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LA NUDA VERITA’
Le recenti inchieste hanno messo in evidenza il cuore malato del Capitalismo: da un lato assume
risorse, non più solo muscoli, braccia, ma anche desideri, tensioni e soprattutto consumi; dall’altro
inserendo l’insieme di questo patrimonio organico e comportamentale nelle cinghie, spesso
supplizianti, ci astrae dalla vita vera, fatta di passioni, progetti e complessità, per riconsegnarcela
“nuda”, ovvero deturpata , depotenziata e piena di isolamenti e disoccupazioni. 16
• Barcellona afferma che: “L’epoca in cui viviamo si caratterizza per le trasformazioni del processo
riproduttivo sociale in fattore produttivo economico, che assume la creazione della vita a elemento
ciclico dell’accumulazione capitalistica”. Una sorta di patto tra Denaro e Scienza con la complicità
della Comunicazione che ci offre istanti slacciati e parole senza senso.
Ecco dunque rimpicciolirsi e impoverirsi quello spazio delle relazioni, dell’affettività, sostituito da un
divenire pervasivo e tentacolare da parte di quei dispositivi che ci condannano alla paura di non
farcela, di non comprare a sufficienza. Senza affettività e conoscenza, coltiviamo “la vacua fluidità del
piacere”, un naufragare perenne dell’io, una rottura del simbolico. Tutte quelle persone che cercano la
svolta della vita nello spettacolo, sono persone disperate, spiazzate dai magri bilanci, disprezzate dal
Sistema, che scelgono l’arte del camuffamento e dell’improvvisazione (esempio shooting fotografici di
modelline di provincia che si candidano per servizi glamour, che divengono servici grotteschi e ridicoli,
in quanto non presentano nessuna competenza nel campo).
Quindi se sottraiamo queste interpretazioni, non rimane che la depressione, una linea d’ombra che
tratteggia la vicinanza fra due aree emozionali e comportamentali ben precisi.
Da un lato l’infondatezza del nostro essere, la tragicità della condizione umana
- dall’altro un sentimento di esclusione, di precarietà che sa di lotta per la sopravvivenza,
- uno stress psicologico incombente dettato da bisogni insoddisfatti e frustrazioni.
• In “Elogio alla depressione” il sociologo Bonomi, intrattiene un dialogo con lo psichiatra
Borgna, un testo che mette in evidenza come il fenomeno della depressione non solo è uno stigma
della nostra epoca caratterizzata dalle “passioni tristi”, ma anche un ‘oscurità che apre alla luminosità
dell’essere, una dignità della sofferenza che apre ai germi della bontà e della gentilezza. La “terra di
mezzo, quella sospesa come lembo di speranza fra le pene dell’identità e lo squassamento delle
contraddizioni sociali, urla insomma la necessità di una “comunità”, di una trasversalità della
conoscenza, di una narrazione collettiva. Come a dire che proprio in questo momento storico, in cui
fame, disoccupazione e angoscia allargano sempre più le nostre ferite quotidiane, va cercata una
cerniera più analitica. Questa è la dialettica della “nuda vita” e della “vita nuda”, secondo Bonomi, ed
è proprio negli attuali risvolti della net-economy che lo spiazzamento, la mancanza di affaccio al
futuro, diventano nutrimento palpitante e drammatico per un ripensamento globale della propria
immagine e del vivere in mezzo agli altri. Quindi la depressione come turbamento che riporta a quello
spaesamento primario, a quella “comune terrestrità” dove l’unico codice non può che essere la
mutualità, la fratellanza, la luce buona. Bonomi afferma: “Un esercito della società dei servizi che
lavora mettendo al lavoro la propria nuda vita, cioè il pensare, il sentire, il ricordare, il comunicare.
Dentro questo, chi non ce la fa è fuori, è depresso. Tuttavia nelle città viene sempre più avanti la vita
nuda, ossia il mangiare, il dormire, le cose elementari del corpo e quindi le vere differenze sono fra
chi mette al lavoro la propria nuda vita e chi ha solo la propria vita nuda.
CLOCHARD DELL’ANIMA
Probabilmente Auge aveva ragione quando diceva che la parola più ricorrente e che meglio
rappresenta l’attualità è l’intrigo. Ne siamo pieni, da quelli amorosi fino a giungere a quelli politici e di
palazzo. Infatti la “messa intrigo” è la capacità di cui una società si dota per fingere, in un certo
senso, che il mistero la metta realmente in discussione, ne stabilizzi le fondamenta. Se
vogliamo renderci conto, afferma Auge, di quanto abbiamo sottosviluppato il nostro potenziale di
effettiva comprensione delle contraddizioni del sistema globale in cui viviamo. Ritrovare il significato
del vero, pregnante, intersoggettivo delle parole, contro tutti gli artifizi dei padroni del mercato, questo
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è l’esercizio che dovrebbe accompagnarci, ovvero reintrodurre lo “sguardo critico” per salvare
l’idea di progresso risolvendo il problema dei fini.
∞ Auge ci spiana la strada verso una dichiarata opposizione alle logiche del senso e della
fede, quella fideista, portavoce di una strategia della rinuncia alla soggettività, intesa
quest’ultima sotto il paradigma classico dell’umiltà del lavoro scientifico e della rivalutazione
della figura dell’intellettuale. Quest’ultimo deve essere un “tecnico dell’universale”, colui che
“si immischia in ciò che non lo riguarda e fa della prassi del vero, della saggezza educativa, il
suo personale contendere.
∞ Altro concetto importante di Auge è il “non-luogo”, infatti nel suo “Diario di un senza fissa
dimora”, parla di un ispettore del Fisco che si ritrova totalmente povero, è passato dal vivere
nei salotti, nei bar o nella stessa propria casa, sulle strade, sotto i ponti nei boschi. Quindi è
passato dal “luogo”, ossia riconoscimento reciproco attraverso il fare e la memoria con un
processo di simbolizzazione profonda, al “non-luogo”, dove manca la simbolizzazione ed è
governata dalla solitudine. Tuttavia la vera condanna al non-luogo, di un neo-clochard come il
protagonista dell’opera, non è tanto dimenticare i salotti a cui partecipava, le stanze da letto,
quanto l’avvertire una vertigine di estraneazione dal consorzio umano anche in un bar caldo,
oppure il contatto fisico, che non lo convincono ugualmente ad accettare un accoglienza.
Infatti per lui, l’essere uscito dalla carreggiata dopo una frenata, diventa uno stupendo
pensatoio, a riparo dalla modernità per riflettere sulla felicità mista a disperazione. Ecco allora
che il nonluogo si rivela in tutta la sua tragicità. Il nonluogo come scarto fra familiarità del
consumo e una comunanza del destino che si apre come un a crepa, sicchè un giorno
attraverso la solitudine, potremmo scoprire paradossalmente che “l’insieme dello spazio
terrestre diventerà un luogo”. Il nonluogo allora come un precipizio dell’anima, reticolo della
nostra nullità, “quell’essenza, per cui l’immagine diviene paradossalmente il limite e il luogo
illimitato, cioè la misura dell’incommensurabile, il visibile dell’invisibile, il noto dell’ignoto”.
∞ E’ il niente del nuovo, il vero atto fondante, il codice del vivente singolare che il incrocia il
generale e l’individuale. Diversamente, l’eterogeneo dell’uomo unico, viandante in compagnia
di altri uomini unici, ci lascerà permeare dal siero “magico” delle chance, dallo sfavillio degli
strumenti a disposizione, dalla dispettosa arroganza di chi crede di sapere oltre ogni
insegnamento sol perché le sue fonti si sono moltiplicate.
• Serres parla della “comune lallazione” del “noi soffriamo”, “rumore di fondo” e voce
dell’umano. Dunque l’elaborazione mentale e culturale più dolorosa sarà quella di imparare a
vederci come illusioni spazializzate come nulla che – però – sente.
• Metafora di silenzio e significati, ci è data da Nancy che avvicina proprio i silenzi e le
significazioni delle tracce e dei punti di riferimento di un corpo umano vissuto, al Corpus Iuris del
diritto romano, composto da materiale normativo e giurisprudenziale, ossia un catalogo di un logos,
una lista raccolta qua e là, una recitazione di parti e pezzi, una varietà, una mescolanza, sempre
estendibile. Questa giuridicità del corpus che Nancy intravede come presenza, amorevolezza, abisso,
singolarità, follia, non sono altro che i modelli chiusi di tipo reality e talent-show televisivi.
• Altro concetto collegato all’oscene è quello di Ferraris: “invece di riconoscere il reale e
immaginare un altro mondo da realizzare al posto del primo, pone il reale come favola e assume
che questa sia l’unica liberazione possibile: sicchè non c’è nulla da realizzare, e ovviamente nulla
da immaginare; si tratta di credere che la realtà sia come un sogno che non può far male e che
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appaga”. Ferraris chiama questa “relatiysmo” attribuendole i caratteri di un “utopismo violento e
rovesciato”.
Un intero palinsesto riproduce la necessità del Sistema di annichilire, inaridire, disarcionare alla base
tutto quanto è evento, soggettività o situazionalità che aprirebbe a scenari di critica interna.
• Per concludere Junger afferma: “ Il mondo storico in cui ci troviamo ricorda una nave che si
muove velocemente mostrando ora il lato comfort, ora quello del terrore. Di volta in volta essa è
Titanic o Leviatano.” I TECNICI DEL GOL
Ormai la telecronaca calcistica, da circa un decennio, non è più un semplice sport, ma è diventato
un sapere articolato che traduce l’evento agonistico in un insieme di dati e statistiche.
Un sapere strutturato definibile come una pseudo-scienza o una religione mancata. Della scienza
infatti, ha il rigore concettuale, il linguaggio della categorialità, tuttavia di essa non ha la
consapevolezza della ricerca, l’espansione conoscitiva. Infatti è una scienza che è mistica del
particolare. Basti vedere la virtualizzazione di Sky sport, che ne fa di un derby
una sorta di videogame a mezz’ora dell’inizio del match vero.
Questo programma cattura la gente, innestando il verbo che si è costruito anche intorno al calcio
“religiosità”. Al primo aspetto esasperatamente tecnico si associa una dimensione affettiva, emotiva e
emulativa. Tuttavia ci si pone la domanda perché tutto questo interesse per il calcio, ovviamente a
questo si può rispondere dicendo che ci si ritrova un popolo di cittadini defraud