) o possono
aiutare a veicolare un particolare messaggio di identità o appartenenza (abbigliamento
particolare).! 21
Il godimento di un bene permette di collare quel sentimento di insoddisfazione
personale che rientra tra gli stati emotivi più diffusi nell’ambito della vita lavorativa. !
A seconda delle proprie disponibilità, tutti siamo liberi di scegliere e decidere cosa
acquistare, nonostante le strategie di persuasione messe in atto dai produttori, e spesso le
nostre scelte sono finalizzate alla definizione personale, e non necessariamente
all’omologazione.!
L’industria dello spettacolo non “copre” solo il tempo libero degli individui, ma costituisce
una sfera della vita sociale, all’interno della quale l’individuo può recepire stimoli, valori e
modelli di identificazione. Indipendentemente da quanto sia frivolo o no un contenuto, il
livello culturale non tocca necessariamente il mezzo attraverso il quale viene diffusa. !
L’industria culturale è depositaria dell’immaginario collettivo, un complesso di simboli
e modelli in grado di autorappresentare una cultura. !
Secondo E. Morin, l’immaginario collettivo è organizzato intorno ad archetipi (< gr.
ἀρχέτυπον, primo esemplare, modello), modelli-guida, che ritroviamo nei romanzi o nei
miti. Se la creazione artistica produce archetipi, l’industria culturale ne snatura l’originalità
e li rende stereotipi (< gr. στερεο + τύπος = immagine rigida, visione semplificata). Così i
consumatori sono sempre alla ricerca di novità, ma la vera novità potrebbe sconvolgerli;
per questo i prodotti dell’industria culturale sono la mediazione tra l’innovazione e la
standardizzazione (la musica “rock” non ha mai cambiato struttura di base, eppure
riusciamo a rinvenire nel rock momenti di rinnovazione. I Beatles hanno rinnovato un
repertorio del decennio precedente, ma hanno comunque “rotto” con la tradizione e creato
una novità). Il paradosso tra innovazione e standardizzazione (nuovo ma non troppo) è
alla base di vari generi della produzione culturale. !
A prescindere dall’indubbio condizionamento dei media, al giorno d’oggi parlare di
semplice “massificazione” dei consumi culturali è inadeguato. L’espressione “cultura di
massa” non indica, come invece saremmo inizialmente portati a pensare, un appiattimento
e un’omologazione. In realtà, si tratta più di una moltiplicazione degli ambiti di produzione
e consumo culturali: a fianco della tv generalista si è imposta la tv tematica, attraverso la
quale lo spettatore può costruire un palinsesto sulla base dei propri reali interessi, atto a
soddisfare la propria domanda. Lo spettatore passa dall’essere anonimo e passivo, a
decidere da solo il proprio palinsesto. L’innovazione tecnologica in campo informatico,
ancora, ha permesso al fruitore una multimedialità e un’interattività che non erano
pensabili. Internet ha modificato il flusso di informazioni, rendendolo bidirezionale o
interattivo, mentre prima era unidirezionale. Secondo Abruzzese e Borrelli, con la
transizione dai linguaggi della società di massa ai linguaggi cybernetici, è più corretto
parlare di tecnologia culturale piuttosto che di industria culturale. !
!
- Cultura e comunicazione !
M. McLuhan, nel 1964, ha affermato che i mezzi di comunicazione hanno ridotto “il blogo
a poco più che un villaggio”. Il processo di globalizzazione, quindi, nella maggior parte dei
casi, viene visto come una diretta conseguenza della crescita delle reti di comunicazione.
“informazione” e “comunicazione” però non devono essere viste come sinonimi, e non
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vanno certo considerate intercambiabili; bisogna operare una distinzione tra la teoria
dell’informazione e quella della comunicazione in senso stretto. !
Shannon e Weaver hanno detto che è comunicazione la trasmissione di informazioni da
parte di una “sorgente” nei