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METODI DI SEQUENZIAMENTO

Maxam e Gilbert (metodo per degradazione chimica)

In questo metodo, il filamento di DNA da sequenziare deve essere purificato e marcato radioattivamente

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all’estremità 5’ di ciascun filamento con il P . Il campione di DNA da sequenziare viene denaturato in

presenza di DMSO (dimetil solfossido) e la soluzione viene portata a 90°C causando la denaturazione totale

della molecola. I due filamenti vengono quindi divisi mediante elettroforesi, si purifica un filamento dal gel

e si divide in quattro aliquote uguali, ciascuna delle quali viene trattata con dei reagenti chimici diversi che

ne causano la metilazione o la rottura in corrispondenza di basi specifiche (G, A+G, C, C+T).

Utilizzando i reagenti a basse concentrazioni si può fare in modo che i tagli non avvengano per ognuna delle

basi, ma più raramente (idealmente, solo una volta per copia di frammento di DNA): in questo modo viene

generata una serie di frammenti marcati (dalla fine della molecola al primo sito di taglio della stessa) di

dimensione specifica i quali vengono fatti correre su gel di poliacrilammide-urea per separarli in base alla

dimensione. A corsa ultimata il gel viene posto a contatto con una pellicola radiografica sulla quale lascia

impressa la disposizione delle bande che riporterà i frammenti generati tramite i quali è possibile

determinare l'ordine dei nucleotidi e quindi la sequenza di partenza.

Sequenziamento di Sanger (metodo a terminazione di catena)

Il metodo Sanger è un metodo cosiddetto enzimatico, poiché richiede l'utilizzo di un enzima; il principio

della tecnica sviluppata da Fred Sanger si basa sull'utilizzo di nucleotidi modificati (dideossitrifosfato,

ddNTPs) per interrompere la reazione di sintesi in posizioni specifiche. I nucleotidi dideossitrifosfato sono

molecole artificiali corrispondenti ai nucleotidi naturali, ma si differenziano per l'assenza del gruppo

idrossilico sul carbonio 3’ della molecola. I dideossinucleotidi, a causa della loro conformazione,

impediscono che un altro nucleotide si leghi ad essi, in quanto non si possono formare legami

fosfodiesterici, provocando la terminazione della polimerizzazione.

Il protocollo classico richiede una molecola di DNA a singolo filamento, un primer per iniziare la reazione

di polimerizzazione, una DNA polimerasi, deossinucleotidi e dideossinucleotidi per terminare la reazione di

polimerizzazione.

O un nucleotide normale o quelli modificati o il primer devono essere marcati (radioattivamente o per

fluorescenza) in modo da poter visualizzare le bande dei frammenti di DNA neosintetizzato dopo aver

effettuato l'elettroforesi, spesso la marcatura si trova sui dideossinucleotidi, ognuna delle 4 basi sarà quindi

marcata con un fluorocromo differente.

Il campione di DNA da sequenziare viene diviso in quattro reazioni separate, ognuna delle quali contiene la

DNA polimerasi e tutti e 4 i deossiribonucleotidi (dATP, dCTP, dGTP, dTTP). Ad ognuna di queste reazioni

viene poi aggiunto solo uno dei quattro nucleotidi dideossi (ddATP, ddCTP, ddGTP, ddTTP) in quantità

stechiometricamente inferiore per permettere una elongazione del filamento sufficiente per l'analisi.

L'incorporazione di un dideossinucleotide lungo il filamento di DNA in estensione ne causa la terminazione

prima del raggiungimento della fine della sequenza di DNA stampo; questo dà origine ad una serie di

frammenti di DNA di lunghezza diversa interrotti in corrispondenza dell'incorporazione del

dideossinucleotide, che avviene casualmente quando esso è utilizzato dalla polimerasi in luogo di un

nucleotide deossi.

I frammenti generati da queste reazioni vengono poi fatti correre su gel di poliacrilammide-urea (l’urea

viene aggiunta come denaturante per impedire al filamento di DNA di appaiarsi con basi complementari del

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filamento stesso) che permette la separazione dei vari frammenti con una risoluzione di un nucleotide.

Ognuna delle 4 reazioni è corsa su pozzetti vicini, dopodiché le bande sono visualizzate su lastra

autoradiografica o sotto luce UV, e la sequenza viene letta direttamente sulla lastra o sul gel, a seconda del

tipo di marcatura dei nucleotidi dideossi.

Attualmente è possibile effettuare, anziché quattro reazioni distinte per ogni nucleotide modificato, una sola

reazione utilizzando i 4 ddNTPs marcati fluorescentemente in modo diverso tra loro ed utilizzando lettori

ottici appropriati. In questo modo ogni filamento di DNA emetterà una luce di colore diverso in base al

nucleotide (ddNTP) col quale terminerà. Questo tipo di sequenziamento è anche detto automatico e permette

un sequenziamento da 300 a 1000 basi.

PYROSEQUENCING E AUTOMAZIONE

Pyrosequencing

Il metodo non richiede utilizzo di ddNTPs né la separazione elettroforetica dei frammenti sintetizzati; la

sintesi avviene aggiungendo i dNTPs in ordine uno dopo l’altro: la non incorporazione determina

l’immediata degradazione del dNTP, viceversa l’incorporazione di un dNTP nel filamento nascente innesca

una reazione che emette chemioluminescenza (che deriva dal rilascio di pirofosfato che viene aggredito

dall’enzima solforilasi emettendo un lampo di luminescenza) la quale viene rivelata da un CCD. Le letture

sono tipicamente di 100-200 basi, ma molti campioni possono essere trattati in parallelo.

Il metodo ha grossi vantaggi perché può essere applicato su larga scala e consente quindi il rapido

sequenziamento di regioni molto grandi, a fronte di impegno umano comunque limitato.

Recentemente è stata introdotta una nuova tecnica, detta pyrosequencing, pirosequenziamento,

estremamente rapida ma in grado di sequenziare sole 100 basi per volta. È un metodo enzimatico

completamente automatizzato, che permette il sequenziamento della catena complementare.

Prevede 5 passaggi principali:

1. La sequenza da analizzare, previa amplificazione con PCR, viene incubata come singola elica

insieme a:

• Primers adeguati, DNA polimerasi, ATP solforilasi

• Luciferasi, apirasi, adenosinsolfofosfato (ASP), luciferina

2. Un solo tipo di dNTP alla volta viene aggiunto alla reazione. Per ogni tipo di dNTP aggiunto si

verificano due possibilità esclusive: in caso di non complementarietà al templato presso la prima

posizione che fa seguito al primer, l'allungamento non avviene e il nucleotide mismatching viene

degradato dalla apirasi; in caso di complementarietà, la DNA polimerasi ne catalizza l'aggiunta

con liberazione allo stesso tempo di pirofosfato inorganico PPi.

3. Il PPi così prodotto viene quindi rivelato da un'apposita camera fotosensibile (CCD) mediante la

produzione di un segnale luminoso: partendo dall'ASP come substrato, la solforilasi catalizza la

trasformazione del PPi in ATP, il quale fornisce energia per la conversione della luciferina ad

ossiluciferina (ad opera della luciferasi). Il segnale luminoso così generato viene rilevato e

registrato in un apposito "pirogramma". La presenza del segnale ci conferma l'appartenenza del

nucleotide alla tal posizione della catena, mentre l'intensità del segnale sarà proporzionale al

numero di ripetizioni della base lungo lo stesso filamento: un impulso doppio o triplo, per esempio,

è indice dell'inglobamento nello stesso ciclo di 2 dNTP (ripetizione della stessa base per 2 o 3 volte

sul templato); viceversa un segnale nullo indica che il dNTP aggiunto in quel ciclo non è

complementare.

4. L'enzima apirasi, già nominato, degrada in continuazione l'eccesso di dNTP che non è stato

incorporato, e l'eccesso di ATP prodotto dalla solforilasi. Solo quando l'eccesso è stato eliminato

completamente si può aggiungere un secondo dNTP per far progredire la reazione di

polimerizzazione (ritornando allo step 1).

5. Si aggiungono quindi ciclicamente tutti e 4 i dNTP fino al completamento della sequenza. Da

sottolineare è il fatto che per l'aggiunta dell'adenina non si può utilizzare ATP, ma si utilizza

l'adenosin-α-tio-trifosfato, che è un analogo riconosciuto dalla DNA polimerasi come se fosse ATP,

ma non dalla luciferasi. In questo modo è possibile verificare l'effettiva complementarietà

dell'adenina senza produrre un continuo segnale luminoso che non deriverebbe dalla reazione di

conversione del pirofosfato, ma dall'aggiunta tal quale di ATP, utilizzato direttamente dalla luciferasi.

Dall'analisi del pirogramma si risale alla sequenza completa.

Il limite intrinseco di sequenziamento (50-200 basi contro 300-1000 di Sanger) è dovuto al fatto che se si

verifica un errore in una molecola di un determinato pozzetto il cui vi è una miscela di frammenti

uguali, la molecola singola in questione incorpora il nucleotide sbagliato. Al passaggio successivo col

nucleotide corretto, essa avrà inserito una posizione in più rispetto alle molecole sorelle e non potrà più

incorporarlo, ma se nel frattempo sarà stato inserito un altro nucleotide, la molecola errata avrà potuto

inserirne un secondo in maniera errata emettendo un debole segnale (che viene trascurato). Da quel

momento in poi la molecola non contribuirà più al sequenziamento corretto, che sarà dato dalle molecole

sorelle. Con l’accumularsi di errori, diminuisce gradualmente il segnale a favore del background, fino a un

punto in cui il sequenziamento non sarà più giudicato attendibile.

Con la tecnica del pirosequenziamento possono essere eseguite fino ad 1,6 milioni di reazioni in parallelo.

SEQUENZIAMENTO DI REGIONI DI DNA

Le tecniche di sequenziamento oggi disponibili riescono ad ottenere di norma sequenze di piccole

dimensioni. Per questo motivo, DNA più lunghi richiedono necessariamente il sequenziamento di molti

frammenti più piccoli. Il successivo assemblaggio dei frammenti permette di ricostruire la sequenza

completa.

Si procede quindi attraverso fasi distinte:

• La generazione dei frammenti

• La determinazione della sequenza

• L’unione dei frammenti sequenziati

• La chiusura dei gap

La generazione dei frammenti

La molecola di DNA da sequenziare deve essere suddivisa in frammenti da sequenziare separatamente.

Possono essere usate tecniche diverse, ad esempio:

• Digestione enzimatica, anche parziale, con endonucleasi di restrizione.

• Frammentazione fisica mediante sonicazione (usando ultrasuoni).

I frammenti ottenuti possono essere amplificati, inserendoli in vettori plasmidici o fagici.

Il sequenziamento dei frammenti

I frammenti generati vengono sequenziati, tipicamente mediante sequenziamento automatico, a partire

dalle estremità utilizzando primer complementari alla sequenza del vettore. 3

Viene così determinata, a partire da ciascuna estremità, la sequenza di un numero di basi dipendente dalla

tecnica utilizzata, tipicamen

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
7 pagine
4 download
SSD Scienze matematiche e informatiche INF/01 Informatica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher KittyMidnight di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Biotecnologie Cellulari, Molecolari e Computazionali e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Napoli Federico II o del prof Paolella Giovanni.