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La dittatura di Silla e le riforme Sillane
Sallustio dice di Silla:
“Ebbe un ingegno il più profondamente simulatore che immaginare si possa; fu il più fortunato
degli uomini ma la sua attività non fu mai inferiore alla fortuna”
Le traumatiche crisi nelle relazioni con gli antiche alleati italici e il conseguente isolamento di
Roma trovarono, in quello stesso lasso di tempo, un pesante riscontro nello scenario dell’Oriente
ellenistico. In effetti, ancor nel corso della guerra Sociale e negli anni immediatamente successivi,
mentre già si riaccendevano i torbidi interni, con la lotta ormai incancrenitasi tra la fazione
aristocratica e quella popolare, un grave segnale di crisi si era avuto in quella parte dell’impero da
poco soggiogata. Un potente sovrano ellenistico , Mitride, re del Ponto, provocato da
un’avventurosa spedizione contro di lui da parte di un modesto esercito locale, guidato e
accompagnato da forze romane, dette ai piccoli staterelli ancora indipendenti ed alle numerose città
e popolazioni ormai assoggettate da Roma un pesante segnale di sollevazione contro il suo dominio.
Si trattava dell’invito a massacrare tutti i commercianti romani e italici che, forti di questo stesso
dominio , si erano sparsi in tutti i territori d’Oriente, coinvolti nello sfruttamento economico delle
province. La vasta adesione dell’ordine di eccidio e le dimensioni di questo attestano l’intensità
dell’odio antiromano nell’Oriente ellenistico.
Solo pienamente pacificata la penisola e sistemata la questione degli Italici si poteva far fronte a
questa nuova grave minaccia che rischiava di scatenare una colossale < guerra di liberazione > nella
parte del mondo mediterraneo più ricca di popolazione e di mezzi economici. Si pose allora il
problema del comando di questa importante campagna militare, assegnato a Lucio Cornelio Silla,
un brillante esponente del partito aristocratico che si era già messo in luce nella guerra Sociale. Fu
invero una designazione estorta con la forza dallo stesso Silla, alla testa delle legioni già da lui
arruolate per tali guerre d’oltremare. Ancora una volta si trattava di uno dei tanti episodi di
prevaricazione sugli antichi meccanismi istituzionali.
Si insisterà sul carattere illusorio delle vittorie di volta in volta conseguite dalle due fazioni e
sancite durante solo il breve momento della vittoria sul partito avversario. E tuttavia questo quasi
ossessivo richiamo alla legge sembra attestare il valore che, per la società romana, pur in mezzo a
violenze e illegalità di ogni sorta, continuava ad avere la forma giuridica, senza di cui non sembrava
possibile realizzare e consolidare nessuna vittoria politica. Delibere e leggi comiziali, tra loro
incompatibili e contraddittorie, appaiono susseguirsi rapidamente , in gran disordine, coerentemente
alla violenza e all’incertezza dello scontro. Nondimeno un punto significativo in cui tali vicende
normative cosneguirono effetti permanenti fu la liberalizzazione, perseguita dal partito popolare,
delle iscrizioni degli Italici nelle tribù territoriali, rafforzandone il ruolo nei comizi cittadini.
Contemporaneamente una continua serie di abusi e di violazioni contribuiva a erodere le istituzioni
repubblicane.
Colpisce in particolare l’uso politico di un insieme di processi : da un lato i procedimenti criminali
de maiestate avviati da parte popolare per eliminare o indebolire eminenti personalità di parte
aristocratica. Di contro la nobilitas riproponeva l’approvazione di un senatusconsultum ultimum per
spezzare la forza del partito popolare. A questi abusi si accompagnava, poi, non di rado il delitto
politico, in uno scontro senza più misura e regola.
Dall'età successiva alla guerra sociale, nell'anomalia di fondo fra ordinamento e istanze
partecipative, si intrecciano continuamente a Roma, in modo del tutto singolare, lotta politica, con
la sua normale pratica anche di politica amministrativa, e guerra civile.
Dopo il tentativo dei conservatori di limitare il peso dei nuovi cives Italici inserendoli in sole otto
tribù, P. Sulpicio Rufo, da tribuno della plebe nell'88, preso le loro parti sulla linea di quel gruppo di
oligarchi illuminati ( Licinio Crasso, Livio Druso, Lutazio Catulo, Aurelio Cotta ). Per trovare
sostegno dovette però lasciare del tutto il suo gruppo originario vicino ai Metelli e a Silla ( che
aveva sposato una Metella ) e rivolgersi piuttosto verso Mario e i cavalieri. Fece votare dunque
alcune leggi importanti che prevedevano : l'ascrizione dei nuovi cittadini, cui aggiunse anche i
libertini, in tutte le tribù; il richiamo di quanti erano stati con l'accusa di aver fomentato la rivolta
degli Italici; un limite di 2000 denari all'indebitamento dei senatori (pena l'espulsione dall'Ordo);
quindi la revoca della provincia della guerra mitridatica già affidata a Silla console e la sua
assegnazione a Mario. Quest'ultima fu la miccia dell'inizio della vera e propria guerra civile.
Silla, che era in partenza, prese un'iniziativa rivoluzionaria, creando il precedente che avrebbe
cambiato la storia di Roma. Con il suo esercito ormai di ploletari dopo l'esperienza mariana,
arruolati già per la guerra italica, e già legati essenzialmente al capo, magari essi stessi spinti
all'azione dal timore di perdere i bottini orientali, marciò su Roma e la conquistò militarmente.
Notevole che i suoi ufficiali (come tali invece non militari di professione, ma uomini in politica)
non lo seguirono ; l'inizio di una certa presa di distanza dell'aristocrazia tradizionale dal gesto.
Come ancora console Silla fece quindi abrogare , per qualche vizio rituale, le leggi sulpicie; mentre
Sulpicio fu assassinato da un suo schiavo, Mario e i suoi più stretti seguaci furono dichiarati nemici
pubblici ( Mario si rifugiò fra i suoi clienti in Africa ). Per evitare altre sortite popolari, Silla fece
votare una legge che prescriveva si potessero presentare proposte al popolo solo attraverso i comizi
centuriati ( che i tribuni della plebe non potevano convocare ) e che, comunque, tutte le proposte di
legge dovessero passare attraverso un'approvazione preventiva del Senato. Fatte svolgere quindi
regolarmente le elezioni consolari per l'87, partì per l'Oriente.
Fra i nuovi consoli c'era però Cornelio Cinna, ancora non schierato, ma persona assennata e aperta.
Egli fece reintegrare dal Senato le leggi sulpicie: venendo però allo scontro con il collega Gneo
Ottavio, ottimate, che lo fece dichiarare nemico pubblico. Cinna fu costretto a rifugiarsi in
Campania, mentre Mario tornava dall'Africa. Entrambi in armi, con eserciti arruolati o raccolti,
puntarono su Roma (seconda marcia), che fu presa questa volta in maniera non incruenta. Cinna
legalizzò quindi la posizione di Mario, con una legge che lo richiamava dall'esilio, e il vecchio
leader si abbandonò subito a una repressione feroce contro dei sillani.
Eletti entrambi consoli per l'86, fecero dichiarare, ora loro, Siila nemico pubblico. Mario morì poco
dopo; Cinna, che si fece eleggeredi nuovo console per l'85 e l'84, diede vita a un breve periodo di
dominio condotto con una politica democratica e di riappacificazione. Si crearono i censori per il
censimento dei nuovi cittadini nell'86-85 ( anche se, pare, essi furono assegnati a tutte le tribù solo
nell'84). Fu votata una legge che rimetteva tre quarti di tutti i debiti, mentre il pretore Mario
Gratidiano, con grande favore popolare, operava una riforma monetaria che salvaguardava il valore
del denario.
Silla intanto stava portando a termine con successo la campagna mitridatica e preparava il ritorno.
Sicchè Cinna pensò di preparare una flotta per fermarlo in Grecia, ma i suoi soldati nell'84, per
motivi oscuri, si ammutinarono e lo uccisero ad Ancona. Il Senato, nel suo legalismo, che pur lo
faceva oscillare con gli eventi, fu per la resistenza a Silla, che era intanto sbarcato a Brindisi nell'83
e qui era stato raggiunto da importanti seguaci come L. Marco Crasso e il giovane Gneo pompeo
con un esercito da lui arruolato (egli aveva ereditato le clientele militari dal padre Pompeo Strabone
con cui aveva combattuto nella guerra sociale). Questa volta si andò a un vero scontro armato che
coinvolse tutta l'Italia Centrale, dove vi erano ancora residui sanniti della guerra sociale. I consoli
dell'83 non furono in grado di fermare la marcia sillana; vi si opposero ancora i consoli dell'82, fra
cui il figlio di Mario, che fu però assediato a Preneste, mentre Silla entrava infine a Roma (terza
marcia). Le altre forze mariane , contando anche sull'aiuto dei Sanniti ostili a Silla, tentarono
un'ultima sortita verso la stessa Roma, ma furono sconfitte in un'asperrima battaglia a Porta Collina,
dove si distinse Crasso. Mario il Giovane a Preneste si suicidò. Lo scontroebbe ancora vari rigurgiti
per la resistenza di generali e governatori mariani, che dettero modo di far mettere in luce in Sicilia
ed Africa Pompeo che ebbe ora il titolo di Magnus.
Silla, che continuava ad agire con Imperium prorogato, padrone di Roma, promosse una grande
epurazione di oppositori – nemici della repubblica -- che si concentrò il liste di proscrizione, chiuse
poi nell'81. I proscritti potevano essere impunemente uccisi; i loro beni venivano confiscati; i figli e
i nipoti non avrebbero potuto intraprendere carriera politica: un feroce fenomeno anche di
rinnovamento del ceto dirigente e di una certa ridistribuzione della ricchezza. Sempre nell'82 quindi
l'interrex L.Valerio Flacco, nominato per la morte dei due consoli in battaglia, invece di aprire
nuove elezioni consolati, mosse una lex (lex valeria de Sulla dictatore) imposta ai comizi ormai
asserviti, che assegnava a Silla una dittatura legibus scribundis et rei publicae constituendae , non
tradizionale né nel conferimento, né nella finalità (di fatto, con pieni poteri non soggetti a
provocatio). . Il termine dictator, da lui assunto, ci riconduce alle origini stesse della repubblica, con
una figura che da tempo aveva perso la sua originaria rilevanza. Tuttavia il contenuto in termini di
poteri, l’indeterminatezza nella durata e l’estensione, la finalizzazione stessa mirante a una generale
< restaurazione > dell’ordine politico evidenziano immediatamente la radicale diversità della
costruzione sillana rispetto ai modelli del passato.
La legge di conferimento della dittatura rei publicae constituendae , una volta tanto, corrispondeva
pienamente al progetto sillano : il grande capo aristocratico restò in carica circa due anni. Al loro
scadere , malgrado nessun ostacolo si opponesse alla sua permanenza al vertice di Roma per il
restante periodo della sua vita ( e in questo senso si erano mossi i suoi seguaci e amici progettando
una estensione