Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
GUSTARE
-SAPORE DELL’INSAPORE
(PAOLO FABBRI)
Il tema gustativo dell’insapore si situa al centro del mondo cinese della vita come
esperienza concreta e sensibile.
L’insapido non è avvenente, è percepito come mancanza e negazione. Il gustativo
per la tradizione occidentale si coglie nell’opposizione buono/cattivo non
bello/brutto.
Per la cultura cinese, invece, il senso del gusto presenta un’intimità fisica che
coinvolge tatto e odorato.
Quello che conta è l’Insapore come esperienza concreta.
Per Jullien l’insapore non ha contrario e neppure si colloca sulla categoria logica del
subcontrario.
Rappresenta piuttosto l’articolazione interna di un solo termine. È in un certo modo
il sapore radicale, soffuso e sottilmente impregnante di ogni altro senso. Il suo
paradigma è l’acqua.
Il suo modo di presenza è virtuale e tenue. Virtuale in quanto logicamente anteriore
ad ogni determinazione, la Fadeur mantiene tutte le potenzialità negate dalle
diverse attualizzazioni.
Presuppone un soggetto non-preferente, ma propenso, a riconoscerne i versanti e le
pieghe. È un’inclinazione a gustare e approfondire con intelligenza e distacco, una
trasformazione sempre imperfetta.
È tenue nell’accezione etimologica che accentua la tensione.
Insapore come non asserimento al senso, si chiama vago.
2.Nomenclature
La filosofia cinese ha una nomenclatura diversa dalla nostra ed ognuno sa quanto
ella differisca.
I libri di Jullien richiedono una tratteggiatura, ne risultano un percorso e una figura
filosofici.
Il progetto non è un totus ma omnis, una globalità aperta in movimento.
Il pensiero cinese permette di cartografare come terra incognita il nostro stesso
pensare, le categorie che lo abitano all’insaputa.
“L’elogio dell’insapore” e le opere seguenti ci fanno assaporare una trascendenza
dispensata dalla fede e riconciliata con la natura.
Dopo averne riconosciuto i principi e colto la logistica del cambiamento, le cose
vanno da sé; non resta che agire tempestivamente, senza forzare situazioni, attori,
tempi e luoghi.
Il saggio non si oppone al mondo qual è in nomi di valori che lo trascendono, ma la
sua efficacia è massima perché interviene sulle condizioni a priori del processo e non
sulle conseguenze. Sa assaggiare il non-sapore delle circostanze.
3.Traduzioni
La teoria del significare ritiene che la natura dell’atto intellettuale si può descrivere
in termini di traduzione: la definizione del significato è una traduzione da una lingua
all’altra.
Le lingue e le culture sono forse incommensurabili, ma non incalcolabili. Anziché
prendere il partito “crudele” della irriducibilità e della inconciliabilità degli idiomi,
cercarne o forzarne l’estraneità irriducibile. Jullien accetta la sfida che gli impone il
progetto comparativo. Sa bene che non si può pensare parola per parola e che per
accedere a un senso è sempre necessario riformulare il testo.
Tradurre implica una doppia simultanea lettura.
All’origine del programma di Jullien c’è il proposito di una semiologia come
propedeutica del sapere sinologico (=scienza che si occupa del mondo cinese antico,
della sua lingua, storia e cultura).
Si trattava di una teoria di segni e dei codici vincolata al modello linguistico, lessicale
e retorico. In grado di confrontare la diversità delle sostanze sensibili e trovare il
tema dell’insapore nelle diverse manifestazioni espressive.
L’attribuzione di senso è a carico del ricevente, che procede per incroci e
sovrapposizioni.
La semiologia (dottrina dei segni linguistici) deve farsi semiotica (scienza generale
dei segni), una disciplina testuale in grado di cogliere come una cultura elabora,
trasmette, interpreta il senso attraverso le diverse forme e sostanze significanti.
4.Il senso dell’insapore
Sarebbe saggio tornare al progetto semiotico con l’esperienza cinese dell’Insapore, a
partire dai processi e dalle strategie di senso.
L’apprezzamento semiotico della sensibilità è una condizione necessaria per
riconoscere il ruolo specifico delle figure del mondo e il loro specifico valore estetico
e attraverso la mediazione del corpo porre il problema della passione e dell’efficacia
simbolica.
-LE AVVENTURE DEL GUSTO: DAI SAPORI ALL’ESISTENZA
(DAVID LE BRETON)
1.Il gusto come discernimento
La nutrizione è un metalinguaggio sul mondo, ci parla d’altro, tiene un discorso sul
mondo. In modo indiretto e attraverso il riferimento al gusto, parla d’arte, di qualità
della vita e di desiderio.
Il gusto passa dal discernimento dei sapori di un piatto ad attitudine al
discernimento in senso estetico.
Il buon gusto è anche virtù sociale che, nel quadro della vita mondana, si riferisca
tanto all’interiorità degli individui quanto alla loro apparenza.
Il gusto si riferisce anche a quel che gli individui sono, a quel che essi sentono nel
loro rapporto con le cose.
Il gusto implica sempre che si attribuisca significato a qualcosa tramite un gioco di
comparazioni che mira ad apprezzare o meno un alimento o un oggetto.
La parola inglese taste deriva dal medio inglese tasten, che indica un esame
condotto tramite il tatto. La radice latina del termine rinvia a taxare: toccare con
precisione. Sapio per i latini aveva il significato metaforico di percepire con
giustezza. Il dizionario Robert ricorda che il latino savor e sapor sono termini
apparentati e il primo origina il secondo: sapor indica il gusto il sapore caratteristico
di una cosa, è derivato di sapere “avere gusto”.
Avere gusto va oltre la semplice attitudine sensoriale e attesta una notevole
capacità di giudicare le cose e di apprezzarle.
2.Il gusto dell’altro: assaporare o meno la sua presenza
Il senso del gusto definisce il piacere di vivere. Il vocabolario gustativo è
particolarmente apprezzato quando si tratta di esprimere il tono delle relazioni
sociali, il modo in cui sono giudicate.
Ma la caratterizzazione metaforica può cedere il posto alla materialità dei piatti il cui
sapore comunica esplicitamente uno stato d’animo.
Molte società usano metafore gustative per esprimere la qualità del legame sociale.
In questa società si usano metafore gustative anche per indicare il “sapore” delle
donne, dei campi di riso o degli animali destinati al consumo alimentare.
L’opposizione radicale che esiste tra amaro e dolce ha lo scopo di segnalare il divieto
o il permesso sociale.
3.Il gusto di vivere
Il gusto di vivere sovrintende al gusto alimentare. La fame e la sazietà non
pertengono (essere di pertinenza) mai alla pura fisiologia.
La scelta del cibo e il desiderio di prepararlo riflettono l’umore e le circostanze. La
qualità gustativa di un pasto è segno di festa. La qualità del cibo è un barometro
dell’umore.
Gli alti e i bassi dell’appetito sono in ogni individuo quelli della vita stessa e sono in
gran parte anche conseguenza dell’antico rapporto con la madre.
La sensazione di fame e la risposta a questo stimolo fisiologico sono disposizioni
innate, come il linguaggio, ma esistono sempre e solo all’interno di un sistema di
significati e valori, ovvero di una cultura e di una società quali si incarnano nel
singolo individuo.
L’appetito è affettività in atto. Benché la percezione delle sensazioni propriocettive
della fame sia un dato inerente alla nascita è il clima affettivo in cui cresce il
bambino a determinare l’orientamento.
La qualità della presenza materna è il fattore che più lascia il segno.
Il bambino è confuso ogni qualvolta si tratta di riconoscere fame e sazietà.
La formazione del bambino esige che egli riceva una risposta adeguata e coerente ai
segnali che invia a chi lo circonda.
Se le richieste non vengono decodificate e rafforzate la funzione alimentare darà
espressione a quelle difficoltà affettive.
Né la reptazione né il pasto sono apprezzati nel modo giusto: mangiare diventa un
lavoro o un riflesso. La funzione alimentare diventa uno schermo di proiezione delle
tensioni psicologiche del soggetto.
4.Gustare l’altro
Il gusto è anche un modo di parlare direttamente del desiderio. Amare l’altro
significa nutrirsene, gustarlo, divorarlo, morderlo, essere affamati.
Stretto legame tra consumare il cibo e godere del corpo dell’altro.
La nutrizione travalica la sua letteralità per portarci in ambiti dell’esistenza che non
siano la sola alimentazione.
Schermo simbolico tra l’uomo e il mondo. Riassumendo varie forme di oralità, invita
certamente la madre, la prima nutrice, alla mensa dell’esistenza per determinare la
sazietà o la fame l’appagamento o la mancanza.
-FERMARE IL TEMPO: MERENDINE E SIGNIFICAZIONE
(GIANFRANCO MARRONE)
1.Una volta per la vita?
Sul versante dei regimi dietetici, intesi come forme di vita che includono estetica ed
etica, narrazione e sensorialità, parecchio è ancora da sviluppare.
Mary Douglas (analisi socio-antropologiche). Il biscotto farcito finisce per assumere
il ruolo di “simbolo condensato di tutti gli avvenimenti alimentari e sociali di un
giorno, una settimana, una vita intera” ossia sintesi figurativa dell’intero sistema
alimentare operaio inglese.
Oggetto di analisi il vasto regime dietetico-semiotico della merenda, quel momento
di consumo del cibo che non rientra nei tempi canonici del pranzo e della cena, un
momento a sé stante in tempo diversi della giornata soprattutto quando riguarda il
tempo dell’infanzia.
Essendo al tempo stesso qualcosa di superfluo e di essenziale, dannoso e nutriente.
Nel passaggio dal sostantivo merenda al diminutivo grammaticale merendina si
compie un passaggio epocale, quello che dalla tradizione alimentare casalinga porta
alla globalizzazione industriale e post-industriale, dalla natura alla cultura, dalla
famiglia alla strada, dalla competenza gustativa all’ineducazione verso il piacere del
cibo.
Tre serie culturali: linguistico lessicale, letteraria, comunicazione del brand.
2.Cavoli a merenda, colazioni sull’erba
Secondo i dizionari la merenda, prima di essere una cosa, è un evento: non un
oggetto, un cibo specifico ma una serie di azioni abbastanza stereotipata.
In questa sceneggiatura tipica della merenda presente nel dizionario è dominante
l’articolazione temporale che in seconda battuta coinvolge le altre due dimensioni
della sintassi discorsiva: quella spaziale e quella attoriale. Più a fondo