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2. I SIGNIFICATI DI SIMPATIA TRA FILOSOFIA E SCIENZE

Una forza cosmica

Ci soffermeremo sulle principali definizioni e spiegazioni della natura della simpatia, seguendo in

parte l’ordine teorico delle trasformazioni delle idee, ma privilegiando l’intento teorico di fornire una

mappa dei diversi modi in cui è stata intesa. Tutto questo al fine di capire se e quanto la simpatia

sia essenziale per la pratica umana della moralità e se sia possibile metterla al centro di una

proposta etica in grado di affrontare i problemi morali. 3

Nella filosofia antica, la nozione di simpatia (sumpateia), viene usata per indicare un processo che

si sviluppa nel mondo fisico e soltanto in un secondo momento nel mondo umano; gli stoici, che

influenzeranno Cicerone prima e Hume e Smith dopo, vi si riferiscono come a un “legame che

unisce tra loro le cose e le tiene e le fa convergere nell’ordine del mondo”, e si riferiscono a

simpatia universale quando richiamano un’affinità oggettiva esistente fra tutte le cose, una forza

cosmica che tiene insieme tutte le cose del mondo.

Più tardi si faranno alla nozione cosmica di simpatia anche Plotino nelle Enneadi e Shaftesbury,

che nel 17° secolo ripropone la nozione di empatia legandola ad una concezione armonicistica

dell’universo.

Nel pensiero antico non manca però una caratterizzazione umanistica della simpatia: già Aristotele

la inserì nelle situazioni sociali in cui si trovano gli umani, indicandola come una sorta di

partecipazione agli stati affettivi altrui (soprattutto di sofferenza e dolore), confondendola quindi

con le nozioni di pietà e compassione.

Nella cultura antica la simpatia si identifica con un fenomeno universale e con la forza che tiene

insieme tutte le cose in una relazione stretta e automatica, rendendo possibile l’ordine e l’armonia

naturale. Quindi, fin dall’inizio, la simpatia è considerata come una forza positiva.

Successivamente, Francesco d’Assisi nel Cantico delle creature trasforma la simpatia da forza che

mette insieme una serie di realtà unificate e armonizzate in una capacità di riconoscere

l’individualità e di dare un distinto valore alla realtà, permettendo nello stesso tempo a chi prova la

simpatia di entrare a tutti gli effetti in relazione intersoggettiva (così come lui entra in relazione

intersoggettiva con la sorella Luna, il fratello Sole etc.); Francesco presenta dunque la simpatia

come una forma particolare di unipatia, che unisce tutte le realtà con cui simpateticamente si

reagisce, in quanto – come lui – sono tutte creature di Dio.

Le analisi di Scheler sull’unipatia di Francesco permettono di distinguere la nozione di simpatia nel

contesto della nostra cultura con quello che troviamo nella cultura orientale buddhista:

Schopenauer recupera infatti la concezione di simpatia delle tradizioni indiana e buddhista, che si

allontanano dalla nostra moderna concezione della nozione, e fanno della simpatia una sorta di

comunanza con tutti gli altri esseri che soffrono, con l’obiettivo di negare sia la sofferenza sia la

personalità di coloro su cui interviene; questo annulla l’elemento intersoggettivo della simpatia

moderna, che permette di riconoscere il valore di chi simpatizza e colei/colui con cui si simpatizza.

Una relazione attiva tra due poli

Nel 17° secolo viene messa da parte la visione di Cartesio e Spinoza che indica le affezioni come

totalmente prive di potere e passive; a questo punto la simpatia giunge ad avere un ruolo

essenziale nelle relazioni umane e intersoggettive, e può conquistare il suo posto come forza

dinamica della natura umana.

Fu decisiva per la simpatia, tra 17° e 18° secolo, la critica alla visione di Hobbes che negava la

presenza negli esseri umani di tendenze di partecipazione alla vita emotiva altrui; Hobbes

assumeva che “la compassione consiste nell’immaginazione o finzione di una futura calamità per

noi, derivante dal senso della presente calamità di un altro uomo”, mentre molti pensatori si

impegnarono a mostrare che invece esiste una forza attiva di connessione tra più soggetti e

principalmente tra chi simpatizza e colei o colui con cui si simpatizza.

In questo quadro, furono significative le elaborazioni di Shaftesbury e Hutcheson. Entrambi gli

autori riconoscevano agli esseri umani un grado di apertura l’uno verso l’altro, chiamato dal primo

simpatia e dal secondo senso pubblico, ma nonostante ciò non riuscirono ad arrivare a quella

secolarizzazione che invece ritroviamo in Hume e Smith.

Shaftesbury parla infatti di simpatia con impostazione platonizzante, considerandola come una

trama che va al di là del mondo umano e crea un contesto di armonia tra vite umane e ordine

universale; quando la simpatia viene a mancare, invece, vi è disordine e disarmonia che si estende

alle relazioni sociali e che porta alla malattia e alla follia.

Hutcheson preferiva usare il termine senso pubblico, e scriveva della simpatia riferendosi a una

sorta di contagio emotivo, processo attraverso cui le passioni – in modo istintivo – passano da una

persona all’altra; questo contagio è, secondo l’autore, facilitato dalla voce umana. 4

Hutcheson, criticando la visione egoistica di Hobbes, assume che la natura umana sia stata fornita

– oltre ai cinque sensi – anche del senso pubblico, grazie al quale “l’osservazione della felicità

altrui diventa occasione necessaria di piacere, e l’infelicità occasione di dolore”. Dunque, secondo

Hutcheson, qualunque sia il vantaggio che si prova simpatizzando con il fortunato, nessuno può

essercene simpatizzando con l’afflitto: questo toglie alla simpatia quella visione egoistica che le

era stata affibbiata da Hobbes. Hutcheson assumeva che, per difendere la moralità, la provvidenza

ci aveva dotato di senso morale, grazie al quale si approva la benevolenza.

Hume, per quanto riguarda la simpatia, prese le distanze da Hutcheson: egli riteneva quest’ultimo

incapace di cogliere il collegamento della simpatia con l’immaginazione e la riflessione, e incapace

di riconoscere che – per gli esseri umani – i sentimenti morali sono possibili in quanto intervengono

in un campo di relazioni che l’uso della simpatia ha reso effettivamente possibili.

Tuttavia, il contributo di Hutcheson è stato importante in chiave neodarwiniana poiché l’autore

intendeva la simpatia come capacità innata, istintiva e necessaria degli esseri umani.

Un principio di comunicazione e partecipazione

E’ nel corso del 18° secolo, grazie a Hume e Smith, che troviamo la trattazione più approfondita

della nozione simpatia, che influenzerà i secoli a venire. La prima svolta è data dal fatto che i due

illuministi scozzesi considerano la simpatia esclusivamente un dato della natura umana e non una

forza cosmica alla maniera di Shaftesbury. La simpatia si presenta come capacità o forza

psicologica di cui sono dotati tutti gli esseri umani, che richiede quindi di considerare le

individualità umane come soggetti distinti, anche se caratterizzati da passioni, emozioni e processi

biologici comuni. I pensatori scozzesi concordano anche nel collocarne l’azione principalmente

nelle relazioni interpersonali, azione che varia al variare dei contesti.

Hume e Smith riconoscono che nulla vieta di immaginare trasformazioni della specie umana tali

che non sia più presente la capacità di simpatizzare e, poiché considerano la simpatia come la

struttura portante di molte aree quali moralità, giustizia, economia e politica, una sua scomparsa

potrebbe portare alla distruzione di queste strutture della vita sociale che da essa conseguono,

portando alla mancata sopravvivenza della specie umana.

Tuttavia, lontani da tale visione pessimistica sulle capacità simpatetiche, gli illuministi scozzesi

hanno cercato di delinearne il funzionamento ed indicarne i campi in cui la simpatia interviene,

insieme alle principali variazioni storiche e culturali.

Per Hume la simpatia è soprattutto un principio psicologico che permette la comunicazione e la

partecipazione tra gli esseri umani; per Smith è sì un principio psicologico, ma è teso a distinguere

tra ciò che possiamo approvare e ciò che dobbiamo disapprovare; queste diversità incidono sulla

visione della connessione tra simpatia e moralità: Smith la concepisce come necessaria e

sufficiente, mentre Hume solo necessaria ma non sufficiente.

Hume dedica alla simpatia diverse analisi, come nel Trattato sulla natura umana e in Ricerca sui

principi della morale; in quest’ultima opera Hume mette da parte la nozione simpatia a favore di

quelle di umanità e partecipazione, poiché rinunciò all’analisi dettagliata, profonda e “anatomica”

che forniva nel Trattato.

Il primo punto fissato da Hume è che la simpatia non riguarda le relazioni tra cose o oggetti, ma

soltanto le relazioni tra gli esseri umani, sebbene coinvolga anche le relazioni con gli animali e sia

rintracciabile tra gli animali stessi (parallelismo Hume tra bambini, poeti e filosofi – p.43).

Il secondo punto fissato da Hume riguarda l’affermazione che anche gli animali sono capaci di

simpatia anche se ad un livello più semplice, che permette la trasmissione di tutta una serie di

passioni, comprese invidia e malignità, escludendo però la pietà, in quanto legata ad uno sforzo di

pensiero e immaginazione esclusivo dell’uomo (ritroveremo storicamente questo punto con le

ricerche di Darwin, che comparano l’uomo all’animale annullando quelle diversità al primo attribuite

nella mentalità europea del 18° secolo).

Hume sostiene che il ruolo della simpatia nella vita umana è decisivo proprio in quanto gli esseri

umani sono fatti in modo tale da considerare una totale solitudine come il peggior castigo che ci si

possa infliggere, in quanto qualsiasi piacere languisce se non è goduto in compagnia, e qualsiasi

dolore diventa più crudele e intollerabile. Hume, nel Trattato, assume che tutte le passioni umane, 5

anche quelle apparentemente più egoistiche quali vanità e ricerca del successo, possono essere

spiegate ammettendo che le relazioni tra gli esseri umani sono strutturate intorno alla capacità di

simpatia, che consiste nel farsi influenzare dalle emozioni e dalle passioni altrui.

Alle profonde radici che ha la simpatia nella vita umana, vanno fatte risalire quelle influenti

tendenze sociali quali quella di non accettare di vivere in un’esistenza segnata da disaccordi

profondi con gli altri su sentimenti morali e convinzioni conoscitive: tendenza, questa, che porta

all’uniformità di opinioni all’interno della società

Hume distingue due livelli in cui il principio

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A.A. 2015-2016
26 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/06 Storia della filosofia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher raikkonen9 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia dei processi cognitivi e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Messina o del prof Velardi Andrea.