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Estratto del documento

Con il termine sovranità si indica il potere massimo interno allo Stato, una summa potestas

della società politica caratterizzata da un ordinamento verticale e piramidale del potere.

Rosseau affermava che questa risiedesse nella capacità di fare e disfare le leggi,

incarnandosi quindi principalmente nel potere legislativo (può cambiare gli altri) mentre

altri filosofi come Hobbes e Schmitt ritenevano che questa consistesse soprattutto nella

forza e quindi nel potere esecutivo, altri ancora che fosse rappresentata dal re assolutista

oppure nella modernità dal popolo stesso, titolare della suprema potestà e legittimità. Infatti

la nazione non è un entità etnica (biologica) o mitico-spirituale quanto piuttosto un atto di

volontà comune derivante dai cittadini stessi. Tra i diversi Stati non c'è il monopolio

effettivo della forza, ne legittimo, ma le relazioni tra questi si possono distinguere a seconda

dei casi in un modello di Sistema Internazionale, in cui certi Stati si conoscono ed

interagiscono tra loro anche influenzandosi a vicenda ed in Società Internazionale entro la

quale invece gli Stati si riconoscono in modo biunivoco come pari, ovvero si attribuiscono

l'un l'altro un attributo di legittima esistenza anche territoriale, ammettendone quindi la

sovranità. Questa non implica assolutamente un'alleanza ma solo un riconoscimento, la

guerra è un fenomeno di questo modello di Società Internazionali ed assume una forma

istituzionale stabile nel tempo con regole da seguire (armi chimiche, civili ecc). Da un punto

di vista storico, dopo la pace di Vestfalia del 1648 ognuno degli Stati europei era

considerato sovrano in una perfecta communitas superiorem non recognescens dove però la

fedeltà a questo patto di convivenza non era la norma principale quanto invece lo era la

sicurezza esterna dello Stato, cosicché quando un pericolo per lo Stato lo richiedeva, si

poteva spezzare l'equilibrio ed entrare in conflitto, risolvibile sia per negoziati e

compromessi sia, se l'interesse dei contendenti lo richiedeva, tramite la guerra. Nei rapporti

internazionali non esiste la figura del terzo esterno in grado di imporre una soluzione con

forza tale da farla rispettare ai contendenti (tertius super partes) quanto invece i vari Stati si

trovano a vivere tra di loro in quello stato di natura hobbesiano di guerra contro tutti

(potenziale) in un regime di sostanziale anarchia, senza appunto un potere, un governo

comune che faccia rispettare le leggi ed imponga sanzioni. Clausewitz afferma che la guerra

altro non sia che una continuazione della politica con altri mezzi, un mezzo per realizzare un

fine ossia il piegare il nemico alla nostra volontà. A questo stato di anarchia è poi seguita,

dopo la guerra dei 30 anni, la formazione di società internazionali, ovvero associazioni di

Stati con fini comuni come il mantenere l'equilibrio di potenza creato e la rispettiva

sovranità o il contenimento della violenza in guerra, in una sorta di “società anarchica” che

prende il nome di ordine internazionale. Dopo il 1914, l'idea di un equilibrio di potenza da

mantenere come primo interesse comune viene necessariamente a mancare data l'enorme

differenza di potere tra gli Stati e si cerca quindi di sostituirlo con la Società delle Nazioni, il

primo sistema di sicurezza collettivo in cui ogni Stato membro è impegnato ad intervenire

per garantire la sicurezza ovunque questa sia minacciata (Nato, Onu ecc). Viene quindi

introdotta anche la nozione di guerra giusta, una guerra dichiarata da un'autorità legittima,

motivata da una giusta causa, condotta con retta intenzione e ritenuta come ultima ratio,

ossia necessaria in quanto non c'è altro modo per risolvere la controversia. Si stabilisce

quindi una dottrina dello ius ad bellum, cioè l'idea di fare guerra secondo principi giuridici,

definendo ruoli come quello del neutrale con i suoi diritti e doveri, imponendo regole come

la dichiarazione della guerra (esempio dei giapponesi che invece presentarono la

dichiarazione di guerra a Washington mentre i loro aerei erano già in volo per Pearl Harbor)

e stabilendo quali mezzi come le armi siano leciti o meno da usare, il non imporre

sofferenze non necessarie o il rispetto per i prigionieri (non valgono come giustificazione i

ranghi militari per gli ordini eseguiti). Ad oggi non c'è più il divieto assoluto di non

ingerenza all'interno di un altro paese, ad esempio l'uso sitematico della violenza sui civili è

ugualmente codannato dalla comunità e questo giustifica l'intervento armato da parte di

anzioni esterne al conflitto. I problemi dello ius in bello però sono in primo luogo che non

esiste un giudice supremo che stabilisca cosa sia lecito fare e che possa imporre adeguate

sanzioni (si puniscono i vinti, non sempre i colpevoli) e poi che questo concetto risulta

applicabile se e solo se tutti i contendenti in un conflitto lo accettano come tale. Vanno

distinti inoltre i termini di internazionale, ovvero che riguarda i rapporti tra nazioni sovrane

che tali rimangono e si limitano ad accettare principi comuni e sovranazionale che invece

indica entità che superano almeno parzialmente la sovranità nazionale senza però un reale

passaggio di potere (nell'unione europea ci sono entrambe queste forme in contesti

differenti). 7

Dalla seconda guerra mondiale, si è venuto a creare un dibattito riguardante l'utilizzo delle

nuove armi di distruzione di massa, prima fra tutte la bomba atomica, inizialmente ritenuta

alla stregua di qualsiasi altro mezzo da usare per la vittoria (a volte giustificata, come

avvenuto per il Giappone, come male minore per evitare una sanguinosa battaglia di

resistenza) e poi passata invece ad un arma da evitare in ogni caso perché porterebbe si alla

distruzione del nemico ma anche alla propria, entrando in un clima di deterrenza nucleare

dove il suo utilizzo veniva solo e soltanto minacciato in potenza ma mai applicato. La

guerra non sarebbe più la continuazione della politica con altri mezzi ma la eliminerebbe del

tutto, l'idea di sicurezza che anche il più forte degli Stati può procurare al suo popolo

crollerebbe infatti si produce una massima insicurezza come risultato del nostro agire per

garantire sicurezza, mettendo in forse con le nostre mani l'esistenza del genere umano. Le

questioni sollevate sono principalmente riguardanti la tecnica, ossia il rapporto dell'uomo e

del cosmo ormai sovvertito e manipolato dalla scienza e la responsabilità che deriva da

questo, il genere umano nella sua sopravvivenza, inteso quindi non solo come attuale ma

anche e soprattutto come futuro, la pace intesa non come qualità morale quanto come dal

non prevalere di nessuna potenza grazie alla presenza di un terzo esterno ossia il terrore

stesso che funge da base per l'equilibrio e infine il rapporto tra idealismo e realismo.

8

Per pace si può intendere una definizione negativa, ovvero un'assenza di conflitto armato ed

una positiva ossia un'esistenza in cui sono sradicate le cause primarie del conflitto come

prime fra tutte l'ineguaglianza economica, civile e razziale. Evitare la trasformazione dei

conflitti in guerre e preservare la vita umana è il primo e fondamentale compito della

politica, una sorta di perseguimento attivo alla pace come prodotto di una strategia politica

che tiene conto del quadro economico e sociale nella sua complessità. Tuttavia bisogna

evitare l'idea di un pacifismo radicale del tipo “se vuoi la pace, sii sempre pacifico” in

quanto altro non è che un atteggiamento o che ignora le logiche di questo mondo (etica dei

principi di Weber) oppure che si basa su mezzi di giudizio ipocriti e condanna la violenza

degli uni ma non degli altri. Si distinguono diverse forme di pacifismo, quello strumentale

che mira alla pace tramite il disarmo degli strumenti per la guerra, quello culturale che vede

l'educazione alla pace come unica via (Freud), quello istituzionale che invece propone la

fondazione di nuove istituzioni in grado di regolare i processi di aggregazione e conflitto,

volendo anche tramite il commercio. L'idea di un ordine mondiale è un'aspirazione antica ad

un ordine generale ispirato a principi morali e giuridici universali e solleva tre aspetti

fondamentali ossia se questo sia possibile, se sia funzionante e se, ammesso sia possibile e

funzionante, non ci sia il pericolo che diventi una sorta di tirannide su scala mondiale. I

diritti umani si distinguono tra civili, quelli che riguardano ciò che lo Stato non ha diritto di

fare, politici, cosa il cittadino ha diritto di fare ed infine sociali, condizioni necessarie per

una vita dignitosa, diritto all'educazione, al lavoro, alla casa ecc cioè quei diritti in cui lo

Stato stesso deve impegnarsi per realizzare (rischiando rivolte basate sulla sua inefficienza

causata da un rapporto fini/mezzi inadeguato nelle mani del sovrano). Le libertà rispettive a

questi diritti sono dette inviolabili cioè non devono mai essere lese ne passibili di revisione e

si distinguono in personali come l'habeas corpus, la libertà di pensiero e tutte quei diritti che

preesistono allo Stato, politiche come il non obbedire ad autorità non legittime, il diritto di

cittadinanza (ius soli) derivante dalla nascita in un certo posto o anche il diritto di voto ed

economiche ossia la libertà di vendere ciò che ci appartiene senza monopoli statali. Per

modernizzazione si intende sia un aumento delle capacità e velocità di innovazione da parte

di un sistema sociale, politico e tecnologico, sia un aumento della differenziazione

funzionale tipo il processo di segmentazione del lavoro in una fabbrica capitalistica. Essa

porta ad una maggiore razionalità ed efficienza a livello economico, ad un aumento del

livello internazionale di cooperatività tra Stati e cittadini da un punto di vista politico ma

anche a più alfabetizzazione e comunicazione dal lato culturale ma non è detto che dove ci

sia uno di questi aspetti ci siano anche gli altri. La modernità, iniziata grazie

all'allontanamento del Dio medievale ordinatore che ha lasciato spazio alla scienza e alla

dimensione umana, consiste anche nel fenomeno di globalizzazione che si può distinguere

in economico-finanziaria ovvero la liberalizzazione dei mercati finanziari, culturale grazie

alla creazione del global village del web ed infine in sociale o politica con organizzazioni

internazionali o sovranazionali nate per discutere di quelle definite sfide globali da

affrontare. 9

Riguardo al rapporto tra etica e politica al giorno d'oggi, bisogna presupporre prima di tutto

che la morale non sia vanificata o distinta dall'agire politico (Machiavelli). In questa ottica

ha quindi senso agire per r

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A.A. 2017-2018
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SSD Scienze politiche e sociali SPS/01 Filosofia politica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Minoes96 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia politica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof D'Andrea Dimitri.