Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
LA DIAGNOSI PER LO PSICOLOGO RELAZIONALE
Minuchin è attraverso la ricostruzione del contesto che il comportamento sintomatico
assume significato, esplica la sua funzione all’interno degli equilibri del sistema di
riferimento. Fare diagnosi significa adottare un modello conoscitivo che prevede una
raccolta anamnestica e clinica dei dati, che vengono poi messi in continua relazione
tra loro lungo un doppio asse, quello verticale-individuale, e quello orizzontale-
relazionale-familiare. Questa impostazione, che esce già dalla semplice ottica lineare
di causa-effetto collocandosi in un modello a due dimensioni, prende maggiore forma e
consistenza introducendo quella che potremmo definire la terza dimensione, quella
temporale, che in se racchiude la storia personale e familiare, le tradizioni e i miti, le
strutture relazionali così come si sono organizzate nel corso del tempo. In questo
modo fare diagnosi diventa un procedimento complesso e dinamico che implica un
continuo scambio di informazioni all’interno del sistema di relazioni che si instaurano
tra il terapeuta e il paziente/famiglia. La diagnosi relazionale lavora così verso
l’identificazione ed il riconoscimento del senso, del significato che all’interno di un
determinato sistema assume quella determinata manifestazione sintomatica,
guidando il terapeuta nella formulazione di una serie di ipotesi di funzionamento che,
co-costruite, guidano l’azione terapeutica.
Ma come possono di per sé le ipotesi avere un valore terapeutico?
Bateson ( 1979) sostiene che un sistema patologico è un sistema che ha perduto la
possibilità di ricevere informazioni perché filtra e seleziona solo i messaggi che sono
coerenti con la propria organizzazione esterna, vale a dire che lavora per il
mantenimento dell’omeostasi, il che è stato da molti individuato come un movimento
difensivo del sistema. se nella diagnosi medico-psichiatrica il sistema di riferimento
all’interno del quale inquadrare la sintomatologia è un sistema ufficialmente condiviso
( DSM, ICD,…), per quanto riguarda la diagnosi relazionale il sistema di riferimento è
dato dalla relazione stessa tra il terapeuta e il paziente/famiglia, poiché è in tale
contesto che la lettura del sintomo assume un determinato significato. Se per altre
tipologie di approccio il momento della diagnosi viene considerato quasi un momento
a se stante e quindi potenzialmente isolabile dal resto del processo terapeutico, per la
terapia sistemica il percorso diagnostico è di per sé un processo terapeutico, che si
compie facendo, nel corso dell’interazione e che è imprescindibile dalla relazione che
si instaura nel corso del tempo. L’ingresso nella seconda cibernetica sposta l’asse dal
concetto di oggettività, e quindi modifica il costrutto per il quale l’osservatore in
quanto esterno al sistema osservato può giungere ad una conoscenza aderente alla
realtà, e restituisce a pieno titolo il potere alla relazione, ponendo l’osservatore come
parte del sistema osservato. MODULO VII
Dodici dimensioni per orientare la diagnosi sistemica
Matteo Selvini1
Versione novembre 2006 inviata a Terapia Familiare
Premessa generale
Per diagnosi sistemica intendo quelle valutazioni che scaturiscono da due elementi
fondamentali:
1) la conoscenza dei dati di fatto fondamentali della storia del paziente e della sua
famiglia.
2) L'osservazione nel qui ed ora di come la famiglia si rapporta sia al suo interno
che con il professionista che entra in contatto con lei.
La diagnosi sistemica punta i suoi riflettori soprattutto sul qui ed ora della famiglia
(aspetto sincronico), pur, come abbiamo visto, tenendo conto di alcuni fatti
fondamentali che segnano la storia di quella persona e di quella famiglia (aspetto
diacronico). In questo si differenzia da un altro importante sistema diagnostico
relazionale: quello trigenerazionale, che si focalizza invece sulla storia e sui processi di
trasmissione di tratti e comportamenti attraverso le generazioni. La diagnosi sistemica
(o ipotizzazione relazionale) per la sua maggior semplicità va utilizzata soprattutto
nella fase di consultazione, cioè nella fase iniziale del trattamento familiare, dopo la
valutazione della domanda, mentre in linea di massimo la diagnosi trigenerazionale e
le diagnosi individuali diventano operative in una fase successiva. Il criterio per
utilizzare o privilegiare l'una o l'altra delle dodici dimensioni sistemiche è quello
dell'evidenza o immediatezza: quanto si presenta molto chiaramente e consente un
intervento semplice che la famiglia può comprendere, accettare, mettere in atto.
Cercherò ora di illustrare tali dimensioni.
1. DIMENSIONE STRUTTURALE
È quella classica inaugurata da Minuchin (1974), che si occupa dell'organigramma
della famiglia in termini di gerarchie rispettate, vicinanza/lontananza, confini,
sottosistemi. Consente tutta una serie di strategie operative immediate. , la ricerca
clinica sistemica ha per molti anni tentato di collegare una certa configurazione anche
strutturale della famiglia con una specifica psicopatologia individuale: la famiglia dello
schizofrenico (Haley 1959), la famiglia dell'anoressica (Selvini Palazzoli 1974) e così
via. Questo programma di ricerca è fallito in quanto concettualmente errato
nell'operare un'eccessiva semplificazione delle variabili in gioco. Per questo abbiamo
più recentemente parlato della necessità di un approccio che metta in correlazione tra
loro tre poli: famiglia, sintomo e personalità (Selvini Palazzoli et al. 1998). È tuttavia
possibile individuare delle specifiche strutture familiari che con una probabilità molto
maggiore della pura casualità si associano a specifici sintomi o disturbi della
personalità. Per quanto riguarda i sintomi ne troviamo un esempio classico negli studi
sulle famiglie psicosomatiche (Minuchin 1974, Onnis 1981) caratterizzate da
evitamento del conflitto ed altre caratteristiche. Per quanto riguarda il disturbo di
personalità, possiamo dire che in linea generale una struttura molto paritaria delle
relazioni familiari. è osservabile in presenza di una patologia della personalità, sia dei
genitori che dei figli, di area drammatica, tanto border che istrionica. Invece un tratto
di personalità di tipo narcisista è spesso osservabile in associazione ad una storia in
cui questo figlio (si tratta più spesso di maschi) è stato eccessivamente ammirato, a
volte quasi mitizzato. La dimensione strutturale è quella più osservabile direttamente
attraverso la consultazione familiare stessa, ad esempio attraverso i comportamenti
non verbali.
2. DIMENSIONE DEL GIOCO DI POTERE
È quella classicamente strategica che parte da Haley (Madanes 1981)ed arriva a I
giochi psicotici della famiglia. Qui i concetti base sono quelli di alleanza, fazione,
triangolo perverso, istigazione, imbroglio, stallo di coppia, svincolo. Un tema
classicissimo, pure trasversale alle dimensioni della struttura e del potere, è quello
della triangolazione. Con questo termine ci si riferisce a come la relazione tra due
membri della famiglia influenza un terzo familiare. La triangolazione potrebbe anche
essere considerata una tredicesima dimensione. L'esempio più classico è quello
dell'effetto sul figlio del conflitto di coppia, spesso definito invischia mento. Haley
(1969) definisce invece "triangolo perverso" l'alleanza tra un genitore e un figlio contro
l'altro genitore. Questa dimensione è storicamente legata sul piano del trattamento ai
paradossi. Insieme a quella affine della giustizia, la dimensione del potere è
fondamentale per l'identità del terapeuta sistemico. Rispetto al potere il terapeuta
deve quindi innanzi tutto lavorare su se stesso, trovando quel difficile equilibrio tra
onnipotenza (l'illusione di curare sempre e tutti con le proprie forze) e impotenza
(giudicare tutti troppo gravi, poco motivati, il contesto inadatto, ecc.). Poi dovrà
portare quello stesso equilibrio ai pazienti ed alle famiglie nella ridistribuzione del
potere e delle responsabilità. Nell'osservazione di questa dimensione del potere le
indagini più classiche riguardano la leadership, cioè il ricostruire come nella famiglia
vengono prese le decisioni più importanti.
3. DIMENSIONE DEL CONTROLLO
Si tratta della classica valutazione di quanto i genitori sanno far rispettare le regole.
Nella tradizione sistemica (e non solo) è molto evidente come le famiglie dei
tossicodipendenti siano state valutate da questo punto di vista come abitualmente
sotto-dosate rispetto a questa dimensione del controllo (o ruolo guida, o "mastering")
genitoriale. Al polo opposto di questa dimensione, ad esempio con l'anoressia
restrittiva, ci cimentiamo tradizionalmente con gli eccessi di una genitorialità
controllante, soprattutto sul tema alimentare. È molto interessante valutare anche
quanto i figli controllano i genitori. È evidente il collegamento tra la dimensione
relazionale dell'ipercontrollo e tutto il cluster C del DSM (dipendenti, evitanti,
ossessivi). Controllo è tuttavia un tema troppo generico: infatti volendo distinguere, da
questo punto di vista, le tre categorie del cluster C, si potrebbe parlare di controllo
iperprotettivo per i dipendenti (o simbiotici), controllo basato sulla critica, sul "far
vergognare" per gli evitanti, controllo basato sull'eccesso di regole e disciplina per gli
ossessivi.
4. DIMENSIONE DELLA PREOCCUPAZIONE
Si tratta di una dimensione che emerge con evidenza allorché si sonda quanto i
genitori sono preoccupati per un problema di un figlio. Ci sono qui delle analogie con il
tema strutturale distanza/vicinanza e con quello del controllo, però la dimensione della
preoccupazione mette in luce una polarità emotiva, piuttosto che direttiva, nella
genitorialità. Questa dimensione è particolarmente utile ed operativa nei primi
colloqui, dove è osservabile nelle due opposte polarità, da un lato la minimizzazione
del problema (che può manifestarsi nei due sottotipi del distacco/indifferenza, o
dell'ostilità/ipercriticismo) e dall'altro la drammatizzazione. Nei due casi è chiaro il
ruolo di riequilibrio che dovrà svolgere il terapeuta in modi contrapposti: rispetto alla
minimizzazione dovrà trovare la tecnica più efficace per far risaltare la realtà e l'entità
del problema. Rispetto invece alla polarità opposta caratterizzata dalla
drammatizzazione, siamo chiamati ad utilizzare tecniche di contenimento dell'ansia.
5. DIMENSIONE DEL CONFLITTO/COOPERAZIONE
Possiamo trovarci di fronte famiglie (o coppie) molt