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L'ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO DI HENRY FORD
INTRODUZIONE
Non tutte le grandi imprese hanno accettato l'organizzazione del Taylorismo, alcune sono rimaste con la vecchia gestione, in quanto per il tipo di beni prodotti non potevano applicare il metodo Taylorista.
Altre grandi imprese lo hanno reso ancora più preciso e scientifico soprattutto per la produzione di beni di massa, come ad esempio Henry Ford, il quale dal 1911 al 1927 mette in pratica le idee del Taylorismo a cui aggiunge un nuovo elemento: l'assembly line, ovvero la catena di montaggio.
Questa catena di montaggio rende più efficiente la produzione del bene attraverso il lavoro dei macchinari che stabiliscono i tempi e modi di produzione a cui i lavoratori devono adeguarsi.
Punta di diamante di questa tipologia di organizzazione lavorativa era la Ford T nera (la prima macchina da turismo, prodotta in larga scala che poteva essere acquistata da tutti grazie all'aumento dei salari, alle economie di
Scala e anche grazie alla possibilità di acquisto a rate introdotta da Ford). C'era questa logica push: l'impresa decideva la quantità di beni da produrre a prescindere dalla domanda di mercato. Inoltre il fordismo, rispetto al taylorismo, prende atto che i livelli di produttività aumentano attraverso incentivi materiali e incrementi salariali.
CRITICHE AL TAYLOR-FORDISMO
Negli anni '70 sono state formulate alcune critiche a questo modello organizzativo di Taylor visto come sfruttamento. Teoria dei neo marxisti, in particolare:
- Braverman, sosteneva che questa forma scientifica organizzativa alienasse il lavoro;
- Friedman, sottolineava che bisogna tener conto di alcuni fattori umani: la dignità morale, quella economica dei lavoratori e quindi proponeva di porre fine allo sfruttamento attraverso modifiche sostanziali di questa tipologia di organizzazione;
- Crozier, invece, considera il Taylorismo come utopia tecnocratica: i lavoratori hanno una serie
distrategie per difendersi dai dirigenti (più duri) e, quindi, mettere in cattiva luce alcuni dirigenti per farli sostituire;- Tourtaine 1955 e Woodward 1975. Secondo entrambi, il Taylorismo ha funzionato in un certo momento storico ed in alcuni determinati settori, ma non è detto che vi sia un’unica forma organizzativa di produzione efficiente (no “one best way”), difatti ci sono state altre ricerche empiriche che evidenziano altre “strade” per raggiungere risultati -> teoria della contingenza.
CONSIDERAZIONI FINALI
- Il modello Taylor-fordista è stato un modello che si è sostituito ad un precedente meno efficiente e che generava comunque condizioni dei lavoratori peggiori (sfruttamenti violenti).
- Ci sono sicuramente una serie di limiti che, oltre alle critiche, si rilevano nell’applicazione di questo modello, es: macchinari costosi, beni standardizzati, e quindi non applicabili in tutti i settori (es: quello
dell'abbigliamento di lusso).-Il fordismo ha successo solo se si associa allo stato sociale Keinesiano per regolare le relazioni industriali e stabilizzare la domanda introducendo flussi di denaro per la produzione di massa.-La differenza sostanziale tra taylorismo e fordismo sta nel fatto che questo ultimo fa leva sulla tecnologia del tempo nel modificare le operazioni di montaggio, risulta essere più concreto ed applicabile rispetto a quello che sembra essere solo un modo scientifico.
POST-FORDISMO (TOYOTISMO)IL CONTESTO SOCIO ECONOMICO DEGLI ANNI '70Negli anni '70 si verifica una crisi dello Stato sociale Keynesiano, e quindi anche del fordismo.La saturazione del mercato dei beni di massa mette ulteriormente in crisi il modello fordista, che deve riadattarsi e rispondere a nuove forme.C'è anche da dire che contemporaneamente a questa saturazione, si assiste all'espansione industriale di paesi che hanno dei bassi costi di lavorazione (come
Cina e India) da cui arrivano beni simili a quelli prodotti in occidente, ma a costi inferiori.
La crisi petrolifera, dovuta ad un aumento del costo del petrolio, fa aumentare le materie prime, che di riflesso portano a far lievitare il costo del prodotto finale.
Il modello taylor-fordista, per via del suo livello di separazione tra direzione e lavoratore, genera una comunicazione molto rigida e lenta, di riflesso con costi più alti, in quanto crea anche una sovrapproduzione di stock proprio per via dei bassi livelli di comunicazione aziendali.
In questo scenario il Fordismo entra in crisi e viene modificato in Paesi dove non c'è una logica neocorporativista - regolazione tra stato e organi di potere rappresentativo (USA, Italia, Gran Bretagna), ma entra comunque in crisi anche in Paesi in cui il neocorporativismo è più forte (Paesi Scandinavi, Germania, Giappone).
EVOLUZIONE DEL MODELLO FORDISTA NEGLI ANNI '80
Negli anni '80 si procede ad una
Riorganizzazione della produzione che risponde alle nuove esigenze del mercato (basta riprogrammare una macchina per adattare l'offerta alla domanda del mercato). Quindi si personalizza il lavoro operaio, che introduce la logica della fabbrica automatizzata, che tende ad essere sempre più utopisticamente una fabbrica senza uomini introducendo nuove tecniche di lavorazione dove il lavoro umano è sempre meno presente e sostituito dall'uso di macchine e robot; Pertanto potremmo parlare di "Neo-taylorismo informatizzato" (forse ancora oggi presente nel settore informatico).
Negli anni vi è stata una spinta alla multinazionalizzazione, cioè ad aprirsi ad altri Paesi, creando imprese madri che delegano l'assemblaggio di produzioni ad aziende collocate in posti più strategici dove il costo di lavoro è più basso e là dove i mercati di determinati prodotti sono in espansione.
LA LEAN PRODUCTION DEL MODELLO GIAPPONESE
(’70/’80)Nasce negli anni ‘70/’80 un nuovo modello “Lean thinking – pensiero snello” che prevede unaproduzione flessibile e adattabile alle varie esigenze e che, allo stesso tempo, prevede un maggiorcoinvolgimento dei lavoratori, un maggior multi-tasking. Questo modello viene studiato per la prima volta all’interno della Toyota e pertanto assume ilnome di Toyotismo, oltre che “Lean-Production” - Produzione snella”. Caratteristiche: - La riduzione della separazione tra concezione del prodotto ed esecuzione. Nel modello Fordistac’era una forte e voluta separazione tra questi due processi che, però, viene superato daltoyotismo grazie al decentramento dell’autorità: cioè un’impresa che si sviluppa come una reteformata da tante “costole” dell’impresa stessa, in cui ognuna è specializzata in alcuni ambiti dellaproduzione e quindi ha una gestione semi-autonoma purfacendo parte sempre dell'impresamadre. - Maggior partecipazione e coinvolgimento dei lavoratori nel processo produttivo, in quanto se i lavoratori vengono responsabilizzati e coinvolti nella scelta delle strategie aziendali, nei cambiamenti funzionali, nell'assegnazione dei compiti, si ha una partecipazione non monotona e non parcellizzata dei lavoratori; - Outsourcing o esternalizzazione della produzione, ovvero delegare la produzione e la gestione di alcune componenti ad altre aziende specializzate (che hanno una propria organizzazione, quindi esterne all'azienda madre), il che garantisce una qualità più elevata dei prodotti e una più veloce risposta alle richieste del mercato; - Approccio Market Driven, ovvero la produzione dell'impresa è guidata dall'andamento del mercato. Si passa quindi da una "logica Push" (cioè l'impresa decideva la quantità di beni da produrre a prescindere dalla domanda dimercato) ad una “logica Pull” (cioè in base alla domanda del mercato, si comprende quanto “materiale” avere nei magazzini o cosa delegare alle imprese, e quindi è la domanda a stabilire quanti beni produrre).LA LOGICA DELLA FABBRICA A 6 ZERI:
Il cuore del metodo Toyota: la fabbrica a sei zeri.
- Zero stock: magazzini snelli contenenti beni che si vendono in tempo ristretto;
- Zero difetti: le aziende più piccole e specializzate sono più dedite ad un maggior controllo;
- Zero conflitto: lavoratori più coinvolti ed economicamente più appagati;
- Zero tempi morti di produzione;
- Zero tempi di attesa per il cliente: perché la domanda viene subito soddisfatta grazie alla specializzazione delle funzioni;
- Zero burocrazia: le tecnologie permettono di comunicare in tempi brevi.
LE PICCOLE (e MEDIE) IMPRESE E DISTRETTI INDUSTRIALI
In quest’ottica si sviluppa un ulteriore modello che è quello delle piccole e medie
industriali sono: 1) Prossimità geografica: le imprese che si uniscono in un distretto industriale sono solitamente situate nelle stesse aree geografiche, il che favorisce la collaborazione e lo scambio di conoscenze e risorse. 2) Specializzazione: il processo produttivo all'interno del distretto industriale è suddiviso in fasi diverse, consentendo alle piccole imprese di specializzarsi in determinate fasi o componenti. Questo favorisce l'efficienza e la qualità del prodotto finale. 3) Flessibilità: le produzioni all'interno del distretto industriale sono soggette a elevata variabilità quantitativa e qualitativa, in base alla domanda del mercato. Questo richiede forme di organizzazione flessibili, in grado di adattarsi rapidamente alle esigenze dei clienti. 4) Collaborazione e networking: le imprese all'interno del distretto industriale collaborano tra loro, condividendo conoscenze, risorse e competenze. Questo favorisce l'innovazione e lo sviluppo di nuove tecnologie e prodotti. 5) Accesso a mercati globali: i distretti industriali, soprattutto quelli situati nella terza Italia, nel nord-est e in Germania, sono in grado di competere a livello internazionale grazie alla loro specializzazione e alla qualità dei loro prodotti. Inoltre, la presenza di distretti industriali simili nella Silicon Valley nel settore tecnologico consente un accesso privilegiato a mercati globali ad alta domanda. In conclusione, i distretti industriali sono un modello di organizzazione produttiva che favorisce la collaborazione, la specializzazione e la flessibilità, consentendo alle imprese di rispondere alle sfide di un mondo sempre più globalizzato ed esigente.industriali:
- la capacità di avere a disposizione le risorse cognitive, dovute alle esperienze maturate nel tempo;
- spesso sorgono a ridosso di piccoli e medi centri nelle quali vi erano tradizioni artigianali e commerciali diffuse che non sono state erose dalla prima industrializzazione o dall'emigrazione;
- manodopera flessibile e a basso costo, proveniente dal mondo dalla produzione agricola;
- forti tradizioni e istituzioni politiche locali, legate al movimento: cattolico, socialista, comunista che incentivano, facendo da promotori a queste imprese con infrastrutture o servizi;
- mentre nel modello giapponese abbiamo grandi imprese che si trasformano in rete di piccole imprese, nei distretti industriali abbiamo il fattore inverso, ovvero piccole imprese che fanno rete e cooperano tra loro formando una grande impresa.
LE TRASFORMAZIONI DEL LAVORO
INTRODUZIONE
Negli anni '50 e '60 l'agricoltura aveva subito un pesante ridimensionamento proprio con l'affermarsi
nella produzione è diminuita drasticamente. Inoltre, l'automazione e l'introduzione di nuove tecnologie hanno portato a una maggiore efficienza e produttività. Tuttavia, ciò ha anche comportato la perdita di posti di lavoro per molti lavoratori. Oggi, molte industrie si affidano sempre di più all'automazione e alla robotica per svolgere compiti che in passato erano eseguiti da lavoratori umani. Questo ha portato a una riduzione ulteriore della percentuale di lavoratori impiegati nella produzione.