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Joris Karl Huysmans o il Dorian Gray di Oscar Wilde che, seguendo la tradizione di
famiglia, ricerca il bello e disprezza il mondo borghese, conduce una vita eccezionale,
«costruisce» la sua vita come un'opera d’arte e rifiuta le regole basilari del vivere morale e
sociale. La sua sensibilità straordinaria implica, però, una certa corruzione, che fa parte della
ideologia e psicologia del dandy, e che in parte è dovuta allo stile di vita dell’alta società del
tempo. Andrea Sperelli vive tutto ciò con intima sofferenza, a causa della degradazione di
quella forza morale che, secondo gli insegnamenti del padre, è necessaria a uno spirito forte
per dominare le proprie debolezze. Questo suo atteggiamento ha, dunque, una ragione più
profonda. Sperelli ha vissuto la separazione dei genitori, la madre ha anteposto l'amante al
figlio e il padre lo ha spinto verso l'arte, l'estetica e gli amori e le avventure facili. Andrea è,
d’altronde, segnato nel suo intimo da una duplicità, che è il cuore stesso del romanzo: di fronte
alla precarietà e instabilità del reale, anche il carattere del protagonista risulterà mutevole e
cangiante. Egli è abituato a scindersi tra ciò che è e ciò che deve apparire, pensa che la vita sia
artificio, e per questo motivo fonda la sua esistenza sulla doppiezza e sulla menzogna. Ma
proprio questo atteggiamento sarà la causa della sua sconfitta intellettuale, morale e
sentimentale. Abituato a considerare solo il valore simbolico e non quello fattuale delle cose, a
«metaforizzare il reale», Andrea finisce per essere travolto dalla sovrapposizione di realtà e
finzione, rappresentata dalla sovrapposizione delle due donne, Elena e Maria. Questo
personaggio, che è tipico della letteratura decadente e simbolista, segue l’ideologia
dannunziana, non solo per quello che concerne l’estetismo, ma soprattutto perché denuncia la
crisi dei valori e degli ideali aristocratici di fronte alla meschinità del mondo borghese. Il
protagonista e il narratore. Una certa ambiguità è ravvisabile anche nell’atteggiamento che
l’autorenarratore D’Annunzio ha nei confronti del suo personaggio. Se non è possibile dire,
semplicisticamente, che Andrea Sperelli sia l'alter ego del poeta, è però senz'altro vero che è
una proiezione idealizzata di se stesso: Andrea è ciò che D’Annunzio è e che vorrebbe essere,
impersona le sue esperienze effettive e quelle aspirate, è nobile e ricco, intellettuale e
seduttore, timido come Cherubino cinico come Don Giovanni, accede facilmente ai ritrovi
mondani e ai salotti della nobiltà. In più, quasi a saldare questo legame, D'Annunzio pone se
stesso tra gli artisti prediletti dal giovane dandy. Da un lato, quindi, Andrea Sperelli è un
ritratto del D'Annunzioautore, ma dall'altro egli è oggetto di critiche da parte del narratore,
che ne condanna il cinismo e la perversione. La sua debolezza morale e la grandiosità delle
sue opere, unite insieme, conferiscono fascino al personaggio e rimarcano, ancora una volta, la
duplicità e l'ambiguità insite in lui: cinico e sensibile, falso eppure sentimentale, egoista ma
anche amorevole, Andrea Sperelli si erge per le sue doti di esteta e artista, e allo stesso tempo
decade, si decompone, rivelandosi insieme un inetto e un superuomo ante tempum.
Incipit Il piacere. L’incipit del romanzo presenta subito la figura dell’esteta
Sperelli, concedendo largo spazio al gusto descrittivistico ed altamente evocativo della prosa
dannunziana, che coglie l’occasione per un quadro scenografico d’impatto. Alla sequenza di
ben quattro aggettivi (“velato, mollissimo, aureo, quasi primaverile”) per dare l’idea del
“tepor” che attenua i contorni delle cose, segue l’itinerario, finemente studiato, che per i
luoghisimbolo della Capitale ci conduce fino all’esclusiva residenza (ovviamente, in un
quartiere alla “moda”) di Andrea, il palazzo Zuccari. Alle sensazioni visive si sommano quelle
olfattive, mentre il gusto raffinato dello Sperelli è confermato dalla prima delle moltissime
citazioni esplicite di beni, merci ed oggetti d’arte che si susseguono nel Piacere (“certe coppe
di cristallo [...] in guisa d’un giglio adamantino, a similitudine di quelle che sorgon dietro la
Vergine tondo di Sandro Botticelli alla galleria Borghese”). Lo scenario prepara l’ingresso in
scena del protagonista, che “aspettava nelle sue stanze un’amante”, ovvero quella Elena Muti
che non vede da tempo; e anche qui D’Annunzio si concede un’altra descrizione (statica e
dettagliata) della camera dover avrà luogo il solenne incontro: Alla sequenza di ben quattro
aggettivi (“velato, mollissimo, aureo, quasi primaverile”) per dare l’idea del “tepor” che
attenua i contorni delle cose, segue l’itinerario, finemente studiato, che per i luoghisimbolo
della Capitale ci conduce fino all’esclusiva residenza (ovviamente, in un quartiere alla
“moda”) di Andrea, il palazzo Zuccari. Alle sensazioni visive si sommano quelle olfattive (“Le
stanze andavansi empiendo a poco a poco del profumo ch’esalavan ne’ vasi i fiori freschi”),
mentre il gusto raffinato dello Sperelli è confermato dalla prima delle moltissime citazioni
esplicite di beni, merci ed oggetti d’arte che si susseguono nel Piacere (“certe coppe di
cristallo [...] in guisa d’un giglio adamantino, a similitudine di quelle che sorgon dietro la
Vergine tondo di Sandro Botticelli alla galleria Borghese”). Lo scenario prepara l’ingresso in
scena del protagonista, che “aspettava nelle sue stanze un’amante”, ovvero quella Elena Muti
che non vede da tempo; e anche qui D’Annunzio si concede un’altra descrizione (statica e
dettagliata) della camera dover avrà luogo il solenne incontro. È nell’“ansia dell’aspettazione”
che la memoria di Andrea va al “venticinque di marzo del mille ottocento ottanta cinque, fuori
della Porta Pia, in una carrozza”, data e luogo dell’ultima volta che egli ha visto Elena. La
“lucidezza infallibile” dell’evocazione si congiunge all’attesa spasmodica e piena di desiderio
per il nuovo appuntamento. Sono proprio le superiori risorse percettive del protagonista
principale, con cui la voce narrante è sempre solidale, a presentarci il sottile e masochistico
tormento amoroso, di tipico gusto decadente, che pervade l’intero primo capitolo. E si capisce
pure come D’Annunzio, attraverso Sperelli, stia fornendo da subito le coordinate di quello che
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sarà un fortunato e duraturo legame d’intesa con il pubblico borghese, stregato dai modi del
“vivere inimitabile” del Vate e delle sue creazioni letterarie.
3. Primo Novecento
Inasprimento conflitti imperialistici e corsa agli armamenti che portano Europa verso
prima guerra mondiale. Rivoluzione sovietica (1917) da cui nasce URSS a dittatura
comunista lacera società europea tra chi avverte in essa minaccia per la civiltà e chi la
vede come una speranza. Grande crisi economica del 1929 fa avvertire precarietà dello
sviluppo e alimenti presagi di catastrofe. Sconfitta della democrazia prima in Italia con
dittatura fascista (1922) poi in Germania con nazismo (1933) e in Spagna nel 1939 dopo
sanguinosa guerra civile. Perdita della centralità mondiale dell’Europa. Ottimismo
progressista ottocentesco travolto, sviluppo tecnico però continua a ritmo accelerato
rivoluzionando vita di milioni di persone (telefono, automobile). Comparsa mezzi
comunicazione di massa elettrici (cinema, radio), diffusione sport professionistico
(creazione nuovi miti popolari). Carattere di massa della civiltà del Novecento: aumento
numerico popolazioni e addensarsi nelle grandi metropoli, perdita importanza culture
locali a vantaggio uniformità internazionale (americanismo), uniformità abitudini,
valori, comportamenti (=perdita autonomia individuale). Intervento degli stati nella vita
della società (oppressione dissenso, organizzazione vita delle masse, partecipazione a
grandi riti collettivi come sfilate, svaghi pubblici, adunate politiche).
1.2 Letteratura
La letteratura del Novecento vive in un confronto obbligato con la civiltà di massa,
che è quasi sempre polemico: vita moderna appare negazioni di valori di gusto, finezza
intellettuale, profondità interiore di cui il letterato si sente portatore. Nemico più
insidioso il cinema, il nuovo svago di massa che sottrae alla letteratura di fornire al
grande pubblico l’alimento all’immaginazione, i miti e i valori in cui rispecchiarsi.
Molti letterati tentano di collaborare con la nuova arte (Verga, D’Annunzio, Pirandello)
ma si trovano in difficoltà di fronte al carattere di industria culturale: per la prima volta
un prodotto di tipo artigianale è il risultato di organizzato, in cui si perde il senso della
creazione individuale. Si approfondisce solco tra letteratura alta e bassa. Romanzo
popolare risente delle nuove abitudini introdotte dal pubblico del cinema: taglio più
breve, narrazione più rapida, dialogo e azione prevalgono si descrizione minuta
ottocentesca. Si accentua carattere internazionale della letteratura. Fino a 1950 Parigi è
il cuore mondiale della cultura e dell’arte.
Avanguardie (futurismo, dadaismo, surrealismo). FUTURISMO. Segno più vistoso
del mutato rapporto tra arte e società sono le avanguardie artistiche e letterarie nel
secondo e terzo decennio del secolo. Termine deriva da linguaggio militare: le
avanguardie si spingono avanti nell’esplorazione di territori sconosciuti. Caratteristica:
si presentano alla scena come gruppo organizzato, identificato da nome (un “ismo”)
con un proprio testo programmato (un “manifesto”) e con proprie riviste. Coltivano
spesso insieme letteratura, teatro, arti figurative, musica, cinema, creando originali
mescolanze tra le diverse arti. Rifiuto delle tradizioni, sperimentazione nuove forme
come un valore in sé, rifiuto della riduzione dell’arte a merce ma in modo
contradditorio sentono bisogno di imporsi all’attenzione di quel pubblico che
disprezzano (atteggiamenti provocatori, intento di scandalizzare e fare chiasso).
Polemica antiborghese in nome della spontaneità creativa (istinto, irrazionale, vitalità
contrapposti a razionalità meccanica della società moderna). Non riguarda solo le arti
ma anche il costume e la morale (“cambiare vita”), per questo spesso si pongono sul
terreno politico (in Italia adesione al fasci