Tuttavia, la sua funzione è pur sempre temporanea ed ha i caratteri di un gioco effimero. Essa non è una via
per uscire dalla vita ma solo un conforto della vita stessa.
A differenza della contemplazione estetica, la morale implica un impegno del mondo. Contro Kant,
Schopenhauer sostiene che l’etica non sorga da un imperativo categorico dettato dalla ragione, ma da un
sentimento di pietà attraverso cui avvertiamo come nostre le sofferenze degli altri.
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70. La morale e la giustizia in Schopenahuer
La morale si concretizza in due virtù cardinali: la giustizia e la carità. La prima ha un carattere negativo,
perché consiste nel non fare del male. La carità si identifica invece con la volontà positiva e attiva di fare del
bene al prossimo. Nonostante tutto, la morale rimane pur sempre all’interno della vita e presuppone un
attaccamento ad essa. La vera liberazione è l’ascesi.
L’ascesi è l’esperienza per la quale l’individuo, cessando di volere la vita ed il volere stesso, si propone di
estirpare il proprio desiderio di esistere, godere e volere. Mentre nei mistici del Cristianesimo si conclude
con l’estasi, lo stato d’unione con Dio, nel misticismo ateo di Schopenahuer il cammino nella salvezza mette
capo al nirvana buddista, che è l’esperienza del nulla.
Tale nulla non è il niente, bensì un nulla relativo al mondo, cioè una negazione del mondo stesso. In altre
parole, se il mondo, con le sue illusioni, è un nulla, il nirvana, per l’asceta schopenhaueriano è un tutto, cioè
un oceano di pace o uno spazio luminoso di serenità.
L’esito orientalistica del pessimismo di Schopenhauer ha ricevuto numerose critiche. Se la volontà si
identifica con la struttura metafisica del reale, cioè con l’assoluto, ci si domanda come si possa ipotizzare un
suo annullamento da parte dell’asceta.
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71. L'indagine filosofica di Kierkeegard
Soren Kierkeegard nacque a Copenaghen nel 1813. Kierkeegard ha cercato di ricondurre la comprensione
dell’esistenza alla categoria della possibilità, mettendone in luce il carattere negati-vo. Ogni possibilità è,
infatti, oltre che possibilità-che-sì, sempre anche possibilità-che-non. Il suo pensiero si sforza inoltre di
chiarire tutte le possibilità fondamentali dell’uomo, e il tema della fede.
Secondo Kierkeegard, esistere significa scegliere. Infatti, la scelta non è una semplice manifestazione della
personalità, ma costituisce o forma la personalità stessa, che sceglie vivendo o vive scegliendo. L’individuo
non è quel che è, ma ciò che sceglie di essere. Kierkeegard ritiene inoltre che nella Ragione l’uomo singolo
è assorbito e dissolto. Di fronte ad essa, egli presenta l’istanza del singolo, dell’esistente. “La verita è tale
solo quando è una verità per me”.
In Aut-Aut, Kierkeegard presenta l’alternativa tra due stadi: la vita estetica e la vita morale. Tra uno stadio e
l’altro vi è abisso e salto. La stadio estetico è la forma di vita di chi esiste nell’attimo, e l’esteta è colui che
vive poeticamente. La vita estetica esclude la ripetizione ed è rappresentata da Giovanni, il protagonista del
Diario del seduttore. Chiunque viva esteticamente è disperato; la disperazione per il vuoto della propria
esistenza è l’ultimo sbocco della concezione estetica.
La vita etica nasce dalla scelta della disperazione. Essa è il dominio della riaffermazione di sé, del dovere e
della fedeltà. Nella vita etica l’uomo singolo si sottopone a una forma, si adegua all’universale e rinuncia a
essere l’eccezione. Come la vita estetica è incarnata dal seduttore, la vita etica è incarnata dal marito. Il
matrimonio è l’espressione tipica dell’eticità.
Tuttavia, anche questa scelta è destinata al fallimento: l’uomo etico riconosce la propria finitudine
peccaminosa e si pente. Inoltre, in essa, l’individuo non riesce a trovare la propria singolarità genuina. Da
ciò il bisogno di un’esperienza più profonda. Tale è la vita religiosa.
Tra la vita etica e quella religiosa vi è un abisso ancor più profondo. Kierkeegard chiarisce ciò in Timore e
Tremore, raffigurando la vita religiosa nella persona di Abramo. Il suo sacrificio del figlio non gli è
suggerito da una qualsiasi esigenza morale, ma da un puro comando divino. L’afferma-zione del principio
religioso sospende l’azione del principio morale: la loro opposizione è radicale.
La fede, inoltre, è un rapporto privato tra l’uomo e Dio. E’ il dominio della solitudine. Da qui deriva il suo
carattere incerto: la fede è paradosso e scandalo. Cristo è il segno di questo paradosso: è colui che soffre e
muore come uomo, mentre parla e agisce come Dio.
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72. Disperazione e fede in Kierkeegard
Kierkeegard affronta l’esistenza come possibilità ne Il concetto dell’angoscia e La malattia mortale.
L’angoscia è la condizione generata nell’uomo dal principio dell’infinità del possibile, principio che egli
esprime così: “Nel possibile tutto è possibile”. Ogni possibilità favorevole all’uomo è così annientata
dall’infinito numero delle possibilità sfavorevoli. E’ l’infinità delle possibilità che rende insuperabile
l’angoscia e ne fa la condizione fondamentale dell’uomo nel mondo.
Secondo Kierkeegard, la disperazione è legata alla natura dell’io. Difatti l’io può volere, come può non
volere, essere se stesso. Se vuole essere se stesso, poiché è finito, quindi insufficiente a se stesso, non
giungerà mai all’equilibrio. Se non vuole essere se stesso, urta anche qua contro un’impossibilità
fondamentale. La disperazione è la caratteristica delle due alternative. Essa è la malattia mortale; non perché
conduca alla morte dell’io ma perché è il vivere la morte dell’io.
Proprio perché tutto è possibile, il credente possiede il contravveleno sicuro contro la disperazione. La fede
è l’eliminazione della disperazione, la condizione in cui l’uomo non si illude della sua auto-sufficienza ma
riconosce la sua dipendenza da Dio. Essa sostituisce ad essa la speranza in Dio.
Secondo Kierkeegard la storia non è una teofania, cioè una rivelazione dell’Assoluto. Infatti, il rapporto tra
l’uomo e Dio non si verifica nella storia ma nell’attimo, inteso come subitanea inserzione della verità divina
nell’uomo. Dio rimane al di là di ogni punto d’arrivo della ricerca. L’unica sua definizione è quella di
differenza assoluta, ma è una definizione apparente: una differenza assoluta non può pensarsi, e allora essa
non significa altro che l’uomo non è Dio.
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73. L'indagine filosofica di Karl Marx
Marx nacque a Treviri nel 1818 e ricevette dal padre un’educazione di stampo razionalistico e liberale. Nel
1844, La questione ebraica e Per la critica della filosofia del diritto di Hegel segnano il suo passaggio al
comunismo. A Parigi stringerà un’amicizia profonda con Engels.
Il primo contrassegno del pensiero di Marx è la sua irriducibilità alla dimensione filosofica ed il suo porsi
come analisi globale della storia della società. Determinante è il suo legame con la prassi, ovvero la
tendenza a fornire un’interpretazione dell’uomo che sia anche impegno di trasformazione rivoluzionaria. Il
punto chiave del marxismo è infatti l’ideale di tradurre in atto quell’incontro tra realtà e razionalità che
Hegel aveva solo pensato e che Marx si propone di attuare con la prassi.
Nel percorso di Marx, importante è l’apporto di Hegel. Anche quando Marx se ne allenterà definitivamente,
qualcosa del verbo dell’antico maestro resterà sempre. Il primo testo in cui Marx si misura con il maestro è
la Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico. In essa, Marx afferma che lo stratagemma di Hegel
consiste nel fare delle realtà empiriche delle manifestazioni necessarie dello spirito. Marx definisce questo
procedimento misticismo logico, poiché in virtù di esso le istituzioni, anziché comparire per ciò che di fatto
sono, finiscono per essere allegorie.
Oltre che essere fallace sul piano filosofico, il metodo di Hegel è anche conservatore sul piano politico,
poiché porta a santificare la realtà esistente. La demistificazione dell’hegelismo non toglie che Marx
riconosca ad esso dei meriti, com’è nel caso della dialettica.
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74. La frattura tra società civile e Stato in Marx
Il punto di partenza del discorso di Marx è la frattura tra società civile e Stato. Mentre nella polis greca
l’individuo si trovava in un’unità sostanziale con la comunità di cui faceva parte, nel mondo moderno
l’uomo vive una vita in terra, come borghese, e una cielo, come cittadino.
Tuttavia, il cielo dello Stato è illusorio perché la sua pretesa di porsi come organo che persegue l’interesse
comune è falsa. Infatti, anziché essere lo Stato che imbriglia la società civile, innalzan-dola al bene comune,
è la società civile che imbriglia lo Stato, abbassandolo a strumento degli interessi particolari delle classi più
forti. I suoi tratti essenziali sono l’individualismo e l’atomismo.
La società ideale di Marx è una democrazia sostanziale o totale, in cui vi è una compenetrazione perfetta tra
individuo e comunità. Mentre Hegel pensava che tale società si potesse ottenere con degli strumenti politici,
Marx, denunciando ciò come mistificazione, ritiene che l’unico modo per realizzarla sia l’eliminazione delle
disuguaglianze tra gli uomini, e quindi della proprietà privata.
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75. L'alienazione in Marx
Secondo Marx
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