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Operette Politiche e Satiriche - Pietro Aretino

Ragionamento delle Corti

Pubblicato a Venezia nel 1538, Aretino è a Venezia da ormai dieci anni e ha una posizione stabile,

circondato da un alone di timore e di prestigio internazionale.

Dopo la missiva con Francesco Coccio 1537, dove aretino si congratula con lui di non essere entrato a far

parte delle corti, di non aver abbandonato gli studi.

Dedicata al sovrano Francesco I ( per la prima edizione marcoliniana), al quale invia una lettera proprio nel

'38, e in seguito viene dedicata a don Luigi d'Avila uno dei segretari di Calo V e il quale era lui stesso un

cortigiano. La seconda edizione è del 1542.

Quando scrive l'opera la letteratura anticortigiana è ormai consolidata: De curialium miseriis di Piccolomini,

di cui aretino non ha preso nulla perchè in latino, poi le Satire di Ariosto, lette da aretino e sicuramente

vicino all'opera

Aretino abbandona i temi pasquineschi e si avvicina al dialogo che era uno strumento duttile e adattabile con

una illustre tradizione e sicura dignità letteraria. Ha come spunto gli Asolani di Bembo e il Cortegiano del

Castiglione.

corte = mercato delle menzogne, dove solo chi sa mentire sa regnare. Perenne carnevale dove ogni valore

viene capovolto (hanno più fortuna i parassiti e i giullari). Vi sono pratiche conflittuali e violente. Vi sono

azioni inutili e prive di senso. In cui non c'è spazio per le scienze e lo studio. La corte si prende beffa dei

cortigiani, questa beffa è un gioco infantile, quasi malvagio, con scherzi gratuiti e feroci. L'unica possibilità

di entrarvi è quindi quella di mettere una maschera, di fingersi analfabeta.

L'unico volto autentico della corte è quello della morte.

arte vs corte = antitesi radicata fin dall'inizio. L'arte sono gli studi, sono quelle cose che nascono secondo

natura. Nella corte l'arte verrebbe soltanto condizionata dai suoi statuti capovolti.

giardinetto = altro luogo non reale, di inganno che però è protetto. (nella conversazione tra la nanna e

l'antonia il giardino era la stessa nanna, che si stava avvicinando versa la vecchiaia, che mancava la fontana

e il susino si sta seccando).

miseria = del cortigiano (piccolomini) riprese dal repertorio aneddotico personale di aretino

modus operandi di aretino: è in grado di riattivare immagini ed esperienze ricollocandole in contesti affini

ma mai identici

La corte è un luogo infernale e non terreno e le qualità nefaste della prostituzione diventano ora tipiche della

cortigianeria.

Il ragionamento è un'opera fondamentale nel percorso culturale di Aretino, nasce dai rapporti tra papa-re-

imperatore durante il convegno di Nizza 1536-37 (dove si sancisce una tregua decennale 38-47) , il testo

viene stimolato da quegli eventi.

Affrontare un dialogo sulle corti in quel tempo significava entrare nel merito di una questione che investiva

le forze politiche dell'Europa e partecipare al dibattito come protagonista e giudice.

La Curia papale è quella di Clemente VII, quindi una curia passata dato che al potere ora c'è papa Paolo III

il quale aveva rapporti politici con Venezia.

Dall'invettiva sembrano salvarsi la corte francese e imperiale dato che non possono essere definite

propriamente delle corti. Anche Venezia è ben distante dall'idea di corte.

Dopo averla stampata godette di successo e critica, vi furono edizioni plurime nei primissimi anni di

circolazione e si impose come modello anticortigiano (si veda Dialogo della stampa di Domenichi).

autocitazione = segno di narcisismo del soggetto che parla. allusioni a Pasquino, in altri casi vengono

direttamente chiamati in causa personaggi e situazioni di commedie o dei ragionamenti erotici.

protagonisti : Francesco Coccio, il persuadendo, letterato, traduttore, poeta petrarcheggiante, discepolo forse

di aretino (la versione letteraria non rispecchia proprio la persona perchè risulta un facile bersaglio agli

attacchi del dolce e del piccardo). cerca di opporsi al rovesciarsi caotico degli esempi del piccardo, secondo

lui la corte è sorte e non morte. Riesce a puntualizzare il piccardo, però utilizza frasi auliche proprie di una

persona che non ha una solida base nell'agone

Lodovico Dolce, il persuasore, poligrafo amico di Aretino, legato all'industria topografica

come traduttore e volgarizzatore.

Pietro Piccardo, anziano prelato della corte romana (la versione letteraria è tale e quale),

riversa in modo caotico la sua esperienze in corte attraverso esempi con i quali spiega la differenza tra morte

disperata (per il dolce è essere servo a corte) e vita pazza (per il coccio schiavo delle scuole). Il Piccardo

vuole essere il cornucopia, investire gli interlocutori con il flusso continuo quanto irregolare del proprio

discorso. Il suo discorso punta sulla corte dei preti, roma.

Giovanni Giustiniano, studioso al di fuori della corte, il suo è un discorso sfumato e

contraddittorio sulle corti dei principi, perchè dato che ce ne sono tante, non tutte sono degradate (es corte

francese e imperiale, di urbino , di luigi d'avila, di ferrara, mantova, marchese del vasto, firenze, salernitana,

rangona), ma tutte hanno la stessa qualità nell'elargire ricompense. Giustiniano cerca di recuperare

credibilità. Lo studio e le scienze sono libertà. La possibilità di esistere è al di fuori della corte. Tuttavia

cerca un punto di equilibrio tra la sfrontata libertà e la reclusione cortigiana.

Secondo il Cairns il Giustiniano doveva essere il Franco (ipotesi rischiosa).

Marcolini, tipografo, il quinto che però non parla, ospite assente, ricordato indirettamente

tre volte (in apertura al primo dialogo, in chiusura e all'inizio del secondo). La sua assenza diventa

funzionali ai fini del dialogo e ritmando i tempi teatrali. Il Marcolini è la maschera dell'autore: di colui che

copia le chiacchiere prodotte nel giardinetto. Il suo battere alla porta alla fine del dialogo è il volgere a

termine della menzogna.

I primi tre sono la stessa faccia di Aretino di quegli anni e quelli scorsi.

scuola = rovescio della corte.

corte celeste = contro-corte. senso filosofico del dialogo.

venezia vs roma : la prima è una città libera che rappresenta l'utopia realizzata, la seconda è la nuova

Babilonia. il mito di venezia si ritrova in tutta la produzione aretiniana. Venezia è un rifugio, un luogo sicuro

anche perchè culla della nascente industria tipografica.

modo di porsi dell'intellettuale davanti al potere: bisogna mettersi una maschera ed entrare a corte, oppure

starne al di fuori in modo totalmente libero.

intento dell'opera pedagogico: nei confronti di una generazione di giovani intellettuali che potrebbe essere

tentata di cercare un rifugio saldo all'interno delle corti, la cui corruzione è colpa dei cattivi signori (al

contrario di castiglione dove nel cortigiano il dotto deve saper raddrizzare il principe).

nobiltà = l'unica vera nobiltà è quella dell'animo, ma essa non ha modo di emergere all'interno della corte.

tinello= luogo orribile, tuttavia è poco citato nel ragionamento (poichè ha avuto più spazio nella Cortigiana

di Aretino)

Cortigiano del Castiglione: è dotato di qualità indirizzate a un buon fine che consistono nel guadagnarsi la fiducia del

principe attraverso la verità. il cortigiano riesce anche a contraddire il signore nel caso egli tramasse azioni disoneste.

Tuttavia anche se il cortigiano è così vicino al potere non ne fa parte, perchè il cortigiano è solo un esecutore degli

ordini.

De curialium miseriis di E.S.Piccolomini: lettera in forma di trattato nel quale si cerca di dissuadere nell'entrare a corte,

che è un mondo rovesciato. Il cortigiano si giocherebbe i cinque sensi. il cortigiano poi dimora nel tinello, luogo di

guai notturni dove si dorme in tanti e su pagliericci puzzolenti. L'epistola ha un espressivismo basso-corporeo e

denuncia le nefandezze che albergano nelle corti, e del ruolo marginale che ricopre l'intellettuale. I modelli a cui si è

ispirati il piccolomini furono la quinta satira di Giovenale, il Sul'infecilità dei principi di Poggio Bracciolini ( il quale

aveva avuto esperienza della corte romana)

Dialogo del giuoco o le carte parlanti

Pubblicato a Venezia nel 1543

Nella penisola la produzione sul gioco e tarocchi è consolidata(Tarocchi di Boiardo, Colloquia di Erasmo)

quindi la produzione in volgare sfruttava la fortuna di un soggetto europeo, era in voga in spagna.

Le notizie relative alla genesi sono esigue. Nel dialogo interloquiscono il cartaio Domenico di Francesco

detto il Padovano e le sue creature dotate di favella, le Carte.

Nel 1541 il Padovano aveva inviato all'Aretino un mazzo di carte, di cui lo scrittore se ne sbarazzò per poi

scusarsi subito dopo ripagando la gentilezza con quest'opera che però non è dedicata al Padovano.

L'opera fu dedicata a Ferrante Sanseverino principe di Salerno, dal quale Aretino percepiva una pensione,

ma i rapporti si stavano increpando dal mancato versamento della pensione da parte del protettore, così

aretino rimprovera il gentiluomo per un comportamento così poco confacente e afferma di dedicare a lui

l'opera perchè l'esempio della pazienza del giocatore che non si adira mentre perde è l'unico termine di

paragone per rappresentare l'animo di aretino. (sanseverino = gioco : aretino= giocatore). entrambi

sottoposti al caso, alla fortuna e dal quale ne escono attraverso l'imperturbabilità stoica.

Nel 1544 Aretino fa menzione dell'opera già stampata.

dialogo= nella letteratura di origine platonica serve a ricercare la verità attraverso uno scontro di idee

contrapposte.

All'interno del testo vi è il gioco dell'autocitazione.

La rivoluzionaria tesi esposta da Aretino nel Dialogo rovescia le parole della Nanna: cioè il gioco non è da

condannare come ritengono i più, l'idea della moralità del gioco avrebbe contribuito alla diffusione dei

Tarocchi del Boiardo.

La costruzione del Dialogo ruota sull'idea stoica secondo la quale l'ottimo giocatore deve restare

imperturbabile dinanzi al gioco e dimostrare una serena pazienza.

Nel Dialogo, Aretino si fa osservatore del mondo: le carte diventano in questa occasione l'elemento

discriminante con il quale separare gli uomini traviati dal vizio e quelli seguaci di virtù.

Dimostrazione del mondo con i suoi capricci e dimostrare le competenze dell'autore riguardo le vicende

umane.

Scopo dell'opera è anche quello di innalzare il valore delle carte ( in contrasto con le accuse del Berni).

Le carte non sono regolate da leggi ma dal capriccio (in competizione col Decameron di Boccaccio), dove il

nuovo mode

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
6 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Shrewa di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof Crimi Giuseppe.