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NON-CRUDO NON-COTTO
“morbido” “Croccante”
Sfincia Cannolo
La prima indicazione che il quadrato ci dà è che i dolci alla ricotta sono un sistema coeso, che lascia
dunque pochi spazi all’innovazione. La tradizione diventa tale solo quando offre un principio di
coerenza efficace, sia che si tratti di spiegare l’origine di un popolo sia che in gioco ci sia il semplice
piacere della tavola. Questo non significa naturalmente che non si possa cambiar nulla, che un nuovo
prodotto, per esempio, non sia immaginabile. Ciò che appare chiaro è che se si vuole che esso non
venga rifiutato a priori in nome della tradizione, dovrà giocare sul suo stesso terreno, porsi
all’interno della sua logica.
Le trasformazioni che questo quadrato indica, sono molteplici. Uno chef come Ferran Adrià, per
fare un esempio, ha passato gran parte della sua carriera a mutare le caratteristiche degli alimenti,
facendo diventare solido il liquido, freddo il caldo, croccante il morbido. Adrià aveva
inconsapevolmente fatto suo il motto di un semiologo come Greimas che amava ricordare che il senso
si dà sempre nel dissenso.
PROGETTARE IL RISTORANTE
FLOCH
Il suo intento era quello di capire cosa ci fosse dietro il successo di marchi, stili vestimentari,
pubblicità, ecc. Le domande erano semplici: Perché il marchio Apple è così efficace? Cosa rende lo
stile di Chanel così fortemente identificabile al di là delle continue trasformazioni della moda?
Dietro gli elementi di comunicazione ci sono le strategie di marca, pensa Floch, e sono quelle che gli
studiosi hanno in compito di ricostruire. Si analizza la comunicazione per poterne fare dell’altra, per
offrire ai creativi delle indicazioni precise che consentano all’azienda per cui si lavora di avere un
vantaggio competitivo.
La praticità di un oggetto è un effetto di senso, non una qualità che intrinsecamente esso possiede,
e pertanto può scomparire, trasformarsi, perdere importanza. Di esempi possiamo contarne in
quantità: prendiamo i dischi in vinile. Fin quando non vi erano alternative alla riproduzione musicale,
mezzi per ascoltare la musica. Quando si sono moltiplicate le possibili sorgenti dapprincipio sono
spariti, e in seguito sono diventati vintage. Non più mezzi per ascoltare suoni registrati, ma prodotti
di moda, carichi di un valore simbolico che ne ha decretato il prezzo di mercato.
Un logo è allora per Floch un condensato di senso che ha valore in quanto espressione di una
strategia che prima ancora di essere commerciale identitaria.
IL CUOCO
Michel Bras è figlio d’arte. Durante la sua giovinezza affianca la madre nella cucina di un ristorante
francese, non lontano da dove avrebbe aperto il suo ristorante-hotel. Nel 1999 riceve la terza stella
dall’importante guida Michelin. È dalla vita di Bras che deriva la caratteristica più fortemente
distintiva della sua cucina: la fortissima attenzione per il territorio, quella campagna dell’Aubrac da
cui lo chef non si è mai voluto allontanare. Esprimere in senso culinario le caratteristiche di quel
paesaggio, dei prodotti che ne sono tipici, dei colori e dei sapori che lo contraddistinguono per Bras
è diventata una missione. La sua, tuttavia, non può dirsi una cucina tipica. Nel suo ristorante non si
mangiano soltanto prodotti della zona, né si rispettano sempre tecniche e piatti locali, piuttosto la
tradizione viene ripensata in funzione della possibilità di esprimere in maniera diversa e più
profonda quel territorio. Si tratta dunque di una cucina creativa e artistica.
Bras sa che non sono solo formaggi, verdure, vini, ecc. a fare dell’Aubrac ciò che è, ma anche il modo
particolare con cui si muovono le nuvole creando luci e ombre sulla campagna e vuole esprimerlo
attraverso ciò che sa far meglio: cucinare. Interpretare un terrior significa anche riprodurre
aspetti che hanno poco a che vedere con il cibo ma che possono essere tradotti all’interno di una
cucina concepita come pratica artistica. La differenza tra una cucina artistica e una che non lo è sta
dunque nella capacità di intendere il cibo come un linguaggio, mettendolo in grado di parlare di altro
che di sé stesso.
QUELLO STRANO FINOCCHIETTO
Realizzare un logo significa condensare in un segno grafico un’identità.
Farlo nel caso di Michel Bras significa trovare il modo di esprimere in un’immagine distintiva il
rapporto che questi ha da un lato con il territorio e dall'altro con la cucina che deve ricostruirlo.
Non semplicemente riprodurlo e rispettarlo ma ricostruirlo. La figura che viene scelta è un
ramoscello di “Finocchietto delle Alpi”, la cui silhouette si staglia in bianco su un rettangolo nero.
Sotto di esso, la scritta “Michel Bras” in un carattere leggero, che più tardi verrà cambiato quando
rimarrà soltanto la parola “Bras”.
Perché il finocchietto? Il finocchietto è certamente una possibilità fra tante, così come il modo di
rappresentarlo o il carattere usato. Al suo posto ci sarebbero potute essere figure più
immediatamente riferibili all’Aubrac, che è famoso per i suoi allevamenti, ma anche per le sue
caratteristiche morfologiche o per la sua architettura, ma non sarebbe stata la stessa cosa.
Il punto di partenza qui è un concetto più che un oggetto, che Floch individua nella “delicatezza”. Il
finocchio è una pianta delicata, non soltanto per le sue forme sottili che la rendono fragile, ma
anche per il fatto di essere molto sensibile alle condizioni ambientali. Non si riesce a coltivarlo, non
tollera concimi o inquinamento, cresce soltanto spontaneamente. Ma la delicatezza è un concetto
tutt'altro che semplice. Delicato, infatti, non vuol dire soltanto sensibile alle influenze esterne,
fragile, leggero; con questa parola si evoca una tensione. Delicatezza è anche sottigliezza, e
sottigliezza è anche capacità di penetrazione.
Perché presentare il ramoscello di finocchietto con la punta in basso? Non è questo il modo in cui si
presenta in natura. L'oggetto è naturale, ma il modo in cui viene raffigurato è frutto di
un'elaborazione, di una intelligenza in opera. Questo ingrediente può allora essere una firma non
solo quando fa parte del piatto, ma anche quando si dà in forma astratta, come elaborazione
intellettuale di un elemento naturale.
GLI ALTRI
Ma chi sa tutto questo? Che effetto potrà produrre una forma così complessa se non siamo in grado
di decodificarla come ha fatto Floch? Davanti a questa domanda le posizioni si sdoppiano:
- Da un lato ci sono coloro che giudicano tale complessità inutile o addirittura dannosa;
- Dall'altro quanti pensano che se tutti i possibili significati non vengono compresi al primo sguardo
essi agiscano a un livello inconscio.
— Nel primo caso si pensa la comunicazione come una mera trasmissione di informazioni che devono
essere decodificate;
— Nel secondo caso come una pratica sulla quale l'individuo ha scarso controllo.
— Esiste tuttavia una terza possibilità: per comprenderne i presupposti bisogna restituire al logo il
suo ecosistema, calarlo nella gastrosfera cui appartiene e della quale fanno parte altri logo, ma
anche altri ristoranti e altre tradizioni.
Ma quali concorrenti prendere in considerazione? Il nostro problema è capire ciò che lega questo
oggetto di comunicazione al progetto culinario che caratterizza il ristorante, per potere poi
valutare come si posizionino i diversi competitori.
Ma di che tipo è la relazione tra un ristorante e il suo logo? Ad aiutarci a rispondere a questa
domanda è la linguistica che ha riflettuto a lungo sul rapporto che esiste tra il linguaggio della
realtà. Storicamente vi sono due correnti di pensiero:
1) Da un lato coloro che sostengono l'ipotesi cosiddetta “rappresentazionale”, secondo cui il
linguaggio è lo specchio del mondo, ne nomina gli oggetti e dunque lo rappresenta;
2) Dall'altro quanti pensano che, in virtù dell'importanza che il linguaggio ha nel dare forma ai
nostri pensieri, esso eserciti la funzione “costruttiva” rispetto al mondo che ci circonda:
quest'ultimo diventa reale solo dopo essere stato pensato linguisticamente.
Le diverse teorie che si sono avvicendate hanno sempre oscillato fra questi due poli che si
presentano come termini di una categoria. Ora, ogni categoria contiene due ulteriori termini,
pertanto a partire da essa si danno quattro possibilità. Nel nostro caso esisteranno insomma logo
che rappresentano la filosofia del ristorante, in opposizione a logo che contribuiscono a costruirla.
Dunque:
1. LOGO RAPPESENTAZIONALE—> dunque REFERENZIALE: è quello dell’Osteria Francescana di
Massimo Bottura. Il motivo per cui possiamo considerarlo tale risiede nel modo in cui
graficamente riesce a ottenere un effetto di semplicità. Più che un logo si tratta di un
“Logotipo”, la scritta in cui gli elementi visivi sono limitati ai tratti necessari ad evocare le
lettere dell’alfabeto. Tutto rispecchia perfettamente quella semplicità che il nome Francesco
non può non evocare e che la parola “Osteria” amplifica. C'è l'essenzialità, la semplicità, ma
anche la tradizione italiana. Nessuno vuole dire naturalmente che i piatti di Bottura siano
semplici o che il cibo sia quello di un’osteria; tuttavia se questo importante chef sceglie di
mantenere questo nome e soprattutto di amplificarne il sensi visivamente è perché l'idea di
semplicità lo affascina.
2. All’opposto di Bottura troviamo Ferran Adrià. Non per il suo modo di cucinare, ma per il rapporto
che c'è fra questo e il logo del suo ristorante, il famoso “El Bulli”. Nel marchio di quello che è
stato a lungo il più importante ristorante del mondo troviamo infatti il viso stilizzato di un cane
bulldog. Ora, non solamente un ristorante ha poco a che vedere con i cani, ma addirittura
suggerire tale associazione potrebbe avere effetti negativi. Sappiamo bene che Adrià non ha
scelto personalmente il nome, e che è uso non cambiarlo (sembra porti sfortuna), tuttavia, la
decisione di non far nulla per intervenire sui possibili effetti di senso negativo indica una volontà
strategica. È proprio per la scarsa attinenza del cane con l’alta cucina che esso può diventare la
bandiera dietro la quale la più creativa delle gastronomie può farsi avanti. Il logo insomma
contribuisce a costruire la filosofia del ristorante, se non altro spiazzando il cliente che,
esattamente come quando siede al tavolo, non deve sa