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III. PASSIONI ED EMOZIONI, RAPPRESENTAZIONI E IMMAGINARIO
5. I SIMBOLI DELLA POLITICA
5.1 La diffusione e la paura del simbolo della rivoluzione
Durante il ventennio mussoliniano si verificò la repressione di segni e simboli dei partiti popolari. La propaganda si basava sulla retorica e la rappresentazione iconografica del nemico esterno da smascherare e additare al biasimo dell'opinione pubblica.
Nel corso della transizione democratica, i partiti riemergenti concorsero ad un diffuso ritorno dei simboli e dei miti del Risorgimento, secondo la duplice tendenza a riaffermare un filo unitario nella storia nazionale e a ribadire il valore morale della rinascita dopo il ventennio totalitario. Un esempio è il Partito d'Azione che, nel 1942, attraverso il simbolo della spada sovrapposta alla fiamma incandescente, esprimeva la tradizione risorgimentale, mazziniana e repubblicana ed anche antifascista, legata soprattutto al movimento di Giustizia e Libertà.
Nel solco della
Stessa tradizione si collocò anche la rinascita del Pri (Partito Repubblicano Italiano), che utilizzò il simbolo mazziniano dell'edera. In questo periodo si verificò anche il recupero del tricolore patriottico, promosso dalle forze della Resistenza, che assumeva il significato di un richiamo ad un'altra Italia, diversa dal fascismo, che non rifiutava l'identità nazionale ma l'appartenenza alla nazione rappresentata dai gruppi di potere del fascismo o della monarchia. In questo periodo di transizione democratica, il simbolo comunista della falce e martello riscontrò una popolarità diffusa, generando ansie di riscatto e concomitanti paure di una rivoluzione proletaria. Il Pci ridefinì il proprio simbolo aggiungendo la stella a cinque punte, rappresentazione dell'universalità della rivoluzione comunista e l'unità dei popoli dei cinque continenti.
Tra Resistenza e Rsi - Repubblica Sociale
Italiana si scatenò una guerra di simboli. Nel caso della Rsi il tricolore fu coniugato all'uso del fascio e dei segni della tradizione repubblicana, che delineavano il quadro di un sistema simbolico-rituale che mantenne una forte continuità con quello del regime fascista.
Nel 1944-45 i Socialisti utilizzarono la bandiera rossa con stampigliati falce, martello e libro. Questo simbolo risultava privo di una rappresentazione codificata, fin quando nel 1946 non fu aggiunta l'immagine del sole nascente, prefigurazione di un radioso avvenire.
Ciò che accadde negli anni della Resistenza e della costruzione della democrazia concorse a popolarizzare il simbolo della falce e del martello, ma anche a legittimare l'aderenza dei partiti di sinistra alla storia nazionale.
Risultò irrisolta l'ambiguità del simbolo, figlio della rivoluzione sovietica e dell'espansionismo del regime totalitario che ne seguì, ma contemporaneamente veicolo
identitario del mondo del lavoro italiano nel suo processo di integrazione nazionale, nel solco di una tradizione di conflitto sociale e di partecipazione politica che alimentava una parte significativa della memoria culturale del paese. Nel caso dei Comunisti, l'ambiguità del simbolo fu incorporata come carattere genetico del partito nel momento della sua rifondazione: lo statuto organizzativo definì il simbolo del partito attraverso la sovrapposizione al tricolore italiano di una bandiera rossa che portava inscritti non solo falce e martello, ma anche una stella a cinque punte. La rivendicata vocazione nazionale del nuovo partito, legalitario e di massa, doveva inoltre manifestarsi nelle pubbliche manifestazioni attraverso una duplice esposizione: la bandiera del partito doveva essere sempre accompagnata dalla bandiera nazionale, la quale dovrà essere esposta ogni volta che verrà esposta quella di partito. Il fatto che si volesse insistere sul fattorenazionale mostrava un linguaggio simbolico inteso ad accreditare una forte inclinazione patriottica.
5.2 Simboli di partito e della Repubblica 13
La politica di massa necessitava di segni di identificazione e di autorappresentazione, facili da diffondere ed a condividere.
I protagonisti della vita politica guardavano al passato, ma con la consapevolezza di dover riposizionare i simboli nello scenario democratico. Inoltre, con l'entrata delle donne nella vita politica, si pensava anche ad una declinazione femminile di simboli e rituali, che avvenne attraverso le rappresentazioni di emozioni passioni, attraverso specifici codici di genere, simbolici e soprattutto cromatici.
Nelle prime elezioni (1946) riemersero simboli e immagini del periodo prefascista. Diffusa era l'evocazione del tricolore, secondo gradi diversi di patriottismo. Era comune anche l'utilizzo della stella a cinque punte tra i comunisti, i liberali e monarchici.
Il simbolo scelto dalla Democrazia Cristiana fu lo
scudo crociato con al centro la scritta "Libertas". La croce evidenziava l'ispirazione fortemente cattolica del partito. I monarchici conservarono i simboli tradizionali della stella bianca dentro un cerchio, alla quale dopo la sconfitta del 2 giugno venne aggiunta la corona sabauda. L'ala liberal-democratica interna al Partito d'Azione, creando la Concentrazione democratico repubblicana si era data come simbolo uno scudo nero contenente una stella bianca a cinque punte con un elmetto degli ex combattenti. I Liberali scelsero come simbolo una bandiera tricolore stilizzata (senza lo stemma sabaudo). Il Movimento sociale si identificò nella fiamma tricolore collocata su una base trapezoidale, che alludeva ai caduti della guerra civile e forse allo stesso Mussolini, testimoniando la volontà di tenere in vita il ricordo delle esperienze del fascismo mussoliniano e della Repubblica sociale. Il Partito socialdemocratico si affidò al simbolo del mare con.Il sole nascente. I vari simboli divennero oggetto di una reciproca e radicale contestazione, attraverso diversi linguaggi della propaganda. Il conflitto simbolico tra i partiti finiva con il sovrapporsi all'identificazione comune nei simboli della Repubblica. Dopo il 2 giugno 1946, l'Italia repubblicana riconsacrò il tricolore come principale simbolo nazionale dello Stato. Inoltre, la stella entrò nel sigillo ufficiale dello stato insieme alla ruota dentata. Nell'Italia democratica del secondo dopoguerra, i neofascisti animarono le piazze nella rivendicazione dell'italianità di Trieste. Esibirono simboli e colori, specialmente il nero, in occasione di rituali nostalgici e pellegrinaggi sulla tomba di Mussolini. Nel caso del Pci, mentre la logica della guerra fredda induceva a fare scelte di campo, insieme all'internazionalismo proletario ancora più abituali si fecero i richiami alla tradizione nazionale e l'uso del gergo.
In Assemblea Costituente il partito e il suo segretario Togliatti chiesero che in Costituzione fosse inserito un richiamo esplicito al tricolore italiano come bandiera della Repubblica. La Costituzione si univa alla Resistenza nel connotare il patriottismo repubblicano del Pci, sempre declinato nell'orizzonte dell'internazionalismo comune ai partiti comunisti occidentali, ma in modo tale da coniugare l'antifascismo resistenziale con una diffusa mitologia costituzionale. L'anticomunismo ebbe diverse declinazioni. Caso esemplare è quello dei Comitati Civici, che puntarono su una martellante "propaganda contro": contro il comunismo e contro l'astensionismo. Nella difesa della civiltà italiana il "voto cristiano" doveva proteggere la famiglia, soprattutto contro il divorzio ed il libero amore, che invece la vittoria dei Comunisti avrebbe comportato. Nella reciproca demonizzazione, fonti a stampa e fonti audiovisive
e dall'altra alimentava la polarizzazione e la conflittualità tra i diversi schieramenti politici. Il testo formattato con i tag html sarà il seguente:Evidenziarono un mondo ricco di simboli e colori: un manifesto della Dc raffigurava una madre con due bambini piccoli, protetti dall'incombere dal cielo di bandiere rosse contrassegnate, insieme a falce, martello e stella, dal viso di Garibaldi incastonato nella stella. Altro manifesto democristiano rappresentava una donna, allegoria dell'Italia, incatenata ad un palo da una falce e martello ed arsa viva dalla fiamma neofascista.
Un manifesto del Blocco Nazionale rappresentava l'Italia avvolta in un tricolore, riversata a terra con un pugnale conficcato nel petto con l'elsa a forma di falce e martello.
In un manifesto del Pci il simbolo della Dc, lo scudo crociato, era sovrapposto ad un teschio con la scritta "Democrazia Cristiana significa guerra".
Sui diversi fronti, la politicizzazione del sentimento patriottico portò ad un duplice effetto: da una parte, enfatizzava la debolezza della sfera simbolico-rituale della sovranità repubblicana
Nella percezione dei cittadini, dall'altra emergeva la forza di integrazione politica propria del discorso nazionale e dei suoi simboli.
Nel nome di Garibaldi e del Risorgimento
Per le elezioni amministrative di Roma del 1946, le sinistre si presentarono unite nel Blocco popolare avvalendosi dell'immagine di Garibaldi. E nell'autunno dello stesso anno accadde anche in altri centri meridionali.
Nelle elezioni politiche del 1948, l'icona di Garibaldi venne utilizzata dal Fronte Popolare. Il manifesto del Fronte popolare rappresentava il viso di Garibaldi, con in evidenza il simbolo elettorale (stella a cinque punte con al centro il volto di Garibaldi) e il copricapo di un acceso colore rosso. Garibaldi additava e guardava l'elettore, con una esortazione diretta: "Se voti per me, voti per te". Si può intendere il doppio richiamo: al Risorgimento democratico ed all'esperienza partigiana.
Anche il mondo cattolico utilizza il mito di Garibaldi
per la sua propaganda politica. Dc e Comitati civici organizzarono una contropropaganda, volta a denunciare l'utilizzo strumentale dell'immagine di Garibaldi. Si riutilizzarono delle immagini modificate della grafica fascista, come nel caso del manifesto con l'immagine spettrale di Togliatti che fugge con una cartella sotto il braccio, cacciato da Garibaldi e da suo esercito. Questa immagine è ripresa dall'iconografia fascista, in particolare da una vignetta che ritraeva un ebreo che, tenendo stretta la borsa presumibilmente piena di soldi, indietreggiava allarmato dal gesto accusatore di una mano gigantesca. I Repubblicani fecero a loro volta uso dell'immagine di Garibaldi. In un manifesto del Pri si reagiva allo scippo di Garibaldi, chiamando a testimoniare della sua fede repubblicana la figlia Clelia, che era candidata nelle liste di partito. Per le elezioni amministrative in Sicilia del 1951-52 i partiti di sinistra utilizzarono Garibaldi comesimbolo,tornato nell'isola non più per la liberazione dai Borboni, ma per l'autonomia e la rinascita.5.4 Simboli comunitari e partitici nell'Italia dei comuniIl senso di appartenenza