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Tucidide (META’ V SEC. A.C.)

Gli unici dati certi sulla vita di Tucidide sono forniti dall’autore stesso nella sua

opera. Egli nacque ad Atene e prese sempre parte attiva alla vita della città. La

carica di stratego che ricoprì nel 424/423 a.C. costituisce il terminus ante quem per

la nascita dello storico: Tucidide nacque non più tardi del 454 a.C., verosimilmente

intorno al 460 a.C, poichè ad Atene non si poteva accedere alle magistrature prima

di aver compiuto trent’anni. Si è ipotizzato che Tucidide fosse imparentato con la

nobile famiglia ateniese dei Filaidi, la stessa di Milziade, celebre vincitore di

Maratona e di Cimone suo figlio. Si spiegherebbero così i beni cospicui e la

posizione influente che egli stesso dichiara di avere in Tracia e il nome del padre,

Oloro, non attestato ad Atene ma solo in Tracia: Milziade aveva infatti sposato

Egesipile, figlia del ricco re di Tracia Oloro; ed era stato Cimone a procurare ad

Atene le miniere d’oro presenti in Tracia, e dopo la sua morte il loro sfruttamento

rimase probabilmente affidato ai membri della famiglia (tra i quali andrebbe dunque

annoverato Tucidide). Si ritiene comunemente che, visto che la sua strategia del

424 /423 a.C. risultò fallimentare - Tucidide non riuscì ad evitare che Anfipoli

cadesse in mani spartane - egli sia stato esiliato da Atene per vent’anni.

Non sono noti con certezza nè la data nè il luogo di morte di Tucidide. Sulla base

della brusca conclusione delle “Storie” si ritiene per lo più che essa sia stata

improvvisa. Morì certamente dopo la conclusione della guerra del Peloponneso

(404 a.C.).

Le Storie

Opera in otto libri che narra le vicende della guerra del Peloponneso combattuta da

Ateniesi e Spartani dal 431 a.C. al 404 a.C.

Ha inizio con un proemio in cui l’autore dichiara di avere intuito immediatamente

che la guerra imminente fra Atene e Sparta sarebbe stata più importante di tutte le

precedenti, perchè scoppiata quando le due parti avevano raggiunto l’apice della

loro potenza. Nel capitolo 26 del libro V vi è poi quello che viene comunemente

chiamato “secondo proemio”: in esso sono contenute informazioni sulla

composizione dell’opera, notizie di carattere biografico sull’autore, e dichiarazioni di

metodo. Inoltre qui Tucidide afferma la convinzione che la guerra del Peloponneso

durò ventisette anni senza soluzione di continuità; la cosiddetta pace di Nicia,

stipulata nel 421 e rotta ufficialmente nel 413, non fu mai davvero rispettata: tale

visione unitaria del conflitto è peculiare di Tucidide, dal momento che altre fonti

antiche considerano invece le tre fasi del conflitto come tre guerre distinte.

Da diversi passi delle “Storie” risulta che Tucidide vide la fine della guerra del

Peloponneso, nel 404 a.C.; tuttavia la sua opera si interrompe bruscamente dopo

l’esposizione degli eventi del 411 a.C.; è verosimile che sia stata la morte

improvvisa a impedire a Tucidide di terminare il proprio lavoro.

Riguardo alla scansione cronologica dell’opera, per ovviare alla diversità dei

calendari in uso le varie poleis greche, Tucidide escogita un sistema alternativo di

datazione: egli numera progressivamente gli anni di guerra e divide ciascun anno in

due semestri, estate e inverno; solo in casi eccezionali egli si serve dei calendari

locali, basati sulla successione annuale dei magistrati.

La narrazione della guerra del Peloponneso inizia solo nel II libro. Il libro I funge

infatti da introduzione e ha una struttura molto complessa. Al proemio segue la

cosiddetta Archaiologhìa, una sintetica storia della Grecia dalle origini alle guerre

persiane, intesa a convalidare l’affermazione iniziale circa la superiore importanza

della guerra del Peloponneso rispetto a tutti gli eventi bellici anteriori. Dopo alcuni

fondamentali capitoli di carattere programmatico, Tucidide espone gli antefatti

immediati del conflitto, inserendo all’interno di tale narrazione la Pentecontaetìa ,

ossia la storia dei cinquant’anni intercorsi tra la fine delle guerre persiane e l’inizio

della guerra del Peloponneso. Con questo excursus egli riprende il filo della

narrazione nel punto esatto dove lo aveva interrotto Erodoto e colma perciò una

lacuna storica.

La questione tucididea: la “questione tucididea” è il complesso dibattito sui metodi e

sui tempi della composizione delle “Storie”, inaugurato dal filologo tedesco Ullrich

nel 1846. Secondo quest’ultimo, Tucidide realizzò la sua opera in due fasi: la prima

subito dopo la pace di Nicia (421 a.C.), la seconda dopo il 404 a.C. Il cosiddetto

“secondo proemio” indicherebbe il momento in cui Tucidide riprese il lavoro, senza

poterlo tuttavia condurre a termine.

Sviluppando la teoria di Ullrich, i cosiddetti “analisti” hanno ipotizzato la presenza di

nuclei diversi nell’opera tucididea; viceversa gli “unitari” sostengono che le “Storie”

non sono il frutto della combinazione di abbozzi di varia età e ispirazione, ma sono

state composte interamente dopo la fine della guerra del Peloponneso.

Negli ultimi anni la “questione tucididea” ha perso gran parte del suo interesse.

Oggi, sulla base di esplicite dichiarazioni di Tucidide in tal senso, prevale la

convinzione che lo storico abbia lavorato alla sua opera per tutta la vita,

affiancando alla composizione di nuove parti la rielaborazione costante di quelle

stese in precedenza. Tra le ipotesi sulla genesi dell’opera tucididea gode ancora di

un certo seguito quella elaborata dal tedesco Ziegler, il quale ha ipotizzato che i

numerosi excursus presenti nel I libro appartenessero a un precedente progetto

storiografico, cui Tucidide avrebbe lavorato prima ancora dell’inizio della guerra del

Peloponneso, con l’intenzione di comporre un’opera profondamente influenzata dal

modello erodoteo; in seguito si sarebbe verificata la svolta di Tucidide da erodoteo

a narratore di un argomento totalmente indipendente dal modello.

Metodo storiografico: la ricerca della verità (zètesis tès alethèias) è, secondo

Tucidide, il compito dello storico, il quale, raccogliendo diversi tipi di fonti, raccoglie

dati che, criticamente selezionati e interpretati, divengono altrettanti indizi per

trovare la verità storica.

Le particolari difficoltà nella ricostruzione del passato - la scarsa attendibilità delle

tradizioni orali e dei resoconti delle vicende passate elaborati sia dai poeti sia dai

prosatori - inducono lo storico ateniese, in nome dell’esigenza di verità, a scegliere

come argomento della propria opera la storia contemporanea. La narrazione di

quest’ultima offre infatti un ben diverso grado di attendibilità, data la maggior

incidenza conferita all’esperienza diretta, che per Tucidide come già per Erodoto, è

lo strumento privilegiato per l’acquisizione di informazioni sicure. Alla riduzione del

campo storico nella sua dimensione temporale si affianca nelle “Storie” anche una

rigida selezione dei contenuti: Tucidide non solo dedica la sua opera ad un evento

contemporaneo, ma nel narrarlo limita deliberatamente la sua indagine ai fatti

politici e militari, relegando in secondo piano tutti gli altri aspetti (che tanto avevano

invece stimolato la curiosità di Erodoto). Nel capitolo 22 del libro I Tucidide si

sofferma sui criteri adottati nella narrazione; nel ricostruire il testo dei discorsi

pronunciati nel corso della guerra da uomini politici, ambasciatori o generali, non

essendo possibile a nessuno ricordare la forma esatta delle cose dette nelle varie

circostanze, lo storico afferma di essersi attenuto agli argomenti che a suo parere i

diversi oratori avrebbero considerato opportuni, avvicinandosi il più possibile alla

sostanza dell’argomentazione. Per quanto concerne le azioni compiute durante la

guerra, Tucidide ha indagato sui fatti di cui è stato testimone e su quelli riferitigli da

altri con la maggiore precisione possibile. Anche in questo caso l’accertamento

della verità si rivela per lo storico alquanto complesso: i testimoni oculari spesso

forniscono versioni differenti di uno stesso evento, tra le quali tuttavia Tucidide si

sente sempre in grado di operare una scelta sicura (a differenza di Erodoto), grazie

agli strumenti di indagine e di verifica che ha saputo elaborare. Lo storico conclude

l’enunciazione dei principi che ispirano il suo lavoro precisando che lo scopo di

quest’ultimo non consiste nel diletto degli ascoltatori, anzi, le “Storie” risulteranno

verosimilmente poco gradite per l’assenza dell’elemento favoloso, sacrificato in

nome del rigore scientifico; l’opera tucididea dovrà rappresentare piuttosto un

possesso perenne (ktèma es aièi), ossia un insegnamento utile e di valore per tutti

coloro che vorranno avere una chiara conoscenza delle vicende passate, e, sulla

base di quelle, comprendere anche quelle future. L’ultima indicazione metodologica

fornita da Tucidide nel I libro è la distinzione fra aitìai, le “cause occasionali”, e

alethestàte pròfasis, la “causa più vera”; le prime determinano gli eventi solo

apparentemente, la seconda è la ragione profonda che lo storico scopre dietro la

molteplicità delle cause occasionali. A proposito della guerra del Peloponneso è

dunque necessario distinguere tra le motivazioni addotte dai due contendenti per

giustificare l’inizio delle ostilità e la causa più vera, ossia il timore di Sparta per la

crescente potenza politica, economica e militare di Atene.

Pensiero: Tucidide è convinto che una conoscenza sicura del passato, garantita

solo da un’indagine storica condotta con rigore scientifico, offre un valido strumento

anche per la comprensione del presente e del futuro. Su questa convinzione riposa

la valenza didattica che egli attribuisce alla propria opera, e nasce dalla

consapevolezza che è possibile scoprire nel divenire storico una costante, da cui

trae origine la perenne affinità degli eventi: la natura umana, che, identica in ogni

tempo e in ogni luogo, fa sì che gli uomini, posti di fronte a situazioni analoghe,

assumano comportamenti analoghi e dunque prevedibili. Tucidide caratterizza

negativamente l’uomo e la sua natura: secondo lo storico, infatti, la spinta della

natura umana verso il male è inesorabilmente forte, e tra i principi che egli vede

perennemente operanti nella storia vi è quello che impone che il più forte comandi

sul più debole. La legge del più forte, secondo Tucidide, è naturale, esiste da

sempre e sarà valida per l’eternità; contro di essa &egr

Dettagli
Publisher
A.A. 2015-2016
88 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/02 Lingua e letteratura greca

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher lilluz92 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura greca e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Parma o del prof Burzacchini Gabriele.