vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Napoli. Romani ma meno cavalliniani sono affreschi del Maestro di Isacco.
I fiorentini invece cercano in ogni tema il significato trascendentale e duraturo, per razionalizzare e
sintetizzare, e, mentre modellano, immobilizzano le figure in pose simbolicamente espressive
affreschi cappelli dell’Arena a Padova, cappelle Bardi e Peruzzi in s Croce a Firenze, Madonna di
Ognissanti e cappella della Maddalena…
La produzione dei fiorentini “romanizing” è molto più cospicua di quella dei romani stessi. Ciò che i
separatisti chiamano “romanizing” è una fase di sviluppo più antica rispetto a tutto ciò che essi
vorrebbero etichettare come fiorentino. Inoltre questa cultura artistica segue immediatamente
quella cimabuesca, quasi senza soluzione di continuità: esempio è Maestro di san Gaggio.
Ma la pittura di fine 200 a Roma comprende anche Jacopo Torriti: sembra essere quasi lui la figura
di maggiore spicco. Tra il 1288 e 1295 decora le absidi di s Giovanni in Laterano e di s Maria
Maggiore, affidategli dal papa Niccolò IV. Ma questi affreschi non sono romani e non mostrano
affinità col Cavallini, suo contemporaneo. Il linguaggio solenne rimane però all’interno di una
tradizione bizantina. Egli fu artista molto importante, anche se posto in secondo piano ha lasciato
un segno molto più profondo di quanto si creda nel panorama della pittura romana di fine 200. Egli
tratteggiava con pennellate come una ragnatela di sottili e grassi filamenti in curva.
Sempre del Torriti deve essere una lunetta a mosaico della porta laterale di s Maria in Aracoeli:
forse l’immagine più solenne e concentrata dell’artista romano.
La scuola romana rinnovata e la cronologia del Cavallini
1273 “Petrus dictus Cavallinus de Cerronibus” in un atto notarile
Delle notizie su Cavallini ci si avvale della testimonianza di Vasari (parlò della sua attività a Firenze
ma se fosse stata attendibile non ci si spiega il silenzio assoluto da parte di Ghiberti). Anche le
date del 1291 per mosaici di s Maria in Trastevere e 1293 per affreschi s Cecilia hanno fondamenti
labili: la prima si basa su cifra non più esistente, interpretata come 1351 ma successivamente
interpretata come 1291 e da allora considerata come sicura; per la seconda, ci si basa sull’ipotesi
che il tabernacolo di Arnolfo di Cambio, recante quella data, e la decorazione della chiesa fossero
stati eseguiti contemporaneamente. Ultima sua opera è l’affresco absidale di s Giorgio in Velabro.
La scuola romana rinnovata: Filippo Rusuti
A Rusuti fu commissionato il mosaico di facciata di s Maria Maggiore e venne stabilito che il lavoro
fosse stato realizzato in parallelo a quello del Torriti. Altre sue opere sono il mosaico absidale di s
Crisogono. Esiste una differenza tra i due mosaici: quelli in s Maria Maggiore, le figure sono più
amplificate e monumentali; in san Crisogono sono caratterizzate da maggior verticalità, forse
dovuta all’evoluzione dell’artista verso il gotico.
Altra sua opera è il restauro e il rifacimento degli affreschi dell’abbazia di Grottaferrata,
presumibilmente di metà 200. Non si nega una certa aria di famiglia col Cavallini, ma i risultati
sono diversi: la linea di contorno ha maggior tensione, modellato più trasparente, tinte più fredde,
panneggio metallico e setoso rimane piatto nonostante sfumature. Il passaggio dal chiaro allo
scuro è effettuato attraverso gradazioni (chiaroscuro come decorazione). Gli affreschi di
Grottaferrata ricalcano una stesura più antica.
Proposta cauta l’attribuzione a Rusuti dei resti della decorazione nel transetto sx della stessa
basilica di s Maria Maggiore. Tale decorazione è considerata un’opera capitale nell’ambito della
pittura romana e i loro rapporti con affreschi assisiati sono tali che è stata ventilata perfino
un’attribuzione a Giotto. Colpisce la gamma cromatica particolare, che raggiunge effetti straordinari
negli accostamenti delicati e freddi di azzurro e di verse, come avviene anche a Grottaferrata.
Nel Crocifisso di san Tommaso de’ Cenci sono evidenti i rapporti con Assisi e soprattutto con il
Compianto sul Cristo morto.
Con queste opere la personalità del Rusuti acquista rilievo e si può confermare la sua posizione
nella pittura romana tra fine 200 inizio 300 non inferiore al Cavallini.
I loro destini sono anche simili: entrambi si recano in Francia al seguito del pontefice e nel 1308.
1309 e 1317 è documentato al servizio del re. Bellosi è certo dell’opera di Rusuti nella decorazione
degli angeli della chiesa di Saint-Nazaire a Béziers, nella cappella dello Spirito Santo che nel 1307
era appena costruita: esso furono sfregiati durante le guerre di religione del secondo 500 e oggi
sono privi dei tratti del volto ma quel che resta sembra accordarsi agli aspetti del Rusuti. Il
chiaroscuro delle vesti ha lo stesso carattere velleitario e decorativo degli affreschi e tavole di
Grottaferrata; le ali degli angeli sono simili a quelli del mosaico di facciata di s Maria Maggiore.
Tre indizi: il trono, il tratteggio, la “diadema”.
Appare quindi evidente che la pittura romana degli ultimi decenni del 200 e degli inizi del 300
presenta articolazioni complesse, in confronto alle quali l’interpretazione “romanizing”, basata sulle
opere del Cavallini, appare un’indebita semplificazione.
Il grande interrogativo rimarrà per molti quello dei rapporti tra la pittura romana e gli affreschi di
Assisi delle Storie di Isacco in avanti. Ma la datazione delle Storie di san Francesco agli inizi degli
anni 90 del 200 avvia questo problema ad una soluzione.
Nella chiesa di san Niccolò a Sangemini, in Umbria, firmato da Rogerio di Todi del 1295, la
Madonna siede su un trono architettonico con decorazioni cosmatesche, che è una delle novità
della rivoluzione pittorica di fine 200, in quanto si contrappone al più arcaico trono ligneo, ricco di
torniture e decorazioni, che veniva da tradizione tardoantica e bizantina ed aveva avuto
elaborazioni stupende in Cimabue e nel giovane Duccio.
Il marmoraro romano Giovanni di Cosma esegue in s Maria sopra Minerva il monumento funebre
di Guillaume Durand, vescovo di Mende, morto nel 1296, ma senza elementi cosmateschi, che
verranno però inseriti dallo stesso artista nel mosaico del monumento sepolcrale del vescovo
Consalvo.
Ciò indica che uno dei motivi della pittura rinnovata di fine 200, il trono architettonico rivestito di
marmo e ornato di decorazioni cosmatesche, era noto in Umbria prima che a Roma e mostra che
la direzione degli scambi Assisi-Roma fosse dalla città umbra alla città papale e non viceversa.
Torriti dipinge ad affresco attutendo gli affetti brillanti, per macchie accostate, della pittura
compendiaria tardoantica, cui l’artista romano si ispira, in parallelo con la tradizione bizantina. Le
ombre del chiaroscuro non sono macchie di colore ma quasi una ragnatela di sottili filamenti scuri,
accostati fittamente; anche la luce non ha il risalto tardoantico ma romane come irretita dai continui
ritorni del pennello: l’effetto finale demo modellato è quello di forme definite come da gibbosità.
Con Cimabue si andrà oltre questa concezione del dipingere: una delle sue grandi invenzioni è la
pittura trasparente e sottile che raggiunge effetti straordinari in opere come il Crocifisso di s Croce
e che il giovane Duccio raffinerà nella Madonna Rucellai.
La materia pittorica si assottiglia e si intenerisce, ma allo stesso tempo acquista uno splendore
quasi metallico. I colori si impreziosiscono per gli accostamenti di toni freddi: verde, azzurro, rosa,
grigio… Negli affreschi di Assisi, Cimabue modella le carni con lunghi e sottili tratti del pennello, più
radi che nel Torriti, ma più sistematici e costruttivi; nel loro andamento accompagnano il modellato
delle forme e con la loro tensione e incisività sembrano graffiare la superficie. Lo stesso metodo
viene seguito anche nella navata della basilica superiore, dalle Storie di Isacco alle ultime storie di
s Francesco e verrà seguito anche dal Cavallini.
Cennini descrive nel suo trattato come bisogna eseguire ad affresco un’aureola, una “diadema” o
“corona” e quella descritta è la forma usata di regola negli affreschi del 300. Fino alla fine del 200
veniva dipinta ad affresco sulla parete come tutti gli altri elementi della figurazione. La nuova
aureola è nata nella basilica superiore di Assisi, si trova negli affreschi del pittore oltremondano del
transetto dx, precedenti all’intervento di Cimabue.
Forse è derivazione dalla pittura su tavola, dove dalla metà del 200 in poi si trovano esempi di
aureola rilevata e raggiata. Si può citare il Crocifisso di Coppo di Marcovaldo a s Gimignano, la
Madonna di s Maria Magg a Firenze, la Madonna dei Servi ad Orvieto o il san Francesco
cimabuesco della Porziuncola ad Assisi.
Centralità di Assisi
Basilica Superiore di Assisi = punto di partenza per le nuove idee a cui si rifanno Cavallini e pittori
italiani della sua generazione.
In un momento in cui il movimento francescano era al colmo della popolarità, questa basilica era
meta dei pellegrinaggi e pochi italiani non l’avranno visitata almeno una volta nella vita.
Lì i grandi pittori attivi tra la fine del 200 e inizio 300 hanno lasciato i propri capolavori: Cimabue,
Pietro Lorenzetti, Simone Martini.
Il punto essenziale sta nella centralità e nella forza di irradiazioni della decorazione ad affresco
della basilica superiore di Assisi. L’autore dei mosaici di facciata e degli affreschi nel transetto sx di
S Maria Maggiore era attento alla basilica umbra.
La pittura romana tra la fine 200 e inizi 300 presenta una casistica tra le più vistose di quel
fenomeno di ampie proporzioni che è la diffusione rapida, fortunata e capillare della nuova pittura
elaborata ad Assisi, dalle Storie di Isacco alle Storie di s Francesco. Ci si può accorgere che gli
aspetti della pittura che sono stati indicati come “romanizing” si ritrovano un po’ in tutta Italia e il
caso della pittura riminese del 300 diventa una delle riprove evidenti che ciò che una volta si
chiamava cavalliniano (o “romanizing”) deve invece considerarsi giottesco: Giotto lavorò a Rimini
di persona e ciò favorì la fioritura della pittura riminese.
4. Un contesto cimabuesco e la pecora di Giotto.
Continuità della decorazione della Basilica Superiore.
Il Belting ha dimostrato una profonda organicità e la sostanziale unità di programma e di significato
della decorazione pittorica della Basilica Superiore di Assisi, che rappresentano un caso
eccezionale e si spiegano meglio senza le interruzioni tra le fasi. Salta agli occhi una ugua