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DURANTE IL RISORGIMENTO. FU L’IDEATORE DELLA SPEDIZIONE DEI MILLE ALLA QUALE
PARTFCEPIO’. SOSTENEVA UNA POLITICA COLONIALE CHE LO PORTO’ APPUNTO ALLA SUA FINE
CON LA DISFATTA DI ADUA. IL SUO AVVERSARIO PRINCIPALE FU GIOLITTI CHE LO SOSTITUI’ IN
QUELL’ANNO ALLA GUIDA DEL PAESE. L’ETA’ GIOLITTIANA HA INIZIO NEL 1901 FINO AL 1914 ED
IL SUO GOVERNO CARATTERIZZA LA VITA POLITICA ITALIANA PRIMA DELLA GRANDE GUERRA.
NOTEVOLE CRESCITA ECONOMICA E SOCIALE (NAZIONALIZZAZIONE DELLE FERROVIE, NUOVA
LEGGE ELETTORALE ECC..).
5 marzo 1896. Crispi, tornato al potere da pochi mesi, si dimette dal governo dopo la sconfitta di
Adua, avvenuta dopo l’offesa di Lissa e Custoza. Un rientro che lo aveva consacrato come uomo
della provvidenza, unico rimedio possibile a una crisi politica e morale senza apparenti via
d’uscita. C’era un tentativo da parte del Parlamento di riportare l’attenzione sulla pratica di
governo, ormai trascurata a causa degli accordi a fini elettorali. Grande fervore di propositi aveva
portato alla guida dell’esecutivo il vecchio garibaldino e l’ansia di superare quella forma di
governo racchiusa nella contraddizione di una Camera “onnipotente in ciò che non avrebbe
dovuto fare e impotente in ciò che avrebbe dovuto fare”. Crispi cercò subito di rivoluzionare lo
stato, eliminando gli ostacoli per un’efficace organizzata azione di governo. L’azione politica
dell’esercito e le macchine legislative erano infatti imbrogliate nelle maglie della contrattazione
amministrativa degli interessi in un contesto di sovrapproduzione delle istanze e dei conflitti
sociali.
Parlamento, amministrazione e politica = L’Italia non poteva imporre un modello alla
britannica, ma dovette affidarsi a un modello alla francese poichè era in grado di garantire una
più solida presa su una società considerata immatura per la democrazia. Troppe erano le
disomogeneità storiche, sociali e culturali del territorio nazionale. Lo stato non riusciva nel
compito demiurgico di forgiare l’unità morale e civile della nazione in un contesto mal
predisposto a riceverla. Portava un cronico deficit di legittimazione quale elemento preordinativo
del rapporto tra governanti e società. La necessità di eliminare la crescente discrasia tra uno
stato “iperpoliticizzato”, investito dalla funzione di dover “fare gli italiani”, e una società che in
quello Stato vedeva un principio estraneo, se non proprio un nemico, aveva legittimato nel
tempo una sistematica intercambiabilità di ruoli tra politica e amministrazione, imperniata sul
Parlamento. Un Parlamento “Governo di Gabinetto”, cioè una configurazione “impolitica” del
potere pubblico, che si voleva equidistante tanto dal principio della monarchia assoluta, quanto
dal principio dei diritti e della sovranità popolare. L’idea di una società amministrata da quella
“maggioranza di ragione” esisteva già al suo interno. Tale peculiare concezione della costruzione
politica postulava l’idea che il governo mai dovesse configurarsi quale espressione di quella
parte della società disposta ad “organizzarsi” in vista di un obbiettivo Politico. All’indomani del
primo allargamento del suffragio, l’idea di una politica intesa come pratica del “buon governo”, in
grado di sottrarsi alla “dittatura delle fazioni”, aveva però incominciato a concretizzarsi anche sul
terreno della “tattica” parlamentare.
Un re soldato= Il dualismo strutturale tra principio monarchia-costituzionale e principio
parlamentare trova forza dal ruolo attivo dei Savoia nella politica militare e nel bilancio pubblico.
La politica cavourriana poneva le basi per una coesistenza tra le prerogative della Corona e
quelle del governo rappresentativo. Il 5 marzo 1896 La crisi aperta dalle dimissioni di Crispi
presero il corso piu sfavorevole alla Corona, soprattutto perche il Parlamento era riuscito a
imporre alla guida del nuovo governo Di Rudinì, esponente della Destra Storica. Con questa
decisione la camera entrava di prepotenza nel campo delle attribuzioni regie rivendicando
l’approvazione parlamentare di bilancio (che nell’Europa liberale era il principale strumento di
controllo del potere civile sul potere militare), infatti fino ad allora la scelta del primo ministro era
sempre ricaduta su chi assicurava la maggioranza contro qualsiasi programma di riduzione delle
spese per la difesa nazionale. Nel 1892 L’ascesa al potere di Giolitti determinata
dall’impossibilità di ricomporre il contrasto sorto tra il sovrano e il governo del Di Rudinì sul
problema delle finanze pubbliche rivelava l’esistenza di un codice non scritto di cortesia
istituzionale basato sul rispetto del ruolo costituzionale che la monarchia rivestiva nell’assetto
liberale del governo. L’obbiettivo di Crispi era stato quello di coniugare la modernizzazione
amministrativa dello Stato con la “grande politica nazionale” nel tentativo di preparare il Paese
alla competizione globale fra le grandi potenze imperiali. Nonostante i tratti di megalomania e
persino di velleitarismo nell’azione di governo crispina bisogna riconoscere la modernità del
disegno istituzionale, che ad afferrare il timone del paese fosse l’uomo che in fatto di
temperamento e di personalità rappresentava l’antitesi esatta di Crispi, ossia Giovanni Giolitti,
poteva considerarsi una reazione prevedibile al fallito tentativo di “iperpoliticizzare” lo Stato in
funzione dell’unità morale e civile del Paese. Giolitti era consapevole del legame debole tra
guerra e democrazia a differenza delle piu mature nazioni liberali, un legame debole anche per
scelta politica per consolidare la Corona come cardine del processo unitario. Nemmeno Cavour e
Garibaldi sarebbero riusciti a legittimare una nuova ragion d’essere del nesso costituzionale-
militare. Il disallineamento tra esercito e paese, tra militari e politica, in una distinzione di ruoli e
di funzioni nel contesto della vita pubblica. La guerra di italo-etiopica sommandosi al ricordo
delle precedenti sconfitte contribuiva a deteriorare il sentimento di unità tra esercito e paese
favorendo per contro una mitologia guerrafondaia dai connotati antisistema. Il “potere
estero” in una costituzione anfibia= Il fallimento della “grande politica” crispina aveva
coinciso con l’inizio di una fase nuova del processo di sviluppo del Paese, volta a scindere i
programmi di riforma sociale e di modernizzazione politica e amministrativa del Paese dalla
politica dello Stato-potenza. A derivarne era stato un concetto di maturazione civile della nazione
come processo guidato in primis dalla politica interna e puntellata da una concezione
prudenziale della diplomazia internazionale. Il precoce siluramento del ministro della Guerra, il
generale Ricotti, che aveva proposto una riforma dell’esercito finalizzata ad aumentare
l’efficienza senza saldi negativi nel bilancio della finanza pubblica, era un segnale della
consapevolezza, da parti di Crispi, dell’esistenza di un doppio corno dell’organizzazione politica
dello stato. Riforma che contemplava anche una riduzione dei poteri del capo di Stato maggiore,
le cui facoltà erano venute accrescendosi nel frattempo, a spese in modo particolare del Ministro
della Guerra. L’evoluzione funzionale e tecnico-organizzativa della struttura militare a cavallo dei
due secoli era destinata a ripercuotere i suoi effetti sulla distribuzione del potere e dell’autorità
nello Stato e poi a esplodere, con conseguenze drammatiche per la funzionalità della macchina
bellica e del sistema operativo e strategico di comando, proprio nel cruciale periodo 1915-1916.
Il conflitto di autorità fra il capo di Stato maggiore dell’esercito e il ministro della Guerra era la
conseguenza dell’incompiutezza dell’organizzazione politico militare dello Stato unitario.
L’introduzione nel 1882 della carica di capo di Stato maggiore del regio esercito rappresentava il
principale fattore di criticità, l’attribuzione a questa figura della responsabilità “morale e tecnica”
della preparazione dell’esercito e della difesa del Paese in caso di conflitto militare istituiva un
principio di autorità di fatti concorrenziale a quello del governo nella condotta effettiva della
guerra. Su questa base nel 1915 si presentò lo scontro tra il ministro Zupelli e il capo di Stato
maggiore Cadorna sulla gestione tecnica della macchina militare. Il punto di forza nella
rivendicazione cadorniana di una piu larga autorità politico-militare nel contesto della guerra
italiana era costituito dall’accresciuta “base d’indipendenza” della figura del capo di Stato
maggiore nel comando dell’intera struttura militare. Era il punto d’arrivo di una lunga evoluzione
della struttura di comando militare che aveva sancito il graduale confinamento del ministro della
Guerra nel ruolo di titolare della conduzione politica della guerra. Se la dottrina giuridica era
dunque propensa a interpretare la prerogativa regia nell’esercizio della sovranità statuale come
un potere avente valore d’integrazione e di sintesi di un atto costituzionalmente complesso,
l’influenza reale del capo di Stato in tale ambito poteva dimostrarsi di gran lunga superiore alla
teoria, grazie alle sue ramificate influenze nell’amministrazione militare e diplomatica, al
considerevole peso dell’elite militare nei due rami del Parlamento e soprattutto nel senato regio.
Di qui la distinzione tra la sfera del gubernaculum, l’insieme delle prerogative quasi-discrezionali
in capo al potere esecutivo al fine di tutelare gli interessi e la vita dello Stato nel consorzio
interstatuale, e quella della iurisdictio parlamentare, espressione che sottolinea la vocazione del
Parlamento italiano a essere prima di tutto luogo deputato al contemperamento delle diverse e
confliggenti istanze sociali ma soprattutto strumento atto a depotenziare la politica di ogni sua
divisa carica ideologica al fine di preservare l’unità fondamentale del “partito costituzionale”.
Costituzione, democrazia e guerra nel decennio giolittiano = L’età giolittiana fu segnata
da una travagliata rielaborazione del ruolo delle forze armate nel quadro dei processi di
modernizzazione politica e sociale del paese; una convinzione di dover valorizzare la leva interna
dello sviluppo civile ed economico al fine di portare l’Italia al passo delle grandi potenze liberali
del tempo. A partire dal 1908 prende avvio una fase caratterizzata da un consistente incremento
della dotazione finanziaria per la guerra, accompagnato da una crescita degli investimenti a
lungo termine in “potere infrastruttu