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Estratto del documento

Quel mostro, il costume, che ogni sentimento mangia,

diavolo delle abitudini, pure in questo è un angelo,

che alla pratica delle azioni belle e buone

esso egualmente dà una veste o livrea,

che agevolmente s’indossa.

La virtù per il filosofo è uno stato di eccellenza. All’anima sensitiva assegna le virtù

etiche che sono abitudini di comportamento acquisite allenando la ragione a

dominare sugli impulsi, mediante la ricerca del giusto mezzo. La principale virtù

etica è la giustizia (distributiva o commutativa), alla quale Aristotele dedica l’etica

per l’appunto. L’uomo che rispetta le leggi è un uomo virtuoso. Le virtù dianoetiche,

invece, riguardano l’intelletto e non la vita pratica. La virtù dell’intelletto, dunque la

parte scientifica dell’anima, ha per oggetto le cose immutabili, stabili, certe, quindi

non soggette al cambiamento.

Veniamo ora alla famosa dottrina del giusto mezzo. La virtù è sempre una via di

mezzo tra due estremi, ciascuno dei quali è un vizio. Ciò si dimostra attraverso un

esame delle varie virtù. Il coraggio sta tra la codardia e la temerarietà; la liberalità,

tra la prodigalità e l’avarizia; l’amor proprio, tra la vanità e l’umiltà; la prontezza di

spirito, tra la buffoneria e la grossolanità; la modestia, tra la ritrosìa e la

sfacciataggine. Alcune virtù non sembrano però rientrare in questo schema: per

esempio, la sincerità. Aristotele dice che questa è una via di mezzo tra la millanteria

e la falsa modestia, ma questo può applicarsi solo alla sincerità intorno a se stessi.

Aristotele, nelle questioni morali, si mantiene sempre sulla linea di quelle che ai

suoi tempi erano le opinioni convenzionali. Noi pensiamo che gli esseri umani,

almeno in linea etica, abbiano tutti uguali diritti, e che la giustizia implichi

l’uguaglianza. Aristotele pensa che la giustizia implichi non l’uguaglianza, ma una

giusta proporzione, che solo qualche volta è uguaglianza.

La giustizia d’un padrone e d’un padre è cosa differente da quella d’un concittadino,

perché un figlio o uno schiavo sono di proprietà, e non può esserci ingiustizia verso

ciò che si possiede. Per quanto riguarda gli schiavi, però, va fatta una piccola

correzione a questa dottrina: è possibile per un uomo essere amico del proprio

schiavo? «Non c’è nulla di comune tra le due parti; lo schiavo è un utensile

vivente... In quanto schiavo, quindi, non gli si può essere amici. Ma in quanto uomo

sì; perché può sempre esistere un rapporto tra un uomo e un altro, rapporto che

può derivare dalle leggi o da un accordo: si può avere quindi anche dell’amicizia

verso di lui, in quanto uomo». Un padre può ripudiare suo figlio se è cattivo, ma un

figlio non può ripudiare suo padre, perché gli deve più di quanto non sia in grado di

pagargli e in particolare gli deve l’esistenza. 2

Nei rapporti diseguali, dato che ciascuno deve essere amato in proporzione al suo

valore, è giusto che l’inferiore debba amare il superiore più di quanto il superiore

non ami l’inferiore: mogli, figli, soggetti, devono amare di più mariti, genitori e

monarchi, di quanto questi non amino i primi. In un buon matrimonio, «l’uomo

governa secondo il suo valore, in quei campi in cui l’uomo deve governare, ma i

campi che si convengono alla donna, egli li affida a lei». Non deve cioè governare

nel campo riservato a lei; ancor meno lei in quello di lui, come talvolta accade

quando lei è un’ereditiera.

La persona perfetta, nella concezione di Aristotele, deve avere dell’amor proprio e

non sottovalutare i propri meriti. Deve disprezzare chiunque meriti d’esser

disprezzato. «Il magnanimo, dato che merita più di chiunque altro, deve essere

buono in sommo grado; perché l’uomo migliore merita sempre di più, e l’ottimo

merita il massimo». Quindi, l’uomo veramente magnanimo deve essere buono. E la

grandezza in ogni virtù dovrà apparire una caratteristica del magnanimo. Sembra,

dunque, che la magnanimità sia una specie di coronamento delle virtù; perché le fa

più grandi, e non si trova senza di esse. Quindi è difficile essere veramente

magnanimo, perché è impossibile esserlo senza nobiltà e bontà di carattere. Sono

principalmente l’onore ed il disonore che riguardano il magnanimo. Il magnanimo

non si mette nei comuni pericoli, ma affronterà i grandi pericoli, e quando è in

pericolo non terrà conto della sua vita, sapendo che ci sono delle situazioni in cui la

vita non ha valore. Ed è l’uomo a cui van conferiti benefici, ma si vergogna di

riceverli; poiché a volte questo è il segno di riconoscimento del superiore, a volte

dell’inferiore. Ed egli è in grado di conferire benefici più grandi in cambio; perché

così l’originario benefattore oltre ad essere ricompensato contrarrà con lui un

debito... è caratteristico del magnanimo di non cercar nulla o ben poco, ma al

tempo stesso di offrire prontamente aiuto, ed esser dignitoso verso chi gode di

un’alta posizione, ma senza pretese verso le classi medie; perché è cosa difficile e

nobile esser superiore ai primi, ma è facile esserlo sui secondi, ed un

comportamento arrogante verso i primi non è segno di cattiva educazione, mentre

tra la gente umile è volgare, come una dimostrazione di forza contro i deboli... Egli

deve mostrare apertamente l’odio e l’amore, perché nascondere i propri sentimenti,

cioè tener meno conto della verità che di quel che pensa la gente, è codardia... è

libero di parola perché è altero e deciso a dir la verità, fuorché quando parla

ironicamente con uno sciocco... Possederà cose belle ed inutili anziché utili e

profittevoli... Inoltre, adatti al magnanimo sono un lento incedere, una voce bassa,

un linguaggio piano... Tale, dunque, è il magnanimo; l’uomo da meno di lui è troppo

umile, e quegli che va oltre è un vanesio».

Aristotele considera l’etica una branca della politica e la monarchia la miglior forma

di governo, e subito dopo l’aristocrazia. I monarchi e gli aristocratici possono

essere «magnanimi», ma i cittadini ordinari farebbero ridere se tentassero di vivere

secondo un simile modello. Con ciò si giunge a un problema per metà etico e per

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metà politico. Possiamo considerare moralmente soddisfacente una comunità che,

per la sua intima costituzione, confina a pochi individui tutto ciò che c’è di meglio, e

richiede alla maggioranza di accontentarsi di qualità di second’ordine?

Platone e Aristotele dicono di sì, e Nietzsche è d’accordo con loro. Gli stoici, i

cristiani e i democratici dicono di no. Gli stoici e i primi cristiani stimano la virtù il

bene più grande, e affermano che le circostanze esterne non possono impedire a

un uomo di esser virtuoso; non c’è quindi alcun bisogno di cercare un giusto

sistema sociale, dato che l’ingiustizia sociale pesa soltanto su cose di nessuna

importanza. I democratici, al contrario, sostengono di solito che, almeno per quel

che riguarda la politica, i beni più importanti sono il potere e la proprietà; non è

quindi ammissibile un sistema sociale ingiusto sotto questo aspetto. Il punto di vista

stoico-cristiano dà origine a un concetto della virtù assai diverso da quello di

Aristotele, dal momento che sostiene essere la virtù altrettanto possibile per lo

schiavo che per il suo padrone. L’etica cristiana disapprova l’orgoglio, che Aristotele

considera una virtù, e loda l’umiltà, che egli considera un vizio. Le virtù intellettuali,

che Platone ed Aristotele valorizzano su tutte le altre, vanno addirittura cancellate

dalla lista, perché il povero e l’umile sono in grado di divenir virtuosi come chiunque

altro.

Il punto di vista aristotelico, che la superiore virtù appartiene a pochi, deriva

logicamente dalla subordinazione dell’etica alla politica. Se l’obiettivo è la buona

comunità piuttosto che il buon individuo, è possibile che nella buona comunità

esista appunto tale subordinazione. In un’orchestra, il primo violino è più importante

dell’oboe, benché entrambi siano necessari per la perfezione dell’insieme. È

impossibile metter su un’orchestra basandosi sul principio di assegnare a ciascuno

il ruolo che sarebbe migliore per lui come solista. In una democrazia non ci si

attende dal Presidente che egli sia del tutto simile all’uomo magnanimo di

Aristotele, ma tuttavia ci si attende che sia alquanto diverso dalla media dei

cittadini, e che abbia certi meriti legati alla sua posizione. Questi meriti particolari

non dovrebbero forse esser definiti «etici», ma solo perché usiamo questo

aggettivo in senso più stretto di quello in cui l’usava Aristotele. E’ un merito per un

uomo essere un grande poeta, o un grande compositore o un grande pittore, ma

non è un merito morale; non lo consideriamo più virtuoso per il fatto che possiede

tali attitudini, né pensiamo che sia più probabile che vada in paradiso. Il merito

morale riguarda unicamente gli atti della volontà, cioè consiste nello scegliere

giustamente tra le diverse azioni possibili. La virtù consiste soprattutto nell’evitare il

peccato, piuttosto che in qualche atto positivo. Non c’è ragione di attendersi che un

uomo educato sia moralmente migliore d’uno non educato, o che un uomo

intelligente lo sia più di uno stupido. In questa maniera, un gran numero di meriti di

grande importanza sociale sono esclusi dal regno dell’etica. L’aggettivo

«immorale», nell’accezione moderna, ha un significato molto più ristretto

dell’aggettivo «indesiderabile». 4

Le teorie etiche si possono dividere in due categorie, a seconda che considerino la

virtù come fine o come mezzo. Aristotele, in complesso, fa sua l’opinione che le

virtù siano mezzi per raggiungere un fine, la felicità. «Essendo dunque il fine ciò

che desideriamo, e i mezzi ciò intorno a cui deliberiamo e facciamo la nostra scelta,

le nostre azioni, per quanto riguarda questi mezzi, devono essere in accordo con la

scelta e volontarie. Ora

Dettagli
A.A. 2013-2014
9 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/06 Storia della filosofia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher noemipedagogista di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della filosofia contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università della Calabria o del prof D'Atri Annabella.