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LA STRATEGIA ASCENDENTE

Domanda: “Credi che le persone abbiano la coda?”.

Secondo Goldman una richiesta del genere innesca un processo caratterizzato dalla fase

introspettiva, durante la quale si esaminano i propri stati interni per farli emergere alla coscienza.

Secondo Gordon, invece, un quesito simile non ci porta ad esaminare le nostre credenze, ma il

mondo esterno, le cose e le persone che ci circondano, per giungere infine alla formulazione della

risposta “No, non credo che le persone abbiano la coda”.

Per rispondere a una domanda relativa ai nostri stati mentali rispondiamo a un quesito più

semplice, che verte sulla realtà. Tecnicamente, si scende di livello semantico (= significato delle

parole), rispondendo alla domanda relativa al contenuto della credenza in questione. Una volta

ottenuta la risposta (“Le persone hanno la coda”), si incolla un prefisso puramente sintattico (=

struttura della frase) relativo alla credenza in questione (“No, non credo che”), producendo così

l’enunciato di risposta (“No, non credo che le persone abbiano la coda”).

Dall’ultimo passo, che richiede di “risalire” al livello semantico di partenza, l’intero processo prende

il nome di strategia ascendente (si scende alla sintassi e si risale al livello semantico di partenza?).

Secondo Gordon, il processo della strategia ascendente costituisce un passo cruciale verso la

comprensione della nozione di spazio mentale, fornendo così la conoscenza cardine del nostro

sapere psicologico ingenuo.

Ed è proprio la simulazione del comportamento, intesa nell’accezione sopra esaminata, a costituire

il secondo componente cruciale dell’intero processo. La strategia ascendente, se svolta durante la

simulazione, permette infatti di cogliere l’aspetto prospettico di una mente.

Alla domanda “Secondo te William crede che stia per nevicare?”, ci trasformiamo

temporaneamente in William per vedere, dalla sua prospettiva spazio-temporale (realmente o

nell’immaginazione), quale risposta forniremmo. Tale risposta viene trovata attraverso la strategia

ascendente. Siamo diventati William, vediamo ciò che lui vede e possiamo chiederci se sta per

nevicare. Dopo la simulazione torniamo in noi e mettiamo il prefisso adeguato (“Sì, William crede

che stia per nevicare”).

È quindi simulando da prospettive diverse che ci accorgiamo dei diversi punti di vista delle diverse

persone. Tali punti di vista sono in prima istanza prospettive sul mondo o sui nostri stati fisiologici,

ma vengono col tempo intesi come origine di punti di vista mentali diversi. In altri termini, a forza di

simulare nei panni di persone diverse capiamo che la realtà non è la stessa per tutti, ma che è

filtrata da prospettive sul mondo che vengono intese come prospettive psicologiche.

Il quadro che si delinea è il seguente: entrambi i processi cruciali per l’esercizio della psicologia

ingenua si svolgono a livello della realtà, senza prendere in esame la mente. La simulazione, da

sola, permette elementari processi di predizione del comportamento; mentre la strategia

ascendente permette di interrogarsi sulle proprie credenze. Quando i due processi si incontrano ne

emerge tutto l’impianto mentalistico che molti filosofi e psicologi hanno – secondo Gordon

erroneamente – considerato espressione di una teoria della mente.

RYLEANI, SELLARSIANI E OUTLOOKERS

La concezione di Gordon della teoria della simulazione (radicale) è vicina al comportamentismo,

ovvero all’idea che si possa spiegare tutto l’agire umano in termini che si riferiscono

esclusivamente a entità osservabili, come catene di stimoli e risposte. L’autore, tuttavia, non

intende ridurre il suo pensiero all’ormai morto e sepolto comportamentismo; per descrivere la sua

posizione intermedia tra comportamentismo e mentalismo, fa riferimento a due autori delle

rispettive scuole, Ryle e Sellars. 21

Il nome di Ryle è fortemente legato al comportamentismo, mentre Sellars è un critico di tale

approccio.

Sellars ci invita a immaginare una comunità di ryleani, capaci di fornire unicamente spiegazioni

comportamentistiche delle azioni. Nella comunità compare un nuovo individuo, Jones, che ritiene

che il comportamento non sia causato dalla disposizione a comportarsi in un certo modo, ma sia

mosso da stati mentali (desideri, pensieri etc.). Per Sellars, rispetto ai ryleani, Jones acquisisce

una capacità qualitativamente superiore di spiegazione del comportamento.

Gordon concorda con la critica sellarsiana a Ryle, senza però sposarne le conclusioni.

Ci propone quindi il mito degli Outlookers (“quelli che guardano fuori”). Per il mito completo p.82.

Gli Outlookers non sono ryleani perché non si limitano a spiegare il comportamento in termini di

stimoli e risposte. Tuttavia, non sono nemmeno sellarsiani perché non fanno mai riferimento a

termini mentali.

Al di là del mito, secondo Gordon i veri Outlookers siamo noi: se qualcuno ci chiede “Perché hai

girato a destra?” noi rispondiamo “Perché a sinistra la strada non è asfaltata”, senza aggiungere

“Perché ho pensato che…”, omettendo quindi il linguaggio psicologico; questo verrebbe inserito

soltanto in casi eccezionali, ad esempio quando dobbiamo spiegare o scoprire un tentativo di

inganno: ad esempio “Marta è andata a sinistra perché conoscendo la situazione disastrosa

dell’asfalto, vuole farci perdere del tempo”.

Il tipo di analisi nell’esempio, indiscutibilmente mentalistica, non è che la punta dell’iceberg di un

lungo processo che nella sua essenza è fondato sull’analisi del mondo, non della mente altrui.

Siamo evidentemente tornati alla logica della strategia ascendente, vale a dire al meccanismo

attraverso il quale, a fronte di una domanda mentalistica, tagliamo e riduciamo la complessità

semantica dell’enunciato, fino ad arrivare, nei casi più semplici che fanno da sostegno a tutto il

nostro sapere psicologico ingenuo, a enunciati che vertono direttamente sulla realtà.

IL PARADOSSO DI MOORE

Proprio il fatto di guardare al mondo permetterebbe, secondo Gordon, di evitare il paradosso di

Moore:

p, ma non credo che p.

Che diventa: “Piove, ma non credo che piova”.

Ora, se per attribuire uno stato mentale mi affidassi a una teoria della mente, una frase come la

seconda sarebbe perfettamente accettabile: piove, ma per qualche ragione la mia teoria

psicologica mi porta a credere che non piova.

In verità, per quanto suggestiva, questa critica perde la sua forza se si osserva – semplicemente –

che una persona mentalmente sana che si accorge che piove non riferirebbe mai una frase del

genere.

Il disturbo mentale è una deviazione dalle modalità standard di pensiero delle persone e quindi

della psicologia ingenua che – in una persona sana – non potrebbe spiegare tali affermazioni,

azzerando quindi il paradosso.

Restando sull’analisi proposta da Gordon, andiamo ad approfondirla per ricavare la critica decisiva

a mettere in crisi la posizione di questo autore.

E I DESIDERI?

Nei casi di paradosso citati da Gordon, non compaiono mai desideri. Esempio di desiderio: “Piove,

ma non desidero che piova”; i desideri, come si può notare dall’esempio, differiscono dalle

credenze poiché vertono su stati di cose che non sono realizzati: la realtà dice P, mentre lo stato di

cose cui miriamo è non-P.

Il problema si manifesta nel caso di spiegazione del comportamento, per il quale è assoluta

normalità ricorrere alla coppia credenza-desiderio. 22

Come distinguere il processo di attribuzione di una credenza “che X” da quella, per esempio, di

attribuzione del desiderio “che X”? In altri termini, come distinguere la credenza “che Marco è a

casa” dal desiderio “che Marco sia a casa”?

Il processo indicato da Gordon semplifica la domanda originale ignorando il predicato mentale e

ponendo la vera questione al livello inferiore. Ora, alla domanda di livello inferiore (“X?”) non si può

dare risposta se non si è in grado di distinguere diversi atteggiamenti nei confronti di X. È una

domanda che verte su un desiderio? Su una credenza? E così via. Questo passo introduce

inevitabilmente dei concetti mentalistici.

In altre parole, se l’eliminazione dei predicati psicologici è da intendersi non come una strategia

euristica che semplifica il ragionamento, bensì come un processo sostanziale, ciò che resta dopo

la potatura è una domanda alla quale non si sa che risposta dare. Ogni tentativo di dare una

risposta richiede infatti di sapere di che atteggiamento psicologico si sta parlando; ma questa

conoscenza non è più disponibile, l’abbiamo eliminata. Pertanto i concetti psicologici, se pur si

suppone che possano essere eliminati nel caso delle credenze attraverso la strategia ascendente,

tornano a essere necessari per tutti gli altri predicati intenzionali.

ANCORA GLI OUTLOOKERS

Gli Outlookers, ideati da Gordon, non si limitano a spiegare il comportamento in termini di stimoli e

risposte ma nemmeno fanno mai riferimento a termini mentali. Vien da chiedersi se, ad

un’osservazione più attenta, vengano fatte – magari implicitamente – delle attribuzioni

psicologiche.

Esempio:

Gordon in viaggio: “che cosa c’è di speciale nelle termiti?”.

Outlooker: “Il loro gusto. Nulla è più gustoso”.

Gordon, nel suo viaggio, coglie il senso del significato poiché comprende che i suoi ospiti ricercano

termiti gustose perché desiderano farlo contento. È un pensiero non conscio, ma non si può dire

che non venga formulato. L’intero scambio comunicativo non si compie se non si correla tale

gustosità con la volontà di compiacere e onorare l’ospite. In questo esempio non si può escludere

l’intervento di concetti intenzionali.

UNO SGUARDO COMPLESSIVO SULLA TEORIA DELLA SIMULAZIONE RADICALE

L’idea che usiamo una strategia ascendente per rispondere a domande sugli stati mentali pare del

tutto accettabile. Tuttavia occorre chiarire quale sia la funzione di tale strategia. Un conto è dire

che tale processo svolge il ruolo di una potente euristica del pensiero (vedi Sven), ben altro conto

è dire che attraverso la strategia ascendente si possa parlare di concetti mentalistici pur essendo

questi delle mere etichette sintattiche. Se i predicati di credenza sono solo etichette sintattiche,

allora spetta a Gordon l’onere di spiegare come giungiamo tutti noi, senza difficoltà e

precocemente, a conoscere le proprietà semanti

Dettagli
Publisher
A.A. 2015-2016
36 pagine
2 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/06 Storia della filosofia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher raikkonen9 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia dei processi cognitivi e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Messina o del prof Velardi Andrea.