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LA POLITICA LINGUISTICA DEL FASCISMO
CAPITOLO 1
Per uno studio sociolinguistico della politica linguistica del fascismo
Quando si a ronta l’argomento della politica linguistica durante il ventennio fascista, si deve fare
riferimento alla sociolinguistica applicata. Essa si occupa delle di erenze sociali che toccano i principali
campi della linguistica applicata, quali politica linguistica, piani cazione linguistica, insegnamento
linguistico, creazione e modi cazione di sistemi di scrittura..
Secondo Fishman, la politica linguistica sembra costruire il campo centrale della sociolinguistica
applicata; agli inizi degli anni 60, la sociolinguistica si sviluppa a partire da interventi governativi. Fino
alla metà degli anni ’60, i problemi di piani cazione linguistica sono gli ultimi ad essere considerati nello
studio e nella valutazione della più vasta questione dea lingua nazionale, legata ai paesi in via di
sviluppo. Si parlò di “piani cazione linguistica” per la prima volta al convegno del 1966, che costituisce
l’inizio per il primo progetto di ricerca che si occupa dei problemi dei processi di piani cazione
linguistica.
A livello teorico, lo studio della politica linguistica è collegato con quello delle lingue di contatto e si
inquadra nel quadro del cambiamento linguistico. La politica linguistica è quindi da considerare come
variabile dipendente in processi economici, politici e sociali.
Il termine “piani cazione linguistica” è stato usato per la prima volta da haugen, e si trova accanto al
termine di “politica linguistica” come sinonimo, in complementarietà o in rapporto gerarchico, spesso
con una delimitazione del termine nei confronti di termini a ni.
Occorre precisare che si opta per il termine “politica linguistica” piuttosto che “piani cazione
linguistica”: innanzitutto la scelta consiste nel distinguere nella politica linguistica vari gradi di
intenzionalità, dal consapevole al non consapevole. Un secondo motivo sta nella maggiore
a ermazione odierna del termine “politica linguistica” come termine onnicomprensivo rispetto a quello
di piani cazione linguistica. Nel termine “politica linguistica” si assommano tutti gli aspetti costitutivi del
fenomeno, da quello decisionale a quello esecutivo, no al risultato e all’e etto a livello della comunità
linguistica.
La descrizione dei possibili tipi di politica linguistica dovrà tenere conto di:
- Della de nizione della norma linguistica da attuare
- Del “datore” o dalla fonte della norma
- Dell’ambito in cui deve valere sia dal punto di vista sociale che da quello funzionale.
Lo schema di Fishman invece distingue 4 contesti:
- Presa di decisioni
- Funzione di pressione
- Integrazione nazionale
- Valutazione
Quadro teorico-metodologico
Lo studio delle varie forme di politica linguistica può essere ricondotto a una serie generale di aspetti e
sotto-aspetti.
Il primo di questi aspetti da tenere presente è la de nizione della norma, che deve comprendere un
esame preliminare del repertorio sociolinguistico di una data comunità linguistica. In questo ambito
abbiamo diverse varietà:
- Varietà standard
- Varietà classica
- Vernacolo (lingua prima della de nizione data dall’Unesco)
- Dialetto
- Creolo
- Pidgin
- Varietà arti ciale
- Xized Y ( varietà mista ma non ridotta come il pidgin, usata da un gruppo).
- Interlingua (varietà mista ma individuale)
- Foreigner talk (varietà usata dai parlanti nativi verso stranieri .
All’interno della de nizione della norma occorre operare una distinzione tra i vari status di lingua che
ri ettono diversi atteggiamenti del governo:
- Unica lingua u ciale
- Lingua u ciale aggiuntiva
- Lingua u ciale regionale
- Lingua promossa 1
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- Lingua tollerata
- Lingua scoraggiata -> nel caso della politica linguistica del fascismo, questa categoria risulta
insu ciente e si propone di aggiungere un’ulteriore categoria chiamata “lingua vietata”
- Lingua vietata.
Si devono individuare le funzioni che la varietà di norma può avere:
- Lingua di comunicazione più ampia esterna e/o interna
- Lingua di istruzione o ampiamente insegnata come parte di educazione formale e/o usata come
mezzo di insegnamento
- Lingua di religione
- Eventualmente altre de nizione del tipo di piani cazione linguistica.
Il secondo aspetto riguarda la Nella decisione sul tipo di
piani cazione linguistica da attuare si deve scindere tra i tentativi di politica linguistica, che mirano
all’interno del sistema linguistico, oppure a una parte sola di esso, e gli altri tentativi, che mirano a tutte
le varietà linguistiche in una comunità. L’ottica extralinguistica riguarda la funzione di una o più varietà
linguistiche nella loro distribuzione funzionale (pragmatica e sociale) nella comunità.
Nello stabilire delle norme d’uso si devono distinguere varie modalità di standardizzazione: formale
(comportamento linguistico codi cato), informale (norme d’uso non codi cate ma socialmente
preferite), monocentrica ( secondo un unico insieme di norme universalmente accettate) e policentrica
(secondo diversi insiemi di norme d’uso coesistenti); può anche veri carsi una standardizzazione
endonormativa (basata su modelli d’uso di varietà linguistiche native della comunità) ed esonormativa
(basata su modelli d’uso stranieri).
fonti o i datori della norma
Per quanto riguarda le (soggetti/istituzioni che stabiliscono la norma),
occorre tener conto di motivazioni, interessi e misure d’intervento. È utile la distinzione tra organismi
decisionali ed esecutivi in ambito intragovernativo ed extragovernativo, come politici, letterati,
religiosi…
Ci sono 4 tipi di motivazioni:
1. Punto di vista estetico
2. Sempli cazione della comunicazione tramite regole linguistiche
3. Normalizzazione di linguaggi tecnici come misura di razionalizzazione
4. Lingua come mezzo di controllo sociale
5. Si aggiunge una 5^ motivazione: l’integrazione nazionale che nel contesto si rivelerà indispensabile.
Le misure di intervento vengono prese tramite mezzi che si dividono in leggi prescrittive e modelli
potenzialmente da imitare. La scelta del mezzo determina l’area/ le aree d’intervento -> ne conseguono
aree su cui è possibile intervenire più speci catamente (es istruzione, editoria..).
È bene ricordare che in ogni processo politico-linguistico vi sono dei gruppi di interesse che esercitano
delle pressioni sugli organismi decisionali.
all’ambito
Quanto in cui la norma deve essere applicata, occorre distinguere se si riferisce all’intera
comunità linguistica o solo ad una parte di essa. Sull’adeguamento di una norma in uiscono fattori
quali il prestigio, il potere di chi stabilisce, il conformismo, la disponibilità..
Questa parte deve essere preceduta da un esame del tipo di comunità linguistica: in questo contesto si
possono distinguere stati con endoglossia (dove la lingua nazionale u ciale è la lingua madre per la
maggioranza della popolazione, con eventuali minoranze linguistiche di immigrati), stati con esoglossia
(stati eterogenei linguisticamente; in essi qualcuna delle varietà può avere assunto la funzione di lingua
franca, ma pochissime sono accettate come lingua u ciale) e stati misti (la funzione nazionale e
u ciale è scissa tra una lingua indigena e una non indigena).
Si possono indicare eventuali situazioni di diglossia e/o bilinguismo sociale.
È in ne necessario valutare la misura del successo di ogni politica linguistica, anche se ciò è molto
problematico. Si può rimandare per questi aspetti agli studi sull’interazione fra forze sentimentali e
strumentali tendenti all’integrazione o alla disintegrazione nei processi di piani cazione linguistica.
Momenti di politica linguistica del fascismo
A condizionare le scelte di politica linguistica dell’epoca fascista, è inizialmente il sentimento della
piccola borghesia istruita, che no alla de nitiva rottura tra regime-popolo del 1938, costituisce la base
del consenso.
Da un lato essi a ermano l’uni cazione come un dato di fatto, dall’altro si impegnano nella puri cazione
della lingua chiamata nazionale, da elementi disturbanti, verso tutte le varietà linguistiche diverse dalla
lingua nazionale. 2
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Il dibattito linguistico ha come retroterra ideologico la vecchia questione della lingua con le sue
convinzioni puristiche e nazionalistiche ottocentesche, basate sull’equiparazione tra lingua e nazione,
lingua e popolo, che nel clima del fascismo riemergono, modi cate ed adattate alla nuova realtà.
Ci sono 3 loni di discussione: l’ostilità verso i dialetti ed ogni regionalismo; l’ostilità verso le lingue delle
minoranze; la xenofobia tesa a eliminare qualsiasi elemento linguistico straniero. Il denominatore
comune è quindi la difesa della lingua nazionale, dell’idioma patrio nella sua purezza e unità.
L’a ermazione di una “unità nazionale della lingua” ha come elemento il tentativo di sopprimere le altre
varietà linguistiche (dialetti, lingue minoritarie..).
In ogni analisi dei complessi meccanismi delle politiche linguistiche, si deve tenere presente il
GIACOBINISMO LINGUISTICO: il giacobinismo linguistico fascista si esplica sotto forma di repressione
dei dialetti, delle lingue minoritarie e delle espressioni straniere, nell’intento di raggiungere il consenso
nella ricerca di una uni cazione linguistica, che ancora non si era realizzata, nonostante gli interventi
linguistico-piani catori.
Si è deciso di concentrarsi su alcune aree di intervento politico-linguistico, esaminando ciò che riguarda
la legislazione, l’istruzione, il mondo accademico, le minoranze etniche/linguistiche..
Seguendo i tre loni indicati precedentemente, sarà possibile delineare tre dei momenti principali della
politica linguistica durante il fascismo: partendo dall’ambito dell’istruzione pubblica, il regime cerca di
realizzare una politica di uni cazione linguistica no a giungere alla dialettofobia; contemporaneamente
una nazione= una lingua,
si sviluppa l’idea dell’equiparazione -> con gli interventi nei confronti delle
maggiori lingue minoritarie nel campo dell’istruzione e del loro uso pubblico, no a penetrare nell’uso
privato. Lo sforzo di raggiungere da un lato e di mantenere dall’altro l’ideale di unità linguistica, culmina
in una politica linguistica autarchica nei confronti degli &ldq