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BUDDHA;
- ARHAT è inaccessibile all’odio, all’ignoranza e alla seduzione;
- il Buddha è il migliore degli esseri umani e prova compassione per tutte le creature viventi;
- può esistere un solo Buddha alla volta sulla terra;
- dopo la sua scomparsa il Buddha si manifesta tramite reliquie o l’insegnamento che gli
sopravvive;
- il Buddha può scegliere se rinascere in un dominio inferiore per aiutare gli esseri umani;
- deve avere una vita monastica;
- deve praticare la meditazione SAMATHA;
il nucleo dottrinale del Buddhismo Theravada risiede nel cosiddetto ovvero l’insieme
Canone Pali,
delle opere redatte in forma di libro che racchiudono l’ammaestramento del Buddha.
Esso viene ripartito in 3 sezioni:
1. Canestro della Disciplina;
2. Canestro dei Discorsi;
3. Canestro della Dottrina;
Di particolare importanza sono due testi:
- PATIMOKKHA il nucleo più antico; comprende un elenco analitico delle prescrizioni e dei
divieti cui debbono soggiacere i monaci e una lista delle sanzioni per le trasgressioni. È
previsto che i monaci pratichino la castità e in generale che conservino una alto livello di
moralità;
- KANDAKHA comprende una serie di norme che regolano l’uso che ne deve fare il monaco
di particolari oggetti. È menzionato l’abito che ha numerosi rimandi alla teoria del non – sé.
è un elemento importante che ha numerosi rimandi alla dottrina dell’ANATTA (
Il vestito
superamento dell’esistenza intrinseca del sé). Il vestito si allontana completamente da una
connotazione sociale. la veste che i monaci indossano è frutto della carità che regge lo statuto
monastico. L’abito del monaco è ben lontano da qualcosa che possa avere un valore estetico e
magnifichi il corpo. L’abito è contemplato e indossato solo al fine di ripararsi dal freddo, dal caldo,
dal vento, dalle punture di mosche e per coprire le parti del corpo che sono causa di vergogna. Se
l’abito non fosse così utilizzato il monaco incorrerebbe in: agitazione, vessazione o febbre. Il
monaco deve dirsi egualmente felice di ottenere o no una veste, possederne una nuova o meno.
Non dovrà avere un senso di attaccamento all’abito. I materiali ammessi per confezionarlo sono:
lino, cotone, seta, canapa o tela e la mischia con la juta. Il materiale con cui confezionare l’abito
deve essere giunto come dono. Rinnova così la vicinanza alla povertà, questo però non gli
impedisce di avere un vestito ordinato e ben confezionato. Il monaco può possedere un vestito
fatto con materiale trovato come rifiuto o preso da un cadavere. Quest’ultima circostanza avvicina
ancor di più il monaco alla meditazione dato che la morte è uno dei punti su cui focalizza la propria
attenzione. L’abito completo è detto CIVARA e le parti che lo compongono KHANDA. Il CIVARA è
costituito da 3 sezioni: gonna che copre dalla vita al ginocchio, una camicia per torso e spalle e una
sorta di mantello. Queste parti sono il risultato dell’unione dei KHANDA che sono in tutto 5.
Nel caso in cui l’abito debba essere confezionato dallo stesso monaco questi può ricorrere a degli
strumenti che non devono essere multicolore o comunque che abbiano qualsiasi tipi di valore
estetico e provvedere loro alla conservazione di questi. È consentito l’uso del telaio davanti a cui è
considerata infrazione sedersi con i piedi non lavati, bagnati o calzati.