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La comunicazione empatica nel contesto clinico

In questa fase delicata il clinico deve saper utilizzare a fondo le proprie capacità di discrezione, di tolleranza e di empatia. Tali atteggiamenti vengono comunicati con la mimica, con la gestualità, con lo sguardo, con il tono della voce e sono massimamente importanti: creano nel paziente la sensazione di potersi lasciare andare e parlare e gli consentono di presentarsi, di presentare cioè la propria realtà psichica.

Vi è una serie di "aperture tipiche" da parte del paziente. Il primo modo classico di presentarsi è quello che consiste nel presentare il sintomo o i sintomi: a volte a questo si accompagna un minimo di storia del sintomo, altre volte viene espresso specificamente solo il disturbo. Qui è opportuno pensare che il sintomo è sempre un compromesso difensivo che l'Io del paziente ha faticosamente elaborato per evitare di essere allagato da contenuti inconsci intollerabili. Questo atteggiamento può essere

Visto anche in funzione relazionale, del significato che ha adesso nel rapporto tra clinico e paziente: può essere un gesto di fiducia, ma anche di attacco aggressivo. In ogni caso, la presentazione del sintomo in prima battuta, accompagnata da uno stop del paziente subito dopo, sta a significare un tentativo di separazione tra la sindrome psicopatologica e se stessi come persone. Un secondo modo tipico di presentarsi da parte del paziente, è quello di cominciare a raccontare la propria storia. Spesso, tutto questo viene presentato come una "premessa"; quando il paziente compie un'autentica premessa, il clinico è facilitato: presenta dei fatti che hanno avuto un impatto emotivo su di lui e che evidentemente, nella teoria cosciente che si è costruito del proprio disturbo, giocano un certo ruolo. Viceversa, ci sono premesse che costituiscono letteralmente delle barriere alla comunicazione più scottante e che, in genere, hanno la funzione di ritardarla.

clinico.clinico: egli manterrà l'attenzione su alcuni elementi, importanti non solo per l'utilizzazione immediata nel corso del colloquio, ma per l'utilizzazione nel corso di un successivo programma terapeutico. Tali elementi riguardano in particolare: la tollerabilità o meno del paziente; la tolleranza della libertà di parola da parte del paziente; la tolleranza degli stop da parte del paziente. Non è possibile tollerare allo stesso modo tutti gli esseri umani: ognuno ha una propria struttura mentale, delle proprie caratteristiche, delle proprie inclinazioni ed idiosincrasie. Per quanto riguarda la tolleranza da parte del paziente della libertà di parola, è importante considerare che enormi difese sono state erette contro il pensiero o, spesso, il pensiero è stato usato per limitare l'espressione degli affetti, delle idee, della creatività, dell'odio, ecc. Non bisogna perciò stupirsi che questa situazione siriproduca nel corso del colloquio. Quando una persona che fino ad un momento ha mostrato una certa capacità di affrontare la realtà del colloquio dimostra di non reggere l'angoscia, di non avere una domanda precisa alla quale rispondere e comincia a delirare o a disorientarsi, è necessario che dolcemente ma fermamente il clinico assuma il controllo. Si può anche utilizzare il fenomeno accaduto per cambiare rotta, spostando l'attenzione del paziente dal fenomeno in sé a come lo "prende" lui. In altri casi, vale la pena lasciar andare le cose senza pregiudicare con interventi precipitosi la possibilità di capire quello che il paziente sta mostrando. Secondo Semi, il caso "buono" si presenta quando vi è un progressivo passaggio da un discorso organizzato secondo le regole della logica ad un discorso che segue il fenomeno naturale delle libere associazioni. Il paziente in grado di arrivare spontaneamente alle libere associazioni.riesce a superare a pieni voti il test della tolleranza alla frustrazione indotta dalla libertà poiché dimostra di non aver rinunciato alla propria libertà di pensare, anche se ciò può risultare angosciante e doloroso. Per quanto riguarda invece la tolleranza degli stop da parte del paziente, Semi ritiene che anche all'interno della fase libera del colloquio il clinico debba compiere almeno un intervento ed è necessario osservare la reazione all'interruzione da parte del paziente. In alcune situazioni, la tolleranza allo stop da parte del paziente risulta essere massima: il paziente potrebbe utilizzare l'osservazione del terapeuta (manipolandola) per spostare il tema del colloquio su un livello più comodo. Se è possibile, un breve intervento andrebbe fatto a tre quarti della fase libera, poiché c'è ancora tempo per vedere se l'idea offerta al paziente è stata realmente annullata o invece.è entrata a lavorare nella sua mente e, a poco a poco nel corso del discorso, egli inizia a rispondere in qualche modo all'interrogativo posto. Un buon tipo di intervento da fare in questa fase è quello della "riformulazione", che consiste nel rileggere le affermazioni fatte dal paziente, stabilendo a parità di linguaggio dei nessi tra un argomento e un altro. La riformulazione accuratamente fatta ha la funzione di ristabilire dei nessi sintattici semplici. Il test di tolleranza allo stop da parte del clinico viene effettuato tramite un intervento di prova che, frequentemente, è una riformulazione. Tuttavia, ci sono altri modi per compiere tale intervento: si può, ad esempio, far notare al paziente che non ha informato il clinico di un intero settore della propria vita o che, sebbene all'inizio avesse presentato i suoi problemi come insorti da poco, nel corso del colloquio si sono visti una serie di prodromi. Una volta che il pazienteviene lasciato libero di parlare, dopo aver saggiato la sua tolleranza della libertà di pensiero e degli stop, dopo aver osservato come risponde all'intervento di prova, si può considerare di aver concluso questa fase di colloquio e di aver raccolto del materiale. A tutto ciò ha fatto riscontro nel clinico un complesso di idee, sentimenti, pensieri, ricordi, immagini. 5. La valutazione della fase libera del colloquio La valutazione del materiale raccolto viene fatta in funzione di tali scopi: conoscere chi è il paziente, stabilire che tipo di trattamento gli si può offrire, stabilire se tale trattamento verrà offerto dal terapeuta stesso o da terzi. Tutto ciò indica la necessità di conoscere anche la disponibilità dell'ambiente professionale nel quale il clinico si trova ad operare. La valutazione della fase libera del colloquio è un momento cruciale che implica, sulla base di una serena conoscenza.

delle possibilità e dei limiti degli strumenti utilizzati e delle possibilità concesse dal materiale prelevato, la formulazione di un'ipotesi di lavoro personalizzata, differente dalla diagnosi intesa in modo classico. Tale ipotesi servirà per formulare proposte o altre ipotesi o programmi.

6. Anatomia del colloquio (seconda parte)

La seconda fase del colloquio riguarda principalmente due punti: a) l'uso clinico dell'ipotesi di lavoro; b) la conclusione clinica del colloquio, intendendo con questa espressione la conclusione della materialità del colloquio.

Uso clinico dell'ipotesi di lavoro

L'idea o l'immagine che il clinico si è fatto del paziente e le conclusioni operative o inoperative che ne ha tratto, possono essere utilizzate nel colloquio stesso o in altri contesti (ad es. di ricerca). Per l'uso clinico dell'ipotesi di lavoro è innanzitutto massimamente importante la regola della reciprocità:

il paziente si è aperto con il clinico e ha un credito nei suoi confronti; egli si sdebiterrà innanzitutto utilizzando la regola del linguaggio: quello che gli offrirà non sarà una diagnosi nel senso consueto del termine, ma riguarderà qualcosa formulato quanto più possibile nel linguaggio del paziente che tenderà a restituirgli in maniera più chiara tutto o una parte del materiale che egli ha presentato o a fargli notare l'assenza di qualche elemento fondamentale e se questa assenza è collegabile a qualche dato espresso nel colloquio. Molto spesso il clinico utilizza a tale scopo la riformulazione, altre volte risulta utile un riassunto di ciò che è stato detto fino a quel momento che esprima i nessi esistenti tra gli elementi fondamentali. Secondo Semi, risulta utile operare una distinzione tra due tipi di nessi: il primo è caratterizzato dal fatto che un tema viene posto a monte o a valle di tutti gli altri,

i quali rispetto a questo sono in parallelo; il secondo è invece tipicamente in serie e gli argomenti vengono concatenati gli uni agli altri da nessi congiuntivi o condizionali. Gli interventi fatti nella seconda fase del colloquio, comunque, dovrebbero essere finalizzati a) verificare l'ipotesi di lavoro e b) consentirci di elaborare una proposta per il paziente. Per quanto riguarda il primo punto, ciò significa che sulla base delle conoscenze e ipotesi proprie del clinico, questi cercherà di osservare, esaminando le risposte del paziente alle sue comunicazioni, se non sia il caso di rivedere l'ipotesi. L'ipotesi di lavoro deve consentire di elaborare una proposta per il paziente. La formulazione verbale di una domanda richiede attenzione. Ogni domanda contiene già un numero limitato di possibilità di risposta: la proposta per il paziente scaturisce dalla verifica dell'ipotesi di lavoro e dalla rosa di possibilità che ilone tutte le informazioni necessarie per formulare una diagnosi corretta. Durante il secondo colloquio, il clinico può approfondire i dettagli della storia clinica del paziente, chiedere ulteriori informazioni e fare domande specifiche per ottenere una visione più completa della situazione. Un altro approccio comune è quello di richiedere al paziente di compilare dei questionari o di sottoporsi a test specifici per valutare determinati aspetti della sua condizione. Questi strumenti possono fornire al clinico dati aggiuntivi e oggettivi per supportare la diagnosi. In alcuni casi, potrebbe essere necessario effettuare esami di laboratorio o diagnostici per ottenere informazioni più dettagliate sullo stato di salute del paziente. Questi test possono includere analisi del sangue, radiografie, ecografie o altre procedure diagnostiche. È importante sottolineare che ogni paziente è unico e richiede un approccio personalizzato. Il clinico deve valutare attentamente ogni caso e decidere quale sia il metodo migliore per ottenere le informazioni necessarie per formulare una diagnosi accurata.
Dettagli
Publisher
A.A. 2020-2021
10 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/08 Psicologia clinica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Martazappia di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di psicologia clinica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Langher Viviana.