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Nella “Politica e cultura” di Bobbio, viene introdotta un’altra libertà, che affianca quella
liberale e quella democratica, cioè la libertà socialista.
Nell’opera si distingue innanzitutto libertà liberale da libertà socialista, partendo dal concetto
di “libertà”:
- Per i liberali “libertà” vuol dire non-impedimento da parte del potere giuridico.
- Per i socialisti “libertà” vuol dire che lo stato attribuisce poteri al soggetto affinché egli
possa compiere delle azioni.
Per i socialisti lo stato deve creare un programma di trasformazioni sociali, permettendo a tutti
l’effettivo esercizio di quelle libertà fondamentali che vengono formalmente proclamate eguali
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per tutti. Ecco allora che dalla libertà dallo stato (liberalismo) si passa a libertà mediante lo
stato (socialismo).
È sbagliato riunire tutte le libertà, sia quelle liberali che quelle socialiste, sotto l’espressione
“diritti dell’uomo”. Le pretese nelle quali si riassumono tutti i diritti sono: libertà o potere. Il
potere presuppone la libertà, questo perché bisogna essere liberi di decidere come e per quali
scopi il potere debba essere esercitato.
La libertà come facoltà e la libertà come potere non sono due opzioni tra le quali decidere
perché non sono due diritti egualmente riconosciuti e protetti: la libertà un diritto che è; il
potere un diritto che dovrà essere; un diritto attuale e un diritto potenziale.
Ai diritti liberali si affianca un dovere di astensione, che l’ordinamento punisce; ai diritti
sociali si affianca una promessa di intervento, che però è sfornita di sanzione.
Questi diritti non devono essere semplicemente formalizzati nella Costituzione, ma bisogna
predisporre mezzi per garantirli, e questo può essere realizzato solo in uno stato di sviluppo
economico e di evoluzione tecnologica.
Così come l’individualismo, anche l’organicismo vede diverse versioni: l’organicismo antico e
l’organicismo moderno. L’organicismo antico presenta diverse caratteristiche:
- La comunità viene prima dei singoli.
- La comunità è un insieme armonico di persone, ognuna delle quali rispetta il suo ruolo.
- La comunità è assegnata ad una guida, che la mantiene tale.
Quando i teorici di destra guardano alla comunità rousseauiana mantengono la prima e la
seconda caratteristica:
- La prima perché Rousseau afferma la necessità di trasformare l’individuo, che si trova
isolato, in una parte del tutto che è, appunto, la comunità.
- La seconda perché Rousseau ha una visione orizzontale della società, in cui ogni cittadino
partecipa alle decisione, senza l’intervento di una guida dall’alto.
La visione di Rousseau, quindi, è quella democratica, più precisamente una democrazia pura,
completamente diversa dalla visione democratico-liberale dei moderni.
Per distinguere la democrazia dal liberalismo, non bisogna solo guardare alle rispettive libertà,
ma anche alla prospettiva giuridica:
- La democrazia è un potere.
- Il liberalismo è una tecnica di limitazione del potere. Una limitazione formale quando chi
esercita il potere è vincolata a specifiche procedure; una limitazione materiale quando a
chi esercita il potere vengono sottratti una serie di comportamenti che non possono
essere né comandati né proibiti (diritti di libertà).
La limitazione formale e la limitazione materiale sono i due pilastri dello Stato liberal-
costituzionale e, dato che la democrazia moderna prevede questo tipo di Stato, vuol dire che
essa deriva dal costituzionalismo liberale (democrazia liberale dei moderni).
Nella democrazia moderna i diritti di libertà sono inviolabili e vengono sanciti nella
Costituzione, il governo appartiene ai cittadini. I cittadini sono coloro che derivano dalla sessa
stirpe e partecipano alla stessa cultura; questo vuol dire che essi sono investiti di eguali diritti
politici, che permette loro di partecipare alle decisioni collettive.
Inoltre più i cittadini sono vicini, più condividono gli stessi sentimenti, gli stessi valori e la stessa
concezione del mondo. In realtà, per il volume della popolazione e per le dimensioni del
territorio, è impossibile realizzare il vis a vis affermato dagli antichi greci.
La democrazia liberale garantisce un consenso che non esclude il dissenso perché, così come la
maggioranza che esprime il consenso, così la minoranza che esprime il dissenso godono degli
stessi diritti di libertà.
A differenza dei marxisti, che criticano la statizzazione dell’economia, i teorici di destra
esaltano l’economia, teorizzando un riordinamento corporativo della società e assegnando ai
gruppi professionali il ruolo che oggi svolgono gli imprenditori. 3
Se è vero, però, che i diritti politici vengono riconosciuti solo ai cittadini, e i cittadini sono
coloro che hanno origini e valori comuni, allora tali diritti non possono essere riconosciuti alle
minoranze razziali, a quelle linguistiche, agli omosessuali, ai barboni ecc. i diritti politici
rafforzano le libertà civili, quindi non si possono attribuire a coloro che non possono difenderli
con il voto. Se non vengono riconosciuti né i diritti politici, né i diritti civili, l’uomo non conta
più niente per la società e questo determina la sua morte civile.
A differenza dei teorici di destra, Marx rifiuta nettamente il liberalismo. È la Storia che boccia
il liberalismo, questo perché ciò che conta non è ciò che il proletario si pone come fine, ma ciò
che esso è storicamente costretto a fare in conformità con il suo essere.
In accordo con la concezione gnostica, in origine vi era la comunità, la fusione dell’io con il noi
collettivo (perfezione originaria); poi vi è la caduta, la corruzione, la perdizione (il presente è
l’attesa della liberazione dal male); infine la perdizione stessa permetterà all’uomo di
innalzarlo ad una forma superiore di socialità, cioè la tribù (perfezione futura).
A contrastare con questa concezione c’è la dottrina cristiana e quella liberale:
- In base alla dottrina cristiana l’uomo è affetto dal peccato originale e la sua redenzione
non avviene in questo mondo. Il suo cammino, però, non è libero in quanto lui è guidato
da un potere paterno e infallibile (Papa) che lo restituisce a Dio.
- In base alla dottrina liberale l’uomo deve salvarsi dal male in questo mondo. Non c’è la
redenzione finale perché la Storia non conosce traguardi, ma è un continuo divenire e un
continuo superamento. Per i liberali, l’uomo sbagliando impara però gli deve essere data
la possibilità di sbagliare ed è per questo che lui si trova in una sfera di piena libertà in
cui nessuno può comandarlo o impedirlo.
I marxisti, come i liberali, riconoscono solo la storia di questo mondo; come i cattolici,
riconoscono la presenza del male. A differenza dei cattolici, però, i marxisti non guardano al
peccato originale, ma ad un male storico, nato nel momento in cui un uomo limitò il suo terreno
affermando che questo gli apparteneva. Il male, quindi, è rappresentato dalla proprietà
privata.
La proprietà è vista come mezzo e non come fine, infatti senza di essa gli uomini sarebbero
condannati a vivere nello squallore del comunismo primitivo, senza agi e senza cultura. È
proprio grazie al Male (la proprietà) che l’umanità potrà arrivare al Bene, raggiungendo il regno
della Libertà.
La proprietà privata genera una visione distorta della realtà:
- Gli sfruttatori credono, sbagliando, che i loro interessi e i loro poteri possano essere
considerati come valori universali.
- Gli sfruttati credono, sbagliando, che lo sfruttamento sia legittimo e, quindi, non si
ribellano.
Solo gli gnostici rimangono immuni da questa stortura; essi ne conoscono le cause e guidano gli
uomini sulla via che li porterà alla salvezza, la quale non si proietta nell’aldilà, ma rimane nel
mondo degli uomini. La rivoluzione, quindi, è l’unico strumento che può determinare il
comunismo, che per i marxiani è visto come il paradiso. Il comunismo è il Regno di Dio senza
Dio, quindi deve essere obbligatoriamente totalitario.
Il legame storico che esiste tra democrazia liberale e diritto naturale, non è lo stesso legame
sul piano teorico; infatti non si possono ammetter valori assoluti per entrambi, ma solo valori
relativi.
Innanzitutto si parte dalla critica teorica del giusnaturalismo che sottolinea il conflitto tra
autocrazia e democrazia, sulla base di due concezioni: l’assolutismo per i regimi autocratici e il
relativismo per i regimi democratici.
Per l’assolutista esistono valori assoluti che superano i limiti della conoscenza umana e si
rilevano solo all’eletto, cioè colui che oltrepassa la conoscenza empirica per giungere al Bene.
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Questa concezione può derivare solo da una visione religiosa del mondo, in base alla quale il
mondo è creato da Dio. Le leggi naturali diventano espressione della volontà divina, la quale è
rivolta al Bene.
Per il relativista, invece, non muove da premesse religiose, ma solo dalla Scienza, quindi dai
fatti. Dai fatti non può derivare nessun valore e distinguiamo:
- Giudizio di fatto: il giudizio che parte dall’enunciato “è vero che…” ed è un enunciato
descrittivo.
- Giudizio di valore: il giudice che parte dall’enunciato “è bene che…” ed è un enunciato
prescrittivo. Un giudizio di valore si fonda sempre su un altro giudizio di valore, che a sua
volta si fonda su un altro, fino ad arrivare al valore ultimo, il quale non si fonda, ma si
assume. Ogni assunzione è relativa al soggetto che la compie.
Dal momento che esiste il custode del Bene assoluto, è immorale affidare alla maggioranza
(come nella democrazia) distinguere il bene dal male. Il custode del Bene deve guidare gli
uomini alla salvezza finale e chi smarrisce questo sentiero è destinato alla perdizione (pazzi e
criminali). La forma di governo più adatta agli assolutisti, quindi, è l’autocrazia perché essa
afferma che l’unica verità discende dall’alto e obbliga anche i restii al bene di perseguirlo, in
modo da salvare le loro anime.
La forma di governo dei relativisti è la democrazia perché essi offrono il loro sostegno anche
agli oppositori. Il dissenzien