Riassunto esame Teoria dei Linguaggi. Testo consigliato: Semiotica della comunicazione pubblicitaria, Traini
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Floch fa notare come la zona rettangolare colorata riproduca la superficie totale
dell’annuncio. La somiglianza tra la superficie totale dell’annuncio e la zona rettangolare si
basa su un’alternanza tra zone intercalanti e zone intercalate, e Floch ipotizza che le
opposizioni rilevate possono essere ricondotte a una categoria ben precisa del piano
dell’espressione: continuità vs discontinuità.
La banda puzzle produce un effetto di continuità, al contrario il parallelismo e l’ortogonalità
delle linee, con le loro simmetrie, producono a livello grafico un effetto di discontinuità.
A questo punto Floch passa ad analizzare il piano del contenuto: l’annuncio, nel suo
insieme, è organizzato come la prima pagina di un quotidiano; e a che cosa può rimandare
la nozione di “prima pagina” di un quotidiano? Essa presenta certamente le notizie più
importanti della giornata, ma è anche il luogo dove si manifesta il carattere fondamentale
del discorso giornalistico: quello di rivelarsi come creazione propria (reportage, commenti
ecc). “Così come il giornale è una creazione personale a partire da notizie selezionate e
composte, allo stesso modo la sigaretta ‘News’ è la creazione di un particolare aroma
grazie ad una speciale mistura di tabacchi. Il giornale e la sigaretta riuniscono entrambi
identità e alterità.
La categoria semantica /IDENTITÀ/ vs /CONTINUITÀ/ organizza il piano del
contenuto,
rispetto alla categoria /CONTINUITÀ/ vs /DISCONTINUITÀ/ che organizza il piano
dell’espressione.
Siamo in presenza di un sistema semi-simbolico che sussume l’intero funzionamento
dell’annuncio pubblicitario. La dimensione visiva continuità si correla all’alterità, cioè ai
discorsi degli altri, mentre la visione visiva della discontinuità si correla all’identità, cioè al
discorso personale, alle scelte redazionali, allo stile del giornale.
4.3 – FLOCH: LA COSTRUZIONE DELL’IDENTITÀ NELL’ANNUNCIO WATERMAN
Un’altra analisi condotta da Floch è quella relativa all’annuncio della stilografica
Waterman. L’annuncio può dividersi in due parti ben distinte: la prima, comprende la
lettera manoscritta, una vecchia fotografia e una penna stilografica, produce un effetto di
realtà, nel senso che si ha l’impressione di avere davanti a sé questi oggetti. La seconda
parte corrisponde al testo tipografico dell’annuncio e alla sezione che riguarda la marca:
svelando che si tratta di una comunicazione commerciale all’interno di una rivista. La
prima parte manifesta il discorso di un “io”. Floch nota come la vecchia fotografia e la
stilografica Waterman derivano dalla stessa istanza enunciativa: è chi scrive “io” ad aver
posato la vecchia fotografia e la stilografica. Si tratta della parte non-verbale del discorso
che “io” rivolge a suo fratello.
Anche il testo verbale si può dividere in due parti: nella prima, che si conclude con
“missione scientifica”, sono in gioco “io” e un “tu” distanti; nella seconda compare il plurale
“noi”. La seconda parte, invece, manifesta il discorso della marca. A questo punto Floch
passa all’analisi del piano del contenuto. Se ci si concentra sulla struttura narrativa
dell’annuncio, ci si accorge che all’inizio i due soggetti “io” e “tu” hanno programmi narrativi
molto diversi. Floch rivela in questa prima fase di lettura come i due gemelli fossero
nettamente differenziati. Ma dalla seconda fase in poi le differenze diminuiscono
progressivamente. La Waterman può essere considerata la figura di questa identità
narrativa comune: è un prodotto elegante e di valore che testimonia la condizione sociale
che entrambi hanno raggiunto. Per Floch la fotografia è un controdono: “io”, che ha
ricevuto in dono la stilografica da “tu”, ha ripreso una vecchia fotografia, l’ha posata su un
foglio e si è messo a scrivere. La significazione che emerge dalla pubblicità riguarda le
carriere dei due gemelli, due uomini apparentemente così diversi che però alla fine si
rivelano “assai” simili.
Ma se si ripensa al modo in cui questa significazione è emersa dal testo, viene da pensare
che l’”io”-attore si sia mosso come un semiotico, analizzando le proprie vite e costruendo
nell’analisi un’identità forte tra le varie differenzazioni, segmentando le loro esistenze in
fasi ben precise. 5. LA SEMIOTICA E LA MARCA
5.1 – IL CONTROLLO SEMIOTICO DELLA COERENZA COMUNICATIVA
Si considera l’ipotesi che la semiotica possa contribuire al controllo della coerenza e
dell’efficacia comunicativa di un corpus testuale. Si tratta quindi di analizzare un visual,
uno spot o una campagna pubblicitaria per valutare se i testi sviluppano con coerenza ed
efficacia determinati valori profondi che l’azienda intende comunicare. L’idea risale a
Floch, il quale tra i valori aggiunti che la semiotica può offrire al marketing indica proprio il
controllo della pertinenza tra i livelli del percorso generativo. Coerente con questo
presupposto, dopo aver elaborato il celebre quadrato dei valori di consumo (pratici, utopici,
critici, ludici) Floch specifica che, a partire da questo assetto valoriale, il semiotico può
analizzare i testi concentrandosi sui livelli narrativi e discorsivi per vedere in che modo
sono state sviluppate le assiologie profonde. L’idea che il percorso generativo del senso
possa servire per monitorare la coerenza dei testi, verificando il modo in cui questi
trasformano e manifestano i valori profondi, viene ripresa in seguito da diversi autori. Si
tratta anzitutto di ripensare i livelli del percorso generativo in un’ottica di marketing, dove il
livello assiologico è costituito dai valori che fondano l’identità di una marca.
Il livello narrativo mostra il modo in cui i valori profondi sono trasformati in racconti,
organizzati in schemi d’azione con attanti, programmi narrativi, moralizzazioni; il livello
discorsivo permette di verificare la messa-in-scena dei valori profondi e degli schemi
narrativi. Il livello discorsivo è il più sensibile ai cambiamenti socioculturali: infatti, mentre i
livelli più profondi sono relativamente stabili e permanenti, il livello più superficiale si
trasforma in modo più rapido. Se rivediamo uno spot di trent’anni fa, in effetti, percepiamo
subito l’effetto fuori-moda dei personaggi, degli abiti, dei trucchi, delle ambientazioni, a
fronte di un insieme di valori profondi che invece possono risultare stabili e ancora
vincenti. Semprini e Musso (2001) hanno utilizzato il percorso generativo del senso, con i
suoi tre livelli, per analizzare il modo in cui la marca Barilla – dal 1895 al 2000 – ha
costruito le sue campagne pubblicitarie in relazione a una precisa identità di marca. Il
livello assiologico della marca Barilla è da sempre fondato sui valori di qualità e rispetto
per le tradizioni. Il valore della tradizione è stato trasformato a livello narrativo in una serie
di racconti caratterizzati da un format ben definito: si tratta della slice of life (un pezzo di
vita), rappresentazione di esperienza ed eventi della vita quotidiana come una situazione
domestica, il ritorno da scuola, una festa ecc. Infine questi elementi sono stati messi in
scena a livello discorsivo.
Tra il 1985 e il 1990 viene diffusa la campagna “Dove c’è Barilla c’è casa”. Gli episodi
principali sono: Treno, Bimba - gattino, Fusillo, Adozione. Il tema centrale è quello del
viaggio, presente come viaggio di lavoro in Treno, come ritorno a casa in Bimba - gattino,
ancora come viaggio professionale in Fusillo, e infine come motivo di integrazione e
Adozione. Nel livello asso logico si collocano i valori familiari, il calore domestico, la
sincerità degli affetti. Il livello narrativo è caratterizzato dalla slice of life, mentre nel livello
discorsivo si mettono in scena i codici modernistici (il manager indossa abiti firmati e usa
una Mercedes nell’episodio treno) e le strutture più tradizionali come la famiglia.
Tra il 1994 e il 1999 viene diffusa la campagna “Viva il Blu”. La concorrenza degli hard
discount si fa sentire e la Barilla decide di puntare sul valore della qualità. Le
comunicazioni pubblicitarie vengono caratterizzate dall’uso dei testimonial, e quindi si
alternano Zucchero, Alberto Tomba, Cindy Crawford. Il livello assiologico punta sulla
qualità del prodotto, il livello narrativo sulla spettacolarizzazione (concerti, scene
divertenti), il livello discorsivo sulla messa in scena dei testimoniale, con l’uso costante del
colore blu come segno d’identità visiva. Tra il 1999 e il 2000 si torna a “Dove c’è Barilla c’è
casa”. Con gli episodi Nuotatori e Giappone si propongono come centrali valori della
tradizione; il livello narrativo è di nuovo caratterizzato dalle slice of life; il livello discorsivo
mette in scena la multiculturalità (la coppia mista italo - giapponese), e una domesticità
non più tradizionale, ma culturale e simbolica, vissuta “in assenza” ma con forti vincoli
affettivi.
I due analisti, possiamo notare, sono partiti dal livello assiologico profondo, identificando i
valori che caratterizzano l’identità della marca, e hanno definito un corpus (tre campagne
Barilla dal 1985 al 2000) per verificare la stabilità di questi valori e il modo in cui nel corso
degli anni sono stati trasformati a livello narrativo e discorsivo. È in questo senso che la
semiotica può essere utilizzata per il controllo della coerenza comunicativa: si analizzano i
testi per verificare la coerenza dei livelli, la loro tenuta, le loro trasformazioni rispetto a un
nucleo di valori profondi.
Semprini e Musso pensano all’uso del percorso generativo in due direzioni:
Lettura Lettura
Strategica del
(L’azienda) consumatore
(L’analista)
Livello discorsivo
L’analista parte dalla manifestazione (pubblicità,
packaging, punto- vendita, sito web) per poi
ricostruire i livelli soggiacenti e capire meglio l’organizzazione del senso. L’azienda in
modo strategico legge il percorso dal livello
assiologico al livello discorsivo (dal basso verso l’alto).
Livello narrativo
In questa prospettiva l’azienda può (e deve) chiedersi a
qualsiasi livello se le scelte adottate siano coerenti rispetto ai livelli precedenti, e in
particolare rispetto ai valori del livello più profondo: “Nel caso Barilla è stato modificato
spesso il livello discorsivo facendo attenzione a
Livello assiologico
rispettare i core values che determinano la
chiarezza e la credibilità della marca”. Con
questo uso del modello generativo emerge in modo più chiaro la dimensione operativa
della semiotica.
Dal punto di vista del contenuto la marca, scrive Floch, si caratterizza per una “visione del
mondo”: tali valori profondi possono essere sviluppati in uno schema narrativo e poi
assumere un’identità visiva coerente nei differenti testi comunicativi. Infatti il controllo
semiotico della coerenza comunicativa può essere esteso a tutti gli elementi del mix di
comunicazione. Come sostiene Ceriani (2001), una volta identificato il concetto, cioè la
sintesi dei valori di un prodotto o di una marca, si può lavorare sul nome, sul logo, sul
design, e naturalmente sulla pubblicità per valutare il modo in cui il concetto viene investito
in sostanze diverse.
L’uso della semiotica per il controllo della coerenza comunicativa deve tenere conto di un
presupposto fondamentale: il prodotto perde la sua centralità ed è la marca che si colloca
al centro dell’universo dei consumi. La marca è un oggetto semiotico complesso che ha
enormi potenzialità semantiche e il prodotto è solo una delle manifestazioni discorsive
della marca. “La pubblicità moderna, nata negli anni trenta a Madison Avenue a New York,
ha vissuto un processo di evoluzione che ha posto al centro degli spazi sociali e dei
mercati la marca come punta di diamante di ogni discorso pubblicitario” (Ferraresi-
Mortara-Sylwan 2007).
5.2 – I VALORI DELLA MARCA
Nell’assegnare alla marca un ruolo strategico nei mercati di consumo ad alta complessità,
Semprini individua alcune tendenze di fondo d’ordine economico, sociologico, storico e
culturale: la moltiplicazione quantitativa e qualitativa dell’offerta; la saturazione progressiva
dei mercati; la crescente importanza attribuita dalle aziende alla comunicazione;
l’inquinamento mediatico (l’inquinamento semiotico consuma i messaggi, esaurisce la loro
capacità di produrre significazione rendendoli inutilizzabili come contenuto dell’identità di
una marca); la de materializzazione (le società postindustriali hanno eliminato i significati
tradizionali associati ai prodotti); l’attribuzione di nuovi significati simbolici alle merci; la
differenziazione dei comportamenti sociali; la conseguente differenziazione dei
comportamenti di consumo; la diluizione del consumo della vita (i consumatori non
pongono più barriere tra il consumo e la vita). Tali vettori socioeconomici contribuiscono a
ricollocare la marca in un ambito di assoluta importanza. “Una marca è costituita
dall’insieme dei discorsi tenuti su di essa dalla totalità dei soggetto (individuali e collettivi)
coinvolti nella sua generazione”.
La marca è un vero e proprio “motore semiotico”, che si alimenta con nomi, colori, design,
punti-vendita, pubblicità, oggetti, comunicati, eventi, articoli. Sono cinque, secondo
Semprini, le dimensioni che strutturano il fenomeno-marca:
La natura semiotica della marca: la marca costruisce mondi possibili,
1)
ammobiliati e caratterizzati secondo precise strategie;
La natura relazionale della marca: i discorsi sulla marca sono interrelati,
2)
dialogano e si arricchiscono vicendevolmente;
La natura intersoggettiva della marca: le potenzialità della marca nascono e
3)
si sviluppano in un’oscillazione continua che va dall’azienda ai consumatori;
La natura contrattuale della marca: la marca deve essere “giudicata”
4)
complessivamente dal consumatore;
La natura entropica della marca: la marca tende a perdere incisività e
5)
pregnanza e deve essere animata e sostenuta continuamente.
La marca, secondo Semprini, descrive un mondo possibile estremamente ricco e
complesso dal punto di vista significativo e comunicativo.
Fabris e Minestroni (2004) sostengono che la marca si svincola dal prodotto e dal servizio,
disegna territori, definisce stili di vita, propone sistemi di valore; appartiene all’attualità
culturale e produce valore semiotico prima ancora che commerciale. La marca moderna
ha avuto delle fasi che Fabris e Minestroni ricostruiscono con precisione. Per un certo
periodo ci si è concentrati sulla memorabilità: l’obiettivo era quello di rendere distinguibile
e memorabile il marchio di fabbrica con il suo nome e logo, puntando sostanzialmente sul
ricordo e la notorietà. Dalla ricerca della notorietà si passa poi alla ricerca della fiducia: il
marchio deve diventare fiduciario e deve ottenere la legittimazione sul mercato. Dopo la
notorietà e la fiducia, l’obiettivo delle marche diventa il perseguimento del goodwill:
“attitudine psicologica favorevole, una predisposizione alla benevolenza da parte del
consumatore nei confronti della marca: una sorta di sintesi valutativa dell’immagine”. Essa
si ottiene con l’accumulo di buone impressioni che possono generare un sentimento di
fiducia, di inclinazione affettuosa del brend. Ma all’inizio degli anni settanta emerge
l’esigenza di costruire marche con segni forti e caratterizzanti. L’ipotesi è che il
posizionamento possa diventare il vero patrimonio della marca. Il posizionamento diventa
un concetto cardine del marketing e si susseguono i tentativi per segmentare il pubblico: si
usano i criteri demografici, gli stili di vita, e oggi ci si confronta con il consumatore
postmoderno e che sembra mettere in crisi tutti i criteri tradizionali del posizionamento. Il
posizionamento della marca sembra già più problematico poiché si corre il rischio di
soffocare un entità ricca di significazione in quanto la marca è difficilmente
schematizzabile in un posizionamento. Frattanto si torna a porre l’accento sul côté (lato)
emotivo e fiduciario puntando sul commitment cioè sul coinvolgimento, sull’empatia, sulla
rappresentazione sociale del sé: “ La marca diviene un’amica fidata, con sui si sta
volentieri in compagnia, che fa parte del nostro côté emotivo ed emozionale, che offre agli
altri una buona rappresentazione di ciò che siamo o vogliamo essere, quasi un biglietto da
visita”.
In questa alternanza tra prospettive razionali (notorietà,posizionamento) ed emotive
(fiducia, goodwill, commitment), si fa strada l’idea che sia importante l’attualità culturale
della marca e che sia opportuno perseguire un cotante fine tuning con le tendenze sociali.
La marca è attore sociale, specchio dei temi e quindi deve “agganciare” lo spirito del
tempo, l’attività culturale, e farne la sua dimensione sociale e fondativa. Per esempio, negli
anni ottanta prevaleva l’aria del sé e del privato, nel decennio successivo si impongono i
valori dell’autenticità, dell’equilibrio, dell’armonia, dell’espressione de sé, del corpo curato
in un certo modo (“wellness”).
Ora assistiamo invece all’ascesa dei grandi valori etici e sociali: il rispetto per l’ecosistema,
la solidarietà verso i paesi del terzo mondo ecc. E le marche devono sintonizzarsi con
queste tendenze: a modo loro devono farle proprie. Per questa via si arriva a porre
l’attenzione sui valori con cui la marca può identificarsi: “è come se le marche sentissero
ora l’esigenza di aggiungere, i contenuti originari delle proprie etichette e prodotti una serie
di significazioni più ampie e coinvolgenti”.
5.3 – SEMIOTICA PER LA MARCA
È in Marrone (2007) che si possono trovare la definizione più compiuta di marca dal punto
di vista semiotico e l’esposizione più esaustiva di una serie di modelli semiotici per il
branding, che dovrebbe essere visto come un terreno di lavoro congeniale per la
semiotica, da un lato perché chi gestisce le marche può trarre vantaggio dall’uso di modelli
analitici e interpretativi della scienza della significazione, dall’altro perché la semiotica può
trovare nello studio delle marche un terreno fertile per mettere e a punto e ripensare i suoi
strumenti e i suoi metodi.
Da un punto di vista semiotico la marca è l’insieme di tutte le sue manifestazioni, che
vanno dai testi del mix di comunicazione come la pubblicità, il logo, il naming, il sito web, il
prodotto, il prezzo, il packaging, il punto-vendita ecc. alle azioni intraprese dalla proprietà o
dai manager o dai dipendenti, ai testi che altri attori sociali si incaricano di mettere in
circolazione (per esempio i media) fino ai bilanci con i quali si comunica la situazione
finanziaria. A partire da questi oggetti completi la semiotica cerca di ricostruire i discorsi e i
valori soggiacenti ed è in questo senso che Marrone definisce la marca come una
metaistanza discorsiva che ingloba e assorbe discorsi di vario tipo: i discorsi si incrociano,
si ibridano, entrano in conflitto, rientrano in sintonia, si trasformano reciprocamente
all’interno di una rete intertestuale, interdiscorsiva e intermediatica.
Marrone propone una visione transdisciplinare e comparativa della marca, con il discorso
del branding che sussume una serie complessa di altri discorsi. La semiotica può mettere
a disposizione i suoi strumenti analitici, i suoi modelli per una gestione più efficace del
branding. Anzitutto può analizzare il carattere narrativo del discorso di marca, poiché è
“proprio la strutturazione narrativa della marca a garantire il potere significativo e l’efficacia
comunicativa, a contribuire in modo determinante alla costruzione di quella fiducia di fondo
fra azienda e consumatore senza la quale nessuna marca avrebbe ragion d’essere”.
Concentrandosi invece sul livello discorsivo, la semiotica può contribuire ad analizzare il
modo in cui i testi costruiscono simulacri degli emittenti e dei destinatari empirici, o il modo
in cui dispongono elementi tematici e figurativi. La semiotica può inoltre aiutare ad
analizzare le identità visive e tutti quei fenomeni comunicativi che hanno a che fare con i
sensi e la corporeità. Marrone mostra come tutti gli strumenti che la semiotica ha elaborato
nella sua storia possano essere messi a disposizione per una migliore comprensione dei
fenomeni di branding.
Semprini nel 2005 ha proposto un modello d’intervento semiotico orientato alla gestione
strategica della marca postmoderna. Considerando l’attività di una marca come un
processo di enunciazione Semprini individua due livelli costitutivi: “il progetto di marca” e le
“manifestazioni”.
Nel progetto di marca si collocano la visione, le intenzioni, il programma della marca.
“Tutte le grandi marche dispongono di un progetto di marca forte e distintivo. Per l’Oréal è
rendere le donne orgogliose di se stesse, per Ajax è liberare la donna dalle fatiche
domestiche, per Nokia è unire le persone, per Danone è proporre un’alimentazione sana e
golosa”.
Le manifestazioni sono invece generate da questa istanza progettuale, comprendono tutte
le modalità attraverso le quali una marca può esprimere il suo progetto e rappresentano
dunque le prove osservabili del progetto di marca, le sue tracce (spot, siti, logotipi, punti-
vendita ecc.).
Secondo Semprini il modello Progetto/Manifestazioni può essere percorso in due direzioni.
Le aziende partono strategicamente dal progetto per generare coerentemente le
manifestazioni: il percorso è strategico poiché le manifestazioni si generano a partire da
un progetto che è stabilito a monte. Il pubblico della marca, invece, compie un percorso di
interpretazione partendo dalle manifestazioni e ricostruendo da esse il progetto.
Progetto di marca
Manifestazioni
Attraverso l’analisi di una manifestazione come uno
spot o un logo si può avere solo una accesso parziale all’identità della marca, ma l’analisi
di un numero elevato di manifestazioni permette di avere un idea più approfondita del
progetto di marca.
Secondo Semprini, il progetto ricostruito dall’interpretazione delle manifestazioni sarà un
progetto di marca manifestato, da non confondere con il progetto di marca vero e proprio
che è elaborato dagli strateghi che gestiscono la marca. L’ultima tappa del processo
consiste nel mettere in relazione il progetto di marca manifestato con il progetto di marca
vero e proprio: in quanto è proprio la dialettica tra il progetto di marca ricostruito nelle
analisi e il progetto di marca elaborato dal management a definire la vera identità di una
marca. Il modello Progetto/Manifestazioni soddisfa alcuni requisiti fondamentali:
È riconosciuta la dimensione semiotica della marca (alla base della
I. modellizzazione c’è il progetto di marca);
È centrarle la distinzione di due livelli: espressivo e contenuto;
II. Viene integrata la dimensione dinamica ed evolutiva della marca (la gestione
III. significativa e comunicativa della marca sono considerati come un processo);
Si mantiene l’idea di una gerarchia di livelli nella modellizzazione.
IV.
Gestire il branding in questo modo permette all’azienda di controllare globalmente i suoi
discorsi, con uno strumento che consente di valutare i discorsi già emessi e quelli che
devono essere ancora realizzati. “Il modello generativo, una volta validato, permette
all’azienda di creare un sistema di riferimento obiettivo che diviene, col passare del tempo,
la memoria oggettiva della marca”.
Secondo Semprini e Musso, il passo successivo sarebbe quello di costituire una brand
chart della marca, che diviene una sorta di carta d’identità della marca che permette di
gestire la comunicazione (packaging, sponsoring, punti vendita, siti-web ecc.).
Sono poche le imprese che dedicano attenzione alla sua equità (identità, notorietà). Il
modello che propongono Fabris e Minestroni (2004) per valutare l’equity di una marca è
molto articolato:
Anamnesi , ovvero ricostruire la storia e profilo della marca;
- Sintomatologia , ovvero valutare la visibilità e le potenzialità e il commitment;
- Analisi, ovvero valutare tutte le attività comunicative della marca (posto centrale nel
-
sistema di rilevazione);
Diagnosi/prognosi , ovvero analisi profonda della marca a partire da una serie di
-
parametri articolati.
Terapia , ovvero definire una strategia.
-
5.4 – CORPORATE IDENTITY E CORPORATE IMAGE
Nella valutazione semiotica di una marca non si può non considerare che dietro vi è la
Corporate, cioè “il complesso organismo (finanziario, tecnologico, produttivo, gestionale)
che rappresenta la figura istituzionale entro cui sono iscritti uomini e mezzi, cultura
industriale e sapere produttivo, biografia commerciali e forza finanziaria”. Si tratta, in
buona sostanza, del gruppo industriale che sta alle spalle del brand e che spesso si trova
a gestire una pluralità di marche: l’architettura di marca può essere considerata allora lo
strumento attraverso il quale far funzionare le proprie marche creando chiarezza e
sinergie.
Tra le modalità attraverso cui una Corporate può organizzare con efficienza le proprie
marche Fabris e Minestroni indicano le seguenti: per destinazione d’uso (si raggruppano le
marche che servono per i capelli, per la cura dell’infanzia ecc.); per modalità di
utilizzo/occasione di consumo (Buitoni ha suddiviso il proprio portafoglio in tre
macrotipologie: dispensa, frigo, freezer); per tipologie di prodotto (Formaggi, Piatti Pronti,
Snack, Dentifricio, Colluttorio); per tecnologia utilizzata; per posizionamento sulla base
della qualità, del valore e del prestigio (le carte di credito Visa sono: Classic, Gold,
Platinum, Signature); per beneficio offerto; per localizzazione territoriale e strategica dei
mercati (locali o globali); per segmento di mercato (adolescenti, adulti ecc.).
Per quanto riguarda invece le possibili relazioni tra Corporate e marca, Fabris e Minestroni
propongono una tipologia che prevede alcuni casi più frequenti:
Corporate e marca coincidono e formano un unico prodotto o diverse versioni dello
i. stesso, ma sempre nel medesimo comparto merceologico; è il caso di McDonald’s,
Nike, Illy e tante altre. Questa tipologia di marche viene definita come marca-
prodotto (product-brand);
Corporate e brand coincidono e si declinano in diversi settori merceologici; è il caso
ii. di Virgin, una Corporate presente nel settore delle compagnie aeree (Virgin Atlantic
Airways, Virgin Express), nel settore ferroviario (Virgin West Coast Trains), nel
settore dei soft drinks (Virgin Cola); nell’editoria (Virgin Books), nei videogiochi
(Virgin Play), nel turismo (Virgin Resort and Hotels), e in altri settori come le polizze
vita.
Corporate e brand non coincidono. Le marche del gruppo abbracciano diversi
iii. settori merceologici oppure un unico comparto del consumo con distinti
posizionamenti; in questo caso la Corporate ha solo una funzione istituzionale, non
di brand. È il caso di multinazionali come Henkel o Unilever. Per esempio Procecter
& Gamble ha marca come Dash, Pampers, Ace che funzionano in totale autonomia
rispetto alla Corporate a cui appartengono. Fabris e Minestroni osservano che lo
svantaggio di questa combinazione consiste nel dover lavorare su ogni singola
marca per la costruzione di una identità ad hoc. Non esistono neanche quei cross-
benefits che possono derivare dal riverbero di una marca di successo sull’intera
Corporate e su altre marche del suo portafoglio. Anche il rischio è diversificato: un
insuccesso o un crollo commerciale non avrà conseguenze sulla Corporate o su
altre sue marche.
Corporate e brand coincidono solo in parte. La Corporate è marca ma svolge anche
iv. un ruolo istituzionale di Corporate per altri brand, dello stesso settore o di altri
settori merceologici; è il caso di Coca-Cola Company, che è marca in quanto forma
Coca-Cola ma è anche Corporate per altri brands come Fanta, Sprite ecc.
Per una politica dell’immagine, si parte da tre modelli proposti da Carmagnola:
Il modello minimale intende l’immagine come apparenza; in questo modello il
i. momento di visibilità dell’immagine si concentra nel segmento finale. Siamo
sostanzialmente nel campo dove contano la creatività e la qualità della
comunicazione pubblicitaria: quindi il design, la grafica, l’immagine coordinata.
Il modello funzionale intende l’immagine come sottosistema delle strategie di
ii. marketing; in questo modello il soggetto comunicatore non è più esterno
all’azienda (per esempio un’agenzia pubblicitaria), ma è il sistema di
comunicazione d’impresa, in sostanza “l’immagine diventa una funzione delegata”.
“È modello che riconosce, nella gestione dell’immagine, due elementi – la marca e
il prodotto – sottovalutando la portata strategica dell’integrazione delle varie
funzioni aziendali”.
Il modello integrato considera l’immagine come identità complessiva: si passa così
iii. a una concezione dell’immagine che coinvolge il complesso delle funzioni
organizzative di un’azienda, e quindi la sua direzione strategica.
Grandi (1994) parte dai modelli di Carmagnola e prova a ipotizzare che a monte della
Brand Image vi sia una Corporate Identity. In questa prospettiva la Corporate Identity è ciò
che dell’impresa intendono valorizzare, e successivamente comunicare, i componenti della
direzione. La parte visibile della Corporate Identity è la Visual Identity, che può
manifestarsi in tutte le forme comunicative dell’impresa, dagli stabilimenti ai punti-vendita,
dal packaging ai logotipi, dal design alla pubblicità. Secondo Grandi la Corporate Image è
un universo di significazione che funziona come cornice di senso all’interno della quale
tutti – la direzione e il pubblico – possono interpretare il gruppo industriale, le sue marche,
i suoi prodotti, i suoi servizi.
La corporate Identity è decisa dall’impresa e coincide con il livello assiologico profondo,
mentre la Corporate Image è il prodotto di un’interazione complessa in cui convergono i
discorsi dell’impresa e sull’impresa. È difficile tracciare linee di confine precise tra
Corporate Identity, Visual Identity e Corporate Image dal momento che le tre istanze
interagiscono e si modificano continuamente: un tratto della Visual Identity può andare a
costruire la Corporate Identity (il design della bottiglia Coca-Cola fa parte ormai della sua
identità); oppure un certa Corporate Image può modificare la Corporate Identity (è il caso
di un’azienda in crisi che decide di modificare il suo nucleo identitario). Tuttavia vale forse
la pena sostenere ancora l’operatività di questi concetti soprattutto quando si vuole
distinguere i prodotti/servizi, marche e Corporate: se occorre studiare l’equity di una marca
partendo dal livello assiologico profondo per poi verificare lo sviluppo narrativo e
discorsivo dei testi che formano il mix di comunicazione, non si può prescindere dal fatto
che questa marca appartiene a una Corporate, la quale a sua volta avrà un suo nucleo
identitario (Corporate Identity) e una sua immagine (Corporate Image), e ingloberà forse
altre marche con altre significazioni potenziali che bisogna prendere in considerazione.
6. VERSO UNA SEMIOTICA DEL CONSUMO
6.1 – IL PROCESSO SEMIOTICO DEL CONSUMO
Se in una direzione la semiotica del testo pubblicitario confluisce con la semiotica della
marca, in un’altra direzione confluisce con la semiotica del consumo. L’ipotesi è quella di
concentrarsi sulle pratiche di consumo intesa come linguaggi da analizzare con gli
strumenti e le procedure della semiotica. Il testo pubblicitario lavora “alla definizione del
Valore di quell’Oggetto particolare che si vuole che sia acquistati o di quella marca alla
quale si vuole che venga prestata fiducia”. La comunicazione pubblicitaria si distingue per
le sue capacità persuasive. Se pensiamo al processo di consumo nei termini del percorso
narrativo canonico, la comunicazione pubblicitaria è riconducibile alla fase della
₂ ₁
manipolazione, dove vi è un Destinante (S ) che convince un Soggetto (S ) a
intraprendere un certo programma d’azione per il raggiungimento di un oggetto di valore.
Lancioni ricorda che si possono individuare quattro tipi generali di strategie manipolatorie:
• La tentazione, si ha quando il testo pubblicitario presenta un prodotto in grado di
migliorare la competenza del Soggetto;
• La seduzione, si tenta di lusingare la competenza del Soggetto attraverso la messa
in scena di certi valori e con una estetica particolare. È una strategia diffusa più in
pubblicità di marca che in quella di prodotto, soprattutto nell’area moda/profumi;
• L’intimidazione, si ha quando il Soggetto viene “minacciato”, cioè quando gli si dice
che cosa non potrà fare sena quel determinato prodotto. Si tratta di una strategia
più frequente nella comunicazione sociale e rara in quella commerciale, che tende
a evitare la messa in scena di “umori negativi”.
• La provocazione, poco usata nella pubblicità commerciale, poiché anche’essa si
basa su una messa in scena negativa (la mancanza di competenza del Soggetto),
per quanto questa strategia faccia uso di un tono spesso ironico.
“Nei primi due casi il destinatario sociale è invitato a identificarsi con il Soggetto
rappresentato all’interno del testo, che fruisce dei benefici del prodotto pubblicizzato,
assumendolo come proprio simulacro, negli ultimi due casi invece il destinatario sociale
della comunicazione dovrebbe sapersi differenziare dal Soggetto rappresentato, che
verrebbe così a costruirsi non come simulacro del Sé ma come simulacro dell’Altro, inteso
come ‘zimbello sociale’”.
Considerando il processo del consumo nella sua globalità, si amplia il campo d’analisi che
inizia a comprendere anche la dimensione spaziale dei luoghi di consumo e le interazioni
che vi si verificano. Quindi avremo una semiotica del consumo interessata alle esperienze
dei consumatori (le loro interazioni con i prodotti nell’atto dell’acquisto e nella fase del loro
uso).
Da questo punto di vista la semiotica converge con il marketing esperienziale. Ferraresi
sintetizza che “il marketing esperienziale preferisce centrare la propria attenzione sul
contesto d’uso e consumo invece che sui prodotti, sui tipi di esperienza invece che sugli
attributi dei prodotti, e si sforza di integrare gli stimoli che i clienti ricevono dall’azienda”.
6.2 – ESPERIENZE DI CONSUMO
Un lavoro seminale, nell’ambito del marketing esperienziale, è senz’altro quello di Pine e
Gilmore (1999); nel loro testo sostengono che si debbano “esperienziare i prodotti”: cioè
soffermarsi sulla performance dell’utente che usa il prodotto per poi pensare al modo in cui
i prodotti possono essere circonfusi di servizi che saranno a loro volta circonfusi di
esperienze. Per esempio un telefonino può essere arricchito da servizi aggiunti che
andranno a caratterizzare le esperienze d’uso dei consumatori. Analogamente, a una
macchina si possono aggiungere optional (bluetooth, supporti audio/video ecc.) che
possono ampliare le esperienze di viaggio degli utilizzatori.
Nel loro studio Pine e Gilmore elencano diverse modalità di offerta esperienziale e si
soffermano molto sull’importanza di inscenare sorprese: dal loro punto di vista il teatro non
è una metafora ma un modello, e quando i dipendenti lavorano davanti ai clienti ha luogo
un evento teatrale.
Sull’importanza dell’intrattenimento per rendere piacevoli e divertenti i processi d’acquisto
e di consumo si sofferma molto anche Resciniti (2004), che ponendosi dal punto di vista
delle imprese, ipotizza un sistema esperenziale di offerta, cioè un insieme di strategie per
coinvolgere la persona nelle proprie esperienze di acquisto e di consumo; tale sistema i
offerta ha quattro requisiti:
La capacità di coinvolgere il consumatore su più dimensioni della personalità
1. (cognitive, affettive, sensoriali);
La rilevazione del valore simbolico rispetto a quello funzionale;
2. La plurifunzionalità dei prodotti/servizi in relazione ai bisogni/desideri dei
3. consumatori;
La facoltà di autodeterminazione dell’offerta da parte del consumatore; questo
4. secondo Resciniti, è forse il requisito essenziale perché pone come centrale
l’espressione della soggettività personale.
Resciniti, abbiamo detto, si concentra molto sull’intrattenimento. Schmitt, invece, nei suoi
lavori si rivolge direttamente al mondo manageriale e intende fornire un quadro operativo
con il quale aiutare le imprese a progettare e realizzare le loro strategie di marketing
esperenziale. Dopo aver ricordato criticamente che il marketing tradizionale non è
orientato al cliente ma al prodotto e alle vendite, Ferraresi e Schmitt (2006) propongono un
approccio più efficace che mira alla gestione strategica dell’intera esperienza del cliente
con un prodotto o un’azienda: si tratta del Customer Experience Management (CEM), un
approccio che si focalizza interamente sulle esperienze del cliente. Questo tipo di
marketing esperenziale si caratterizza per due aspetti:
I Moduli Strategici Esperenziali (SEM- Strategic Experiential Module), cioè
l’apparato strategico e prevedono 5 tipi di esperienze del cliente: Sense, Feel, Think,
Act, Relate.
• Il marketing del Sense si basa sui sensi, e contempla le esperienze sensoriali
che si possono ottenere attraverso i canali percettivi della vista, dell’udito, del tatto,
del gusto, dell’olfatto. Un esempio di aziende o marche che prestano molta
attenzione a questa area esperenziale può essere Illy, produttore italiano di caffè;
• Il marketing del Feel fa leva sui sentimenti interiori dei clienti e mira a indurre
“emozioni forti”. Buoni casi di coinvolgimento sono i negozi Fiorucci, l’Acquario di
Genova.
• Il marketing del Think si basa sulle esperienze cognitive del cliente e sulle
sue abilità creative che si esercitano nel problem-solving. I punti di forza di questo
approccio sono la sorpresa, l’intrigo, la provocazione, elementi molto usati per
esempio nel settore tecnologico (Apple con lo slogan “Think different”);
• Il marketing dell’Act investe le esperienze corporee, gli stili di vita e le
interazioni. Un esempio può essere quello di Nike, che ritrae di solito atleti famosi in
azione tentando di lavorare sull’esperienze dell’esercizio fisico;
• Il marketing del Relate, infine, mira a richiamare mondi che evocano stili di
vita e modi particolare di stare insieme. Si pensi alla motocicletta americana Harley
Davidson o al caso italiano delle Vespa.
I moduli strategici vengono attivati attraverso strumenti che si definiscono Fornitori
di Esperienza (ExPro): si tratta di “componenti tattici” riconducibili ai noti strumenti del
mix di comunicazione come la pubblicità, i nomi, i logotipi, il design del prodotto, il
packaging, gli eventi e le sponsorizzazioni, gli spazi espositivi, i siti web ecc. Ciascuno
di questi canali può essere implementato sulla base dei moduli strategici del Sense,
Feel, Think, Act, e del Relate, puntando quindi sulla valorizzazione del mondo
percettivo ed esperenziale del cliente.
L’incrocio tra i Moduli Strategici e i Fornitori di Esperienza permette di fare particolare
attenzione agli aspetti economici e manageriali delle esperienze di consumo.
L’impressione però è che il termine “esperienza” venga usati in molte eccezioni, anche
discordanti tra loro.
Nel tentativo di fare chiarezza, Addis (2005) individua quattro filoni per sistematizzare i
contributi sul tema “esperienza di consumo”. Il primo filone è quello chiamato experiential
view of custode behavior. Si tratta di un campo di ricerche sul comportamento del
consumatore, concentrandosi su i suoi aspetti più emotivi e fantasiosi. Il secondo filone è
quello noto come shopping esperenziale, che si focalizza sull’esperienza che ha luogo nei
punti-vendita. Il terzo filone riguarda proprio il ruolo delle emozioni nei processi di
consumo. Il quarto filone, infine, enfatizza la dimensione del coinvolgimento diretti e attivo
dell’individuo.
Addis cita un lavoro di Arnould, Price e Zinkhan, nel quale si prova a categorizzare le
esperienze sulla base di 4 fasi cronologiche: l’esperienza pre-acquisto, dove l’individuo
raccoglie le informazioni, visita il punto vendita, si crea delle aspettative, elabora le
informazioni; l’esperienza di acquisto; l’esperienza del consumo, che si sviluppa
nell’interazione tra l’individuo e il prodotto acquistato; l’esperienza rammentata, che
consiste nei ricordi e l’individuo richiama le fasi precedenti trasformandole in esperienze
nuove.
È nell’ambito dell’esperienza di acquisto, o shopping experience, che la semiotica del
consumo sta trovando uno spazio adeguato d’inserimento, e questo per ragioni
evidentemente strategiche.
6.3 – SPAZI DI CONSUMO
Greimas (1974) suggerisce di considerare, dal punto di vista semitico, lo spazio di
consumo come un linguaggio che autorizza a parlare di qualcosa di diverso dallo spazio.
Marrone (2001) parte da questo suggerimento per ricordare che lo spazio parla della
società ed è uno dei modi principali attraverso i quali la società si rappresenta. Greimas
propone di chiamare semiotica topologica la descrizione, al produzione e l’interpretazione
dei linguaggi spaziali. Tuttavia, ricorda Cavacchioli (1996) che non si può parlare di
spazialità senza considerare la soggettività. Il soggetto si inscrive nello spazio e nello
stesso tempo lo costruisce attraverso il suo schema corporeo che articola le dimensioni
dello spazio: come osserva Cardona (1985), l’uomo in piedi ha a disposizione un sistema
di assi già dato, ma è lui stesso che genera davanti e il dietro, gli spazi laterali, l’alto e il
basso. Seguendo la ricostruzione di Marrone, vi è uno “spazio del testo”: nel caso dei testi
scritti la spazialità comprende l’intera disposizione topologica degli elementi che si
presentano sul supporto planare. C’è poi uno “spazio nel testo”: i personaggi di un
racconto si muovono attraverso luoghi per compiere determinate azioni. Infine c’è lo
“spazio come testo”; gli spazi vengono considerati come oggetti significativi, con una
propria progettualità e vengono risemantizzati nel momento in cui delle persone vi si
immergono con le loro azioni e i loro scopi.
Inoltre vi è una riflessione fenomenologica di Merleau-Ponty dove i soggetti svolgono
percorsi di ricerca in direzione degli oggetto e gli oggetti protendono verso l’uomo. La
semiotica, in ultima analisi, osserva lo spazio come luogo complesso di interrelazioni e di
interazioni tra soggetti e oggetti.
6.4 – PRATICHE DI CONSUMO
Abbiamo detto che la semiotica considera il consumo come un linguaggio. Così come il
semiologo da un lato ha l’organizzazione dello spazio con i suoi elementi architettonici da
analizzare; dall’altro ha il consumatore, che interagisce con questi spazi ed esprime un
comportamento significante. Per questa via si arriva alle pratiche di consumo, riconducibili
alla fase della shopping experience. La semiotica ha sempre contemplato le pratiche
(situazioni, comportamenti, forme di vita) tra i suoi oggetti di studio: Fabbri ricorda che per
la semiotica esistono testi d’oggetti complessi, pezzi di parole, di gesti, d’immagini, di
suoni, di ritmi e così via. È solo per ragioni strategiche che la semiotica si è concentrata
prevalentemente su testi “chiusi” (libri, film, spot, quadri), delimitati dal punto di vista
spazio-temporale perché evidentemente le pratiche obbligano a confrontarsi con problemi
metodologici ed epistemologici considerevoli.
Floch, raccontando la ricerca fatta sulla metropolitana, analizza delle pratiche
comportamentali, cioè i fatti e i gesti dei viaggiatori, i modi in cui oltrepassano le porte
automatiche, i modi di percorrere i corridoi, di stazionare sui marciapiedi. Per migliorare i
propri servizi, la RATP (Régie autonome des transports parisiens) commissiona una
ricerca che produca un inventario sui modi in cui il personale di stazione può interagire con
i viaggiatori e che indichi i ruoli che i differenti tipi di viaggiatori si aspettano dal personale.
Il primo obiettivo è quello di costruire una tipologia comportamentale dei viaggiatori della
metropolitana e del RER (Réseau express régional). Si osservano quindi fatti, gesti,
spostamenti, comportamenti. Quindi si analizza prima il discorso del percorso, poi il
discorso sul percorso.
Valorizzazione
delle
discontinuità
Valorizzazione della non
continuità
Valorizzazione delle
continuità
vs
ESPLORATORI
“percorsi”
SONNAMBULI
“traiettorie”
“passeggiate”
BIGHELLONI
“sequenze”
PROFESSIONISTI Valorizzazione
della non-
discontinuità
Considerando il percorso come un testo e analizzando i comportamenti dei viaggiatori,
emerge secondo Floch che i comportamenti dei viaggiatori si organizzano a partire dalla
categoria fondamentale “discontinuità vs continuità”: alcuni sembrano seguire strategie
discontinue apprezzando ritmi, iterazioni, delimitazioni, segmentazioni; altri preferiscono
strategie continue senza porre attenzione ai limiti, ai confini. Proiettando la categoria su un
quadro semiotico emergono le strategie della non-discontinuità, in virtù delle quali i
viaggiatori collegano percorsi, scavalcano, cercano di anticipare gli ostacoli; e le strategie
della non continuità dove si privilegiano le sospensioni, le interruzioni del percorso. A
queste quattro strategie corrispondono quattro categorie di soggetti valorizzanti: gli
Esploratori, Professionisti, Sonnambuli e i Bighelloni.
Con questo lavoro Floch entra nel vivo delle pratiche significanti dei comportamenti. In
seguito i viaggiatori vengono intervistati, e allora diventa interessante incrociare le analisi
delle pratiche con le analisi dei testi, i discorsi del percorso e i discorsi sul percorso.
Per la semiotica un testo può essere anche un’interazione tra due persone, o tra persone
e oggetti, e il corpus da analizzare in questi casi può comprendere articolazioni
linguistiche, suoni, gesti, rumori, sguardi, posture, movimenti.
Lancioni e Marsciani riprendono da Ricoeur l’idea che la comprensione delle pratiche
quotidiane dovrebbe avvenire negli stessi termini che caratterizzano l’organizzazione
narrativa dei racconti, e quindi la strumentazione semiotica narrativa dovrebbe risultare
adeguata per lo studio delle esperienze, dei comportamenti, delle forme di vita.
Fontanille (2005, 2006), invece, ha provato a descrivere il piano dell’espressione delle
pratiche individuando una organizzazione gerarchica in livelli di pertinenza: si tratta di un
quadro descritto che converge con l’idea di un Mondo Naturale che ingloba Testi e Oggetti.
Il primo livello è costituito dal testo-enunciato: un insieme di figure semiotiche disposte in
modo omogeneo su uno stesso supporto (esempio: un testo scritto ha il supporto di un
foglio di carta; la lingua dei segni ha il supporto del corpo). Parlando di supporto, entriamo
già nel secondo livello, che è appunto quello degli oggetti, i quali “guardano” in due
direzioni: al livello inferiore, in quanto supporti testi-enunciati; al livello superiore, in quanto
attanti all’interno di pratiche significanti. Una busta da lettera è un oggetto-supporto che da
un lato si presenta in quanto superficie d’iscrizione (indirizzo del destinatario, del mittente,
francobollo e timbri); dall’altro entra in un sistema di smistamento postale che è una
pratica di circolazione sociale degli oggetti di quel genere. Se consideriamo il sistema della
circolazione postale in tutta la sua complessità (con testi, oggetti e persone che
intervengono nello smistamento) allora entriamo nel terzo livello, quello delle pratiche,
pensate come situazioni semiotiche che raccolgono tutti gli elementi necessari alla
produzione e interpretazione della significazione di un’interazione comunicativa.
Questo percorso di livelli di pertinenza del piano dell’espressione può avere secondo
Fontanille delle “sincopi”. Nel caso della sincope anteriore uno dei livelli diventa autonomo
rispetto ai livelli precedenti: per esempio possiamo avere oggetti senza testo, o pratiche
senza oggetti materiali (come la danza). Inversamente, nel caso della sincope posteriore
possiamo avere un testo che diventa una pratica: è il caso delle istruzioni, che
costituiscono delle pratiche testualizzate.
7. SOCIOSEMIOTICA DEL DISCORSO PUBBLICITARIO
7.1 – LO SGUARDO SOCIOSEMIOTICO SULLA PUBBLICITÀ
Il discorso pubblicitario, spiega Ferraro, non è solo uno dei livelli operativi della realtà
sociale, ma è anche una sua rappresentazione simbolica, uno specchio che riflette alcuni
suoi aspetti importanti, modificandoli nello stesso tempo. In quest’ottica possiamo dire che
la pubblicità è un discorso sociale tra gli altri discorsi sociali, fa parte della realtà, agisce in
essa e la modifica.
La semiotica è interessata al fatto che il discorso pubblicitario contribuisce alla costruzione
di un’immagine condivisa della realtà sociale. Del resto Ferraro ricorda come nelle loro
strategie d’enunciazione i pubblicitari debbano cogliere i gusti e le tendenze del momento,
ciò che è di moda in un target, i desideri, i valori e i linguaggi dei propri destinatari, e
agganciare a questi discorsi l’immagine del prodotto o del servizio da promuovere: ma se
si accettano queste promesse, la pubblicità diventa un documento dei gusti, delle
inclinazioni e del linguaggio di un’epoca; diventa specchio del sistema culturale in cui è
prodotta. È in questo senso che la sociosemiotica considera il discorso pubblicitario nel
quadro più ampio del sistema culturale e nei suoi intrecci con gli altri livelli della vita
sociale.
La sociosemiotica si impone in Francia grazie ad alcuni lavori di Landowski, e in Italia per
merito di studiosi quali Ferraro (1999), Marrone (2001), Pozzato (2001) e Semprini (2003).
La sociosemiotica pone un’attenzione particolare alle dinamiche sociali e collettive della
significazione e della comunicazione. Secondo Ferrero ogni individuo è considerato come
componente di un gruppo sociale, e non c’è dubbio che le ricerche nel campo della
pubblicità si pongono al livello del pensiero collettivo e non di quello individuale.
La sociosemiotica usa gli strumenti e le metodologie della semiotica generativa. Si
concentra sulle strutture che sono al di sotto dei testi e che ne rendono possibile il
funzionamento. È attenta alle narrazioni e ai discorsi, agli attanti, ai programmi narrativi,
alle modalità, alle passioni. Quello che la semiotica può reperire nei testi pubblicitari sono
forme dell’immaginario collettivo di notevole valore sociale e antropologico. In questi
termini la sociosemiotica della pubblicità si configura come l’analisi delle modalità di
consumo proposte dai testi pubblicitari. Se dunque il sociologo tenta di descrivere, come
fa per esempio Fabris (2003), il nuovo consumatore nell’epoca del postmoderno
analizzandolo in tutti i suoi aspetti; allora il semiologo tenta di analizzare il modo in cui i
testi pubblicitari traducono narrativamente i valori, i desideri, le motivazioni e le forme di
razionalità del consumatore postmoderno.
L’analisi semiotica della pubblicità, scrive Marrone, diventa una vera e propria indagine
sociale sulle motivazioni di consumo.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher SODESI di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Teoria dei linguaggi e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Messina - Unime o del prof Perconti Pietro.
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