Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
PROFESSIONI LEGALI E GIUSTIZIA
Il notariato
A partire dai decenni centrali del XII secolo l'atto del notaio fa piena fede, offre cioè piena prova di ciò che le parti hanno compiuto e dichiarato innanzi al notaio medesimo; e che solo l'impugnazione dell'atto per falso può rimetterne in discussione il contenuto. Ne risulta la rilevanza probatoria della pubblica fede (publica fides) che scaturisce dall'atto notarile, considerato atto pubblico e prodotto da un notaio che è a sua volta pubblico.
Negli stessi anni centrali del XII secolo la realtà nuova dei comuni si stava imponendo anche su questo terreno. Abbiamo le prove che talune città italiane già procedevano a creare notai indipendentemente dall'autorizzazione o dalla delega imperiale. La dottrina giuridica teorizzò questa duplice fonte di legittimazione quando asserì che i notai di nomina imperiale e papale potevano rogare ovunque mentre quelli di
Nel periodo dell'Italia comunale, i notai erano abilitati a operare solo nel proprio comune. Fu il comune a intervenire nella nomina dei notai, che si organizzarono su base corporativa. La legittimazione imperiale, quando presente, costituiva un elemento di un processo di nomina e controllo della professione che aveva nei comuni e nella corporazione dei notai i suoi fulcri.
È verosimile che il mestiere del notaio si apprendesse inizialmente con la pratica condotta per alcuni anni presso un notaio. Per la propria attività quotidiana, il notaio disponeva di modelli di atti, i "formulari".
Il primo Formulario bolognese a noi giunto è posteriore di quasi un secolo rispetto al Formulario di Irneio. Un decennio più tardi, nel 1215, un notaio di Perugia, Ranieri, pubblica un Formulario di atti notarili, il Liber formularius. Ranieri ebbe a Bologna.
unruolo di spicco. Già allora era da tempo in funzione a Bologna una scuola di notariato, distinta dalla scuola universitaria di diritto; una scuola in cui insegnarono oltre a Ranieri altri due grandi maestri di notariato: Salatiele e Rolandino dei Passeggeri. Salatiele compose una vasta opera, l'Ars Notaria, nella quale tutta l'arte era illustrata non soltanto con formule, ma con una glossa che ne chiariva analiticamente i diversi risvolti giuridici. Rolandino dei Passeggeri fu autore di un testo al quale doveva arridere un successo immediato: la Summa totius artis notariae. L'opera si impose subito come testo di riferimento notevolissimo, sia nell'insegnamento nelle scuole di arte notarile sia nella pratica dei singoli notai, per la chiarezza, la razionalità di impianto e la completezza del testo nelle formule e del commentario che le accompagnava, tali da rispondere a qualsiasi problema che potesse sorgere nella redazione di ogni tipo di atto. Essa costituì,al pari delle Summe di Azzone e della Glossa di Accursio, il punto di arrivo di un genere letterario: il Formulario notarile. Il processo romano-canonico Nelle regioni d’Europa nelle quali il diritto comune intervenne a insegnare le fonti normative e consuetudini preesistenti, una forma particolare di procedura giudiziaria si affermò divenendo componente fondamentale dell’ordine giuridico: il processo fu regolato da un complesso di istituti e di regole derivanti dai testi giustinianei, dal diritto canonico e delle decretali, dalla fiorente dottrina civilistica e canonistica di origine universitaria, dalle opere dirette ai pratici quali formulari e gli ordines iudiciorum, infine dalle fonti normative locali, statutarie o regie. I tratti essenziali della procedura derivano dalla comune elaborazione delle fonti romane e canoniche. Di qui il termine “processo romano-canonico” che viene impiegato per indicare questa procedura. Il “consilium sapientis” Tra legiustizia divenne sempre più comune. Questo consilium era composto da giuristi esperti che fornivano consulenza legale e pareri su questioni giuridiche. Spesso, questi giuristi erano laureati in legge e avevano un curriculum di studi specifico. Nella seconda metà del Duecento, era pratica comune in Italia che i giudici cittadini si affidassero a uno o più giuristi professionisti per ottenere un parere legale su una causa in corso. Questo parere, commissionato dal tribunale, veniva considerato dal giudice come una sentenza risolutiva del caso. Oltre ai podestà, agli assessori e ai consoli di giustizia, che erano le principali magistrature elettive dell'età comunale matura, c'era anche il capitano del popolo, una carica istituita nel corso del Duecento. I consoli di giustizia, invece, erano una carica ereditata dalla prima età dei comuni. Nella seconda età comunale, per ricoprire la carica di console di giustizia, spesso si richiedeva una specifica competenza giuridica, con l'indicazione di un necessario curriculum di studi. Questo curriculum non necessariamente doveva essere completato presso un'università o con la laurea.La giustizia ebbe diverse motivazioni. In Toscana troviamo frequentemente consilia richiesti dagiudici professionali a giuristi di altre città o a professori, probabilmente allo scopo di evitare al giudice il rischio di un processo per sindacato al termine del suo mandato. Perlo più l'autore del parere si limita a esprimerlo concisamente, senza supporto di argomentazioni testuali, ma in qualche caso lo appoggia a citazioni di testi romanistici o di norme statuarie o anche di opinioni dottrinali autorevoli, quali quella di Azzone. In talune città questa prassi assume i caratteri di una vera e propria regola generale a partire dal secondo Duecento: così ad esempio a Milano. Non c'è processo civile che non sia ormai affidato dal magistrato a uno o più giurisperiti incaricati non solo di redigere il consilium ma anche di interrogare le parti, raccogliere le prove e valutare le allegazioni, cioè di costruire e condurre al suo esito.L'intero processo. Vi era però anche un'altra forma di parere, risalente all'età dei Glossatori ma divenuta usuale solo più tardi, dal Trecento in poi: a chiederlo era non già il giudice bensì una delle parti in causa, che preferiva aggiungere alla difesa normale affidata al proprio avvocato anche il parere di un luminare del diritto la cui fama e la cui dottrina sperava potesse indurre la corte a riconoscere le sue ragioni.
Tali consilia erano ben distinti dalle allegazioni degli avvocati, in quanto chi li sottoscriveva con ciò stesso dichiarava che, ove egli fosse stato il giudice, tale sarebbe stata la sua decisione.
Proprio l'autorità degli autori dei consilia richiesti dai litiganti ne determinò la fortuna: i maggiori esponenti della dottrina del Commento, provvidero quasi tutti a raccogliere e diffondere i propri consilia, che più tardi vennero editi a stampa accanto alle opere teoriche e pratiche dei.
loro autori. I consilia entrarono così a far parte del patrimonio della dottrina e furono utilizzati e citati per secoli. 12. I COMMENTATORI I postaccursiani Nella prima metà del Duecento, contemporaneamente ad Accursio, altri giuristi seguivano vie differenti. Va ricordato in particolare Jacopo Baldovini, autore di acute esegesi e di importanti teorie, quale è quella che distingue le norme "ordinatorie" da quelle "decisorie", per la prima volta separando con chiarezza il piano della disciplina processuale da quello del diritto sostanziale, con conseguenze di grande rilievo pratico e teorico. Le sue tesi sono state in parte tramandate dall'allievo Odofredo, anch'egli professore a Bologna intorno alla metà del secolo, autore a sua volta di Letture in cui i primordi dell'università e altri eventi storici della Scuola dei Glossatori sono arrivati agli scolari del tempo. Ma con Accursio si è ormai esaurita, dopo.cinque generazioni di studiosi, la funzione storica della Glossa, che aveva ormai trovato il suo punto di approdo. Nel Duecento si affermò, accanto all'insegnamento teorico impartito nelle università, una tipologia di opere rivolte direttamente ai pratici del diritto. Proseguì e si intensificò la redazione di opere di procedura civile e canonica, nel filone degli ordines iudiciorum. Ci si preoccupò dello ius proprium, cioè di quel diritto formato da consuetudini, statuti dei comuni e degli altri ordinamenti come le corporazioni, le consorterie, le confraternite. Alberto da Gandino, giurista che fu attivo come podestà e come giudice penale in molte città italiane, compose una raccolta di Quaestiones statutorum e scrisse alla fine del Duecento un trattato de maleficiis che offre un panorama completo del diritto penale nelle diverse città italiane. La scuola di Orléans Tra i centri di studio del secondo Duecento, un ruoloParticolare ebbe la piccola università di Orléans. Ad Orléans, anche per influenza di maestri italiani di provenienza bolognese ma di indirizzo non accursiano come Guido de Cumis che fu allievo di Baldovini, alcuni maestri affrontarono lo studio dei testi romani con metodo nuovo. Il maggiore di essi, Jacques de Revigny, mostra nelle sue lezioni (che trattavano innanzitutto della Lettura al Codice, al Digesto vecchio e al Digesto nuovo e a un Dictionarium iuris) una grande indipendenza di pensiero rispetto alla Glossa d'Accursio e un particolare acume nell'interpretazione delle fonti. E così pure Pierre de Belleperche, che insegnò negli ultimi vent'anni del secolo, anch'egli autore di un'importante Lectura al Codice e di altri scritti di commento al Digesto e alle Istituzioni: un giurista di assoluto spicco, che ebbe in Italia una fortuna particolare attraverso la larga ricezione che Cino da Pistoia e altri Commentatori fecero delle
sue teorie. Da un lato, colpisce la profondità e la sistematicità dell'analisi testuale: gli orleanesi, a cominciare da Revigny, commentano a fondo ogni passo, con analisi esegetiche più esaustive di quelle dei Glossatori. Non di rado le esegesi ormai tradizionali sono dimostrate errate, e perciò rettificate senza esitazione. Viene sistematicamente ricercata la ratio della norma, il principio che sta alla base di essa, anche se non espresso letteralmente nel testo, così da rendere possibile la sua corretta applicazione anche a casi non esplicitati, ma simili a quello che la norma contemplava. Questa tendenza ad affrontare temi cruciali per la pratica del diritto non è in contraddizione con un atteggiamento apparentemente ignaro della prassi e tutto volto all'esegesi: perché la profondità analitica e l'attenzione ai casi concreti e al mondo delle consuetudini non sono se non i due aspetti complementari di un indirizzo.chepresuppone l’adeguatezza dei testi romani a risolvere ogni possibile controv