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Alexandre Kojéve: l'Homo Sapiens sarebbe giunto ad un punto morto

incarnato da due approcci moderni, da una parte l'American way of life della cultura statunitense e dall'altra la fittizia fusione fra ultra-modernismo e tradizionalismo della cultura nipponica. Queste due grandi barriere culturali avrebbero dunque portato ogni processo artistico ad una sorta di autodistruzione: Agamben vuole riprendere il termine aristotelico energheia, l'atto artistico inteso come lavoro e ricongiungerlo indissolubilmente col termine ergon, che coincide con l'opera creata. Questo è l'unico modo per rivendicare la macchina artistica, ovvero l'indissolubile proprietà artistica per cui l'artista è un soggetto che ha il fine nella sua opera. Il lavoro di Agamben sull'opera artistica e sull'essere umano continua ampiamente nel volume Creazione e anarchia. L'opera nell'età della religione capitalistica.

tramite: la trattazione del concetto di creazione, inteso come atto che resiste sempre a qualcosa d'altro (la potenza è una sospensione dell'atto, dunque si mantiene in un rapporto di conflitto con la sua non-attuazione); lo studio del tema della povertà come relazione con i tre temi inappropriabili (termine che definisce qualcosa di utilizzabile senza averne il possesso) ovvero corpo, lingua e paesaggio; la ricerca di un'archeologia del comando in quanto origine del potere; infine una definizione dal capitalismo in quanto religione culturale. Dopo aver compreso nomi, opere e coordinate della Teoria Italiana e del metodo di approccio filosofico che ha caratterizzato questo tipo di dialogo intellettuale, si può dunque riassumere che: è merito del pensiero italiano l'avere superato la dottrina moderna della soggettività come centro di potere, e l'avere conferito il primato alla categoria della vita. Questo significa che la filosofia italiana,

Nel profondo, tende al pensiero dell'impersonale, congiunto alla critica del concetto di persona. La vita non va dunque postposta alla persona, ma neanche anteposta, come in certe viete forme di positivismo: la vita si incarna nei viventi. Tutti i secoli di filosofia italiana si sono probabilmente riuniti nel termine citato all'inizio di questa sintesi, ovvero Pensiero Debole. L'impossibilità degli assoluti, dopo Nietzsche, ha infatti generato in Italia questa particolare concezione grazie al lavoro, in particolare, di Gianni Vattimo, per il quale l'essere è l'orizzonte storico-linguistico-culturale entro cui si svolge la realtà umana. Seguendo le idee di Jean-François Lyotard, Vattimo parla di post-modernità come luogo della perdita delle certezze dell'uomo, dovuta alla psicoanalisi, alle filosofie antidialettiche e al fallimento dei tre grandi metaracconti che tentarono erroneamente di dare un senso alla storia:

L'illuminismo con il suo falso mito dello sviluppo, l'hegelismo e l'ottimismo metafisico e il marxismo che aveva scopo un inarrivabile egualitarismo assoluto. Il Pensiero Debole si pone dunque in contrasto con le diverse forme di pensiero forte dell'Otto-Novecento: ognuno dei movimenti detti forti si sono posti come superamento delle posizioni filosofiche precedenti e smascheramento dei loro errori. Ma ogni volta l'errore, secondo Vattimo, risiederebbe e proprio in questo folle gesto teoretico che pone la realtà su basi di una conoscenza genealogica o arborescente: non esiste tabula rasa, non esistono nuovi inizio rifondazioni da zero. L'obiettivo del pensiero debole è proprio quello di costituire un atteggiamento di coraggio nei confronti dell'accettazione del diverso, dell'errore, dell'effimero, ovvero tutto ciò che è umano. Il Pensiero Debole, dice Vattimo, è la chiave per la democratizzazione della società.

La diminuzione della violenza e la diffusione del pluralismo e della tolleranza. Il primo punto focale del Pensiero Debole è il tentativo di costituire un determinato tipo di sapere caratterizzato dal profondo ripensamento di tutte le nozioni che erano servite da fondamento allaciviltà occidentale in ogni campo della cultura: i valori tradizionali sarebbero dunque divenuti tali solo in merito a cause storiche che oggi non sussistono più e per questo bisogna mettere la loro pretesa di verità. Il pensiero in questa prospettiva debole risulta incapace di conoscere l’essere e quindi non può individuare valori oggettivi e universali: compito del filosofo non è più la ricerca di una verità non possibile ma di disinnescare le profonde contraddizioni portate dalla secolarizzazione. Fondamentale risulta essere la dissoluzione postmoderna della categoria del nuovo che porta all’annullamento di un concetto storico come rinnovamento.

continuo o percorso dotato di senso. Il modello del pensiero debole si riscontra soprattutto nell'arte, che offre un modello di verità mobile e suscettibile ad infinite interpretazioni. Il pensiero è dunque giunto alla fine del suo percorso metafisico e si è trasformato in una continua esperienza estetica. Dunque, giunti alla chiara eliminazione dei fondamenti certi e della ricerca di una verità oggettiva e totalizzante, siamo anche approdati alla fine dell'età moderna che da Cartesio a Nietzsche ha costruito sull'uomo il progresso illimitato (Pasolinianamente, sviluppo) come idea-forza irrinunciabile. L'uomo contemporaneo deve perciò abbandonare la smania di protagonismo che lo porta ad identificare come unico fautore e attore di una civiltà sempre più nuova e più avanzata, beandosi di un fantomatico scarto gerarchico con il passato. La filosofia odierna deve muoversi sul piano ermeneutico e del linguaggio:

esistere adesso significa vivere in relazione ad un mondo e questo rapporto è reso possibile dal fatto che si dispone di un linguaggio che vivifica le cose e le rende tali solo entro orizzonti linguistici non eterni ma storicamente qualificati. Scompaiono così tutte le pretese metafisiche, le teorie assolute su Dio, sull'uomo, sul senso della storia o su un fantomatico destino dell'umanità. Nel blocco di appunti della settimana del 16 Marzo 2020 viene riportata una interessante intervista a Carlo Sini il quale, rispondendo riguardo all'individualismo contemporaneo, apre le porte ad un discorso successivo di Pier Aldo Rovatti che riflette sul ruolo del filosofo oggi giorno. Dice Sini: "l'individualismo moderno è uno dei frutti della grande rivoluzione economica in cammino dal Rinascimento, con conseguenze sia buone sia cattive. L'individualismo contemporaneo è in larga misura frutto della mercificazione universale del mercato".

fatta valere come unica e assoluta. A ciò si accompagna un diffuso infantilismo edonistico e narcisistico: tutti si atteggiano come merce appetibile sul mercato della concorrenza e dell'offerta. Sarebbe d'accordo Byung-Chul Han che afferma: "Il neoliberalismo come mutazione del capitalismo, fa del lavoratore un imprenditore. [...] Oggi, ciascuno è un lavoratore che sfrutta sé stesso per la propria impresa. Ognuno è padrone e servo in un'unica persona. Anche la lotta di classe si trasforma in una lotta interiore con sé stessi".

Ebbene, entro i confini italiani Rovatti prova a dare una sua possibile via di fuga dal dannoso individualismo estremo con lo scritto del 2006 La filosofia può curare?. Afferma il filosofo italiano che delle due accezioni del termine curare, ovvero "occuparsi di qualcosa o di qualcuno con assiduità e competenza" e "sottoporre un malato alle cure mediche necessarie per guarirlo",

Il primo è proprio della filosofia, il secondo della psicoterapia. Partendo dunque dalla prima definizione, si cerca di comprendere quanto un filosofo possa occuparsi di qualcuno allo scopo di migliorare il suo essere nel mondo. Inizia il discorso con una critica del metodo socratico, tramite il quale Socrate non inizierebbe nel soggetto un processo di ricerca della verità, in quanto già lui considera di possedere la verità assoluta, bensì porterebbe l'interlocutore semplicemente ad identificarsi con la sua verità tramite l'artificio retorico del "so di non sapere": viene quindi chiamato in causa Foucault che dice "la filosofia è una particolare cura, è un prendersi cura di sé stessi che implica il prendersi cura degli altri. È una pratica di pensiero ma, appunto, è essenzialmente una pratica, un esercizio da applicare costantemente alla propria esistenza. Come tale è un governo."

Un modo di governare sé stessi. È una politica della soggettività". Occorre capire il ruolo che il potenziale filosofo assume nella società attuale, che chiede sempre più una gestione professionale dei conflitti. Può il filosofo diventare una sorta di moderatore dei conflitti?

Il blocco di appunti della settimana del 23 Marzo 2020, dedicato alla riflessione sul Cristianesimo e sul problema del male, contiene uno dei filosofi la cui conoscenza risulta essere ancora oggi una dei motivi di soddisfazione più grandi dati dall'aver seguito più volte il corso di Storia della Filosofia Italiana: Sergio Quinzio. Quinzio pone in essere una sofferta riflessione sul problema del male in rapporto alla presenza e all'azione di dio negli affari umani. Il pensiero Quinziano passa attraverso l'assunzione dell'idea di Han Jonas, il quale pose un veto alla contemporanea accettabilità dei tre attributi tradizionali di Dio.

Secondo Jonan dopo Auschwitz siamo obbligati a pensare un Dio depotenziato, inesorabilmente ridotto a due dei tre attributi che la tradizione gli conferisce: o buono e onnipotente, ma non comprensibile, o buono e comprensibile, ma non onnipotente, o comprensibile e onnipotente, ma non buono. Quinzi risolve la questione in favore della tesi dellanon onnipotenza di Dio: infatti ne risulta un Dio volenteroso ma sconfitto, desideroso di adempiere alle proprie promesse ma impossibilitato dal compierle a causa di una connaturata debolezza. Dinnanzi ad un mondo terribile e terrificante dove la realtà permette brutalità indicibili (si ricorda il bambino "murato vivo" di cui parla Emmanuel Carrère nel volume Il Regno), un mondo costellato di cimiteri, ospedali, manicomi, guerre, cadaveri, fabbriche, l'unica possibile speranza escatologica rimasta è quella della distruzione. La realtà oramai si trascina agonizzante, ammantata di una indicibile stanchezza.

che lasciare un segno indelebile nella storia dell'umanità. La società moderna sembra aver perso di vista i veri valori, concentrando le proprie energie sul materialismo e sull'egoismo. L'uomo si è allontanato dalla spiritualità e si è lasciato sedurre dalle tentazioni del consumismo e del piacere immediato. È necessario ritrovare il sentiero della felicità e del bene, riscoprendo l'importanza della spiritualità e dei valori morali. Solo così potremo superare la superficialità e il vuoto che caratterizzano la nostra società. Dobbiamo imparare a guardare oltre il mero benessere materiale e a concentrarci sulle cose che davvero contano: l'amore, la solidarietà, la compassione. La parola di Cristo, sebbene sia stata distorta nel corso dei secoli, contiene ancora un messaggio di speranza e di redenzione. È un invito a vivere una vita di amore e di giustizia, a mettere al centro degli interessi l'altro e non solo se stessi. È un richiamo a superare l'individualismo e a costruire una società più equa e solidale. È tempo di abbandonare il frivolo benessere e di cercare la vera felicità, quella che si trova nell'aiutare gli altri, nell'essere grati per ciò che abbiamo e nell'essere consapevoli del nostro impatto sul mondo. Solo così potremo ritrovare il sentiero della felicità e del bene, e vivere una vita piena di significato e di gioia.
Dettagli
A.A. 2019-2020
9 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/06 Storia della filosofia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher AndreaOldHunter di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della filosofia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Genova o del prof De Lucia Paolo.