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POLITICHE DELL’IRREALTA’
1. I fantasmi dei fatti
Come raffigurare la realtà? I modi sono molteplici e spesso anche discordi tra loro.
Nel libro vengono analizzati due modi contrastanti di analizzare la realtà. Da una parte, Saviano,
autore del romanzo-inchiesta Gomorra, ritiene che la letteratura ha il compito di raffigurare con la
massima precisione possibile la realtà.
Dall’altra parte, invece, la realtà è frutto di un processo costruttivo interamente delegato al medium
dell’immagine. La realtà appare deformata, spesso ai limiti dell’osceno – come le immagini che
documentano le torture compiute ad Abu Ghraib o le video esecuzioni dell’Isis – e ci proietta in una
sorta di irrealtà, popolata da fantasmi.
Saviano, nella composizione del suo romanzo più celebre, Gomorra, è stato influenzato
profondamente dalla tradizione letteraria del concetto di non-fiction novel.
Il non-fiction novel è un romanzo che mette in scena eventi avvenuti realmente (fiction novel =
romanzo che parlano di qualcosa di inventato dall’autore).
Possiamo considerare Truman Capote il progenitore del non-fiction novel e la sua opera più nota, A
sangue freddo, l’archetipo di questo genere di romanzi. Racconta la storia dello sterminio di
un’intera famiglia compiuto nel 1959 da due giovani balordi appena usciti di galera.
Capote si rende conto che durante la trasposizione letteraria un evento realmente accaduto si
sovrappone all’irrealtà, cosicché realtà e irrealtà diventano un’unica cosa.
Un romanzo è un “distillato della realtà”, una rielaborazione dell’evento da parte della mente
dell’autore.
Tutti gli eventi che si susseguono lungo la vita di un individuo rimangono avvolti da un alone di
ombre fitte e spesse, di fantasmi.
James Ellroy, con il romanzo autobiografico I miei luoghi oscuri, racconta dei propri fantasmi.
Quando aveva dieci anni, la madre venne trovata di notte morta per strangolamento. Il piccolo
James fu costretto a convivere accanto ad una costellazione di immagini disarticolate, che si sono
trasformate in un assedio di fantasmi.
Leonardo Sciascia, archetipo italiano della non-fiction novel, ritiene che in un primo momento,
durante la stesura di un testo, bisogna separare la realtà dall’invenzione, quando però si passa dalle
testimonianze alle congetture, diventa indispensabile il ricorso alla fiction.
Per Sciascia, dunque, è fondamentale ipotizzare attraverso l’immaginazione, poiché permette di
scavare più a fondo una notizia (soprattutto le più misteriose).
E così ha fatto ne La scomparsa di Majorana, in cui ha ricondotto la scomparsa del fisico siciliano a
una fuga causata dalla precoce intuizione che il processo di fissione nucleare avrebbe comportato la
preparazione della bomba atomica. Ed è qui che utilizza per la prima volta il termine “ i fantasmi
dei fatti”, che come “la realtà riflessa” di Capote e le “fantasie” giovanili di Ellroy, rappresentano le
ipotesi e le congetture, senza le quali non si potrebbe interpretare un evento.
E queste ipotesi sono vere? La realtà non permette di saperlo.
Ed anche nel romanzo L’Affair Moro, Sciascia vuole afferrare “i fantasmi dei fatti”, capire la realtà
relegandola anche all’irrealtà.
Non esiste alcuna testimonianza che possa garantire la veridicità alla realtà, poiché quest’ultima è
circondata da una cortina di ombre.
Al contrario Saviano conferisce una fiducia incrollabile al testimone, che diventa l’unico custode
della realtà. Lo scrittore-testimone è colui che oltre ad aver preso parte agli eventi, li tramanda
mediante la narrazione.
Ma come abbiamo visto prima, nel momento in cui si traspone letterariamente si perde una parte
della realtà, così Saviano, per raggirare questo ostacolo, si è tramutato in un cronista della realtà,
dove la parola acquisisce il potere di denuncia.
Per Saviano la realtà non si manifesta attraverso riflessi né fantasmi. La conoscenza è sempre il
prodotto di una verifica operata dal soggetto. Infatti non gli interessa scavare nell’evento, tutto è
manifesto, il suo unico obiettivo è quello di esibire lo scandaloso oltraggio della trasgressione della
camorra.
Il narratore-testimone riesce a spostarsi ovunque, tanto da trovarsi sempre là dove la camorra sta per
celebrare, o ha da poco celebrato, qualcuno dei suoi rituali. Il corso degli eventi risalta con vigore
indelebile. Il narratore è diventato il personaggio principale.
Pasolini, Sciascia, Capote sono stati capaci di interpretare gli eventi in filigrana, di scorgere ciò che
nel loro svolgimento rimane un residuo nascosto, un indizio impercettibile allo sguardo del
testimone.
L’immagine, imbevuta di vitalità o, all’opposto, intrisa di morte, resta l’unico tramite di accesso alla
realtà.
Al contrario, Saviano, vorrebbe emancipare la scrittura dalla mediazione dell’immagine.
L’immagine, per lo scrittore, è semplice apparenza, ma dotata comunque di una penetrazione
sorprendente.
Il cinema crea un immagine stereotipata della mafia, che molto spesso è particolarmente lontana
dalla realtà. Ed è per questo che Saviano porta avanti questa battaglia contro le immagini.
Ma se è vero che le immagini sono fuorvianti e pericolose, bisogna ammettere che anche
l’immagine più falsa ed arbitraria conserva un legame inscindibile con la realtà.
2. Realtà o effetti della realtà?
Nell’attuale sistema della comunicazione «sembra che nessun medium possa in questo momento
storico funzionare indipendentemente.» Il medium ha permesso di avere una percezione della realtà
come un insieme di esperienze che vengono riprodotte attraverso un supporto sempre più leggero.
Negli ultimi tempi, dunque, si è verificata una riconfigurazione dell’esperienza, caratterizzata da
“un’atrofia progressiva”, come disse Walter Benjamin. L’esperienza mediale costituisce una
rielaborazione dell’esperienza diretta, cosicché la realtà filtrata dal medium contenga una pluralità
di oggetti e soggetti.
Per essere più concreti, il film di De Palma, Redacted, racconta una guerra interamente mediale.
Redacted si differenzia dagli altri film di guerra perché conferisce a quest’ultima un nuovo statuto;
il cinema ne ha sottolineato le profonde contraddizioni ed ogni film ne mette in luce diverse.
Redacted mostra le immagini dell’orrore, della crudeltà e dell’insensatezza del male.
Ogni medium porta con sé una storia ed è propedeutico per il media successivo.
Senza le immagini riprese dai diversi dispositivi mediatici non avremmo alcun evento. La realtà non
ha modo di venire alla luce se non viene condivisa pubblicamente – è questa la conclusione di
Redacted.
Negli ultimi decenni è in atto un mutamento del rapporto tra realtà e finzione, dove la realtà si
raffigura nei modi della finzione e la finzione, a sua volta, delimita il perimetro entro il quale si
snoda interamente la realtà.
Le immagini dell’11 settembre o provenienti da Abu Ghraib sottolineano come «l’immagine sia
entrata e abbia sconvolto la nostra realtà.»
La realtà si offre sempre attraverso la mediazione dell’immagine.
Mentre prima tutte le immagini che raffiguravano un oltraggio avevano dovuto lottare contro una
potente censura, perché gli eventi oltraggiosi e spregiudicati erano unici nel loro genere – come la
Shoah, che fende la storia in due tronchi netti. Oggi, invece, l’insensatezza e la crudeltà sono
diventati parte della nostra quotidianità. «Quel che non potevamo immaginare è diventato fin troppo
immaginabile, e l’inenarrabile è divenuto ciò di cui siamo costretti a parlare.» disse William J.T.
Mitchell.
Le fotografie di Abu Ghraib, dove tra il 2003 e il 2004 un numero imprecisato di prigionieri è stato
sottoposto a torture e umiliazioni, rappresentano con una realtà disarmante l’inimmaginabile e
l’inenarrabile.
L’effetto della fotografia è quello di attribuire una consistenza ad un evento così da sottrarlo alla
caducità del tempo. Abu Ghraib è stato reso un macabro spettacolo.
Infatti anche «il racconto più realistico che si possa immaginare si svolge secondo modi
irrealistici.».