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TM
SOLiD 3 (Applied Biosystem) restituisce 20 Gb/7 days; sono necessari pochi giorni
di preparazione dei campioni. pyrosequencing.
Il sistema Roche 454 si basa sulla tecnologia del
Quest’ultimo si basa sulla rilevazione del
pirofosfato rilasciato dall’incorporazione di
un nucleotide durante la sintesi del DNA.
Il primer si ibrida allo stampo a singola elica,
amplificato mediante PCR e viene incubato
con gli enzimi DNA polimerasi, ATP
solforilasi, luciferasi e apirasi, i substrati
(dNTP), adenosin 5’-fosfosolfato (APS) e
luciferina.
Il primo dei quattro dNTP viene aggiunto alla
reazione. La DNA polimerasi catalizza
l’incorporazione del dNTP al filamento di
DNA, se è complementare alla base del
filamento stampo.
Ogni evento di incorporazione è
accompagnato dal rilascio di pirofosfato (PPi)
in quantità equimolare a quella del
nucleotide incorporato.
In presenza di adenosina 5’ fosfosolfato
(APS), l’ATP sulforilasi converte
quantitativamente il PPi ad ATP:
ATP sulfurilasi+ APS >
PPi ATP
❑
L’ATP, a sua volta, guida la conversione,
catalizzata dalla luciferasi, di luciferina ad
ossiluciferina con conseguente produzione di luce di intensità proporzionale alla
quantità di ATP. luciferasi >luce+
ATP+ luciferina+O2 AMP+ PPi+ ossilucife rina+CO 2
❑
La luce prodotta è rilevata da una CCD camera e
visualizzato come picco in un pirogramma.
L’apirasi, un enzima che degrada i nucleotidi, degrada continuamente tutti i dNTP non
incorporati e l’ATP in eccesso. Non appena la degradazione è completata viene
aggiunto un altro dNTP.
I dNTP vengono aggiunti sequenzialmente, uno alla volta.
Poiché il dATP è un substrato naturale della luciferasi, al suo posto viene utilizzato la
deossiadenosina α-tio-trifosfato (dATPS) che viene incorporata efficientemente dalla
DNA polimerasi ma non viene riconosciuta dalla luciferasi.
Man mano che il processo continua, il filamento di
DNA complementare è sintetizzato e la sequenza
nucleotidica è determinata dai picchi del pirogramma.
Questa procedura dà la possibilità di seguire l’ordine
con il quale i deossinucleotidi vengono incorporati nel
filamento in crescita. Rappresenta, pertanto, il tipo di
procedura che può essere facilmente automatizzata.
La rivelazione della chemioluminescenza è molto
sensibile, il che permette di eseguire la reazione in un
volume molto piccolo, perfino in un solo picolitro. Ciò permette di eseguire fino a 1,6
milioni di reazioni in parallelo su un vetrino, che equivale ad una velocità di
sequenziamento circa 100 volte superiore a quella ottenibile con il metodo a
terminazione di catena.
Questo tipo di approccio ha tre passaggi fondamentali: 1.Preparazione di una libreria
di DNA: il DNA genomico
viene isolato, frammentato co
n la nebulizzazione, legato ad
adattatori (complementari
alle sequenze)e separato in
singole eliche.
2.PCR in emulsione: La libreria di single
strand DNA funge da templato per la PCR
in emulsione (l’emulsione viene creata
mescolando opportunamente la mix di
PCR con olio minerale). Le singole
molecole vengono immobilizzate su delle
biglie (beads), dove vengono poi
amplificate mediante PCR in maniera tale
che il singolo filamento di DNA resti
legato alla biglia. Ogni biglia, così, contiene fino a dieci milioni di frammenti identici di
DNA. 3.Sequenziamento:
Beads con legati i frammenti a
singola elica vengono deposti
nei micropozzetti del PicoTiter
Plate device, costituita da circa
1,6 milioni di pozzetti che
hanno un diametro tale da
poter accomodare un’unica
biglia.
A questo punto viene aggiunta
la DNA polimerasi ed altre
sferette di dimensioni minori a
cui sono legati
covalentemente gli enzimi responsabili della reazione di pirosequenziamento.
Ad ogni ciclo vengono aggiunti
i quattro nucleotidi TACG, uno
per volta in sequenza; quando
un nucleotide complementare
allo stampo viene aggiunto
la DNA Polimerasi lo incorpora
rilasciando pirofosfato che
l’ATP solforilasi converte
ad ATP, permettendo
alla luciferasi la conversione
di luciferina ad
ossiluciferina con produzione
di un segnale luminoso che
viene registrato dalla camera
CCD. Questa reazione viene
ripetuta per 100 cicli e i
segnali ottenuti da ciascuna cella vengono combinati per generare la sequenza di
lettura per ogni micropozzetto.
Le reazioni che avvengono in ogni pozzetto della PTP (Pico Titer Plate) vengono, difatti,
rilevate e registrate in continuo ed in contemporanea per tutti i pozzetti. Ciascun
flusso (passaggio di un nucleotide) viene quindi tradotto in immagine. L’analisi delle
fluorogramma
immagini associata all’ordine dei flussi permette di costruire il di
ciascun pozzetto, in cui l’intensità della luce emessa è proporzionale al numero di
nucleotidi incorporati.
Dopo un passaggio di normalizzazione, il segnale luminoso emesso da ogni cella viene
quantizzato, e i dati relativi a ciascuna cella sono convertiti in una successione di
caratteri alfanumerici (formato FASTA).
Le tecnologie d’ibridazione su microarray furono sviluppate nei primi anni ’90 per
consentire saggi massivi in parallelo, nei quali si effettuano simultaneamente nelle
stesse condizioni sperimentali migliaia di singole reazioni di ibridazione. In un primo
momento, l’ibridazione su microarray fu concepita come uno strumento per la
mappatura su larga scala e il sequenziamento del DNA; in seguito, è stata utilizzata
per saggiare sia le varianti del DNA sia i profili di espressione genica.
microarray
Se utilizzato in un saggio di ibridazione, un è costituito da diverse migliaia
di sonde oligonucleotidiche o a DNA
non marcate, fissate su un supporto
di vetro o su una opportuna
superficie secondo coordinate
spaziali ben definite, in un formato
rappresentato da una griglia ad alta
densità.
L’ibridazione su microarray
utilizza array a oligonucleotidi o a
DNA che vengono allestiti fissando
migliaia di sonde sintetiche di DNA o
oligonucleotidi a singolo filamento in
specifiche posizioni predeterminate.
Come illustrato nella sezione
ingrandita, in corrispondenza di ogni
specifica posizione sono legate
diverse migliaia di copie identiche di
un singolo tipo di sonda a
oligonucleotide o a DNA (una
feature).
cosiddetta Viene poi
aggiunto il campione di interesse,
costituito da una serie eterogenea di
frammenti marcati di DNA o trascritti
a RNA, per consentire l’ibridazione
con le sonde presenti sull’array. Le
sequenze bersaglio legate da alcune
sonde possono essere abbondanti e
produrre un forte segnale
d’ibridazione; per altre sonde
possono invece esserci poche
sequenze bersaglio presenti nel
campione di interesse, e il segnale di
ibridazione prodotto sarà quindi più
debole. Dopo i passaggi di lavaggio
e asciugatura dell’array, i segnali
d’ibridazione per le diverse migliaia
di sonde sono rilevati mediante una
scansione al laser.
La quantificazione del marcatore
fluorescente legato a ogni posizione
nel microarray fornirà quindi una
quantità enorme di dati circa le
frequenze relative di numerose
sequenze bersaglio presenti nel
campione esaminato.
La costruzione dei microarray a DNA
di prima generazione prevedeva la
deposizione robotizzata di cloni di DNA o di oligonucleotidi sintetici sulla superficie di
vetrini da microscopia trattati chimicamente. Tuttavia, attualmente si preferiscono
microarray a DNA che usano sonde oligodeossinucleotidiche, che possono essere
disegnate in modo che siano specifiche per una singola sequenza bersaglio.
La maggior parte delle moderne applicazioni di questa tecnologia fa uso di microarray
prodotti grazie a tecnologie alternative sviluppate da due aziende:
- L’approccio seguito da Affymetrix è basato sulla produzione di chip al silicone, e ha
introdotto nell’uso comune il termine chip a DNA.
- La tecnologia sviluppata da Illumina è invece basata sull’assemblaggio casuale di
array di biglie in micropozzetti.
chip Affymetrix
La tecnologia dei implica la sintesi fotomediata di sonde
in situ.
oligonucleotidiche sul microarray
A. I microarray a oligonucleotidi di Affymetrix sono costruiti sintetizzando migliaia di
oligonucleotidi in posizioni predeterminate su un microarray costituito da uno strato
di quarzo, utilizzando un fotolitografo (fotomaschera) per determinare la posizione
di ogni nucleotide che viene aggiunto. linker
B. Ogni singolo oligonucleotide viene assemblato a partire da una molecola che
è fissata all’array e la cui estremità libera porta un gruppo protettivo fotolabile. Una
maschera dotata di fori in posizioni specifiche viene posizionata sopra l’array e
successivamente viene fatta passare attraverso le aperture nella maschera luce
proveniente da una sorgente esterna. Nelle singole posizioni dell’array esposte alla
luce, i gruppi fotolabili vengono distrutti (deprotezione).
Un mononucleotide specifico accoppiato al gruppo fotolabile viene quindi aggiunto
all’array, dove reagirà con i filamenti deprotetti. Il processo viene ripetuto tre volte
utilizzando altre tre maschere dotate di fori in posizioni differenti, per introdurre in
linker
sequenza uno degli altri tre nucleotidi. Il risultato netto è che ogni molecola
sarà dotata di un singolo nucleotide, A, C, G o T, attaccato specificamente con
modalità pre-programmata. L’uso in sequenza di quattro maschere diverse per
consentire l’accoppiamento dei quattro nucleotidi differenti viene ulteriormente
reiterato per altri 24 cicli. Il risultato finale è l’assemblaggio di oligonucleotidi
lunghi 25 basi, ognuno dotato di una sequenza predeterminata, in corrispondenza
di ogni specifica coordinata spaziale del microarray.
BeadArray Illumina
TM
La tecnologia di si basa sull’assemblaggio casuale di array di
microsfere in specifici pozzetti. Le biglie consistono in microsfere in silicio di 3 mm di
diametro e costituiscono gli elementi dell’array. Gli oligonucleotidi vengono
presintetizzati in modo da raggiungere lunghezze superiori ai 70 nucleotidi (suddivisi
in un codice di riferimento di 25 nucleotidi e in una sequenza gene-specifica di 50
nucleotidi). Ogni oligonucleotide viene accoppiato a una particolare partita di biglie e
ogni singola biglia può portare più di 100 000 oligonucleotidi identici.
Le biglie, contenenti diversi oligonucleotidi, sono raggruppate e successivamente
distribuite su microarray prefabbricati dotati di microp