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Tuttavia, pensiamo alle costituzioni octroyées, concesse: i diritti di libertà che vi
si trovano impressi non vengono certo deliberati da un’assemblea liberamente
eletta: quindi a godere di libertà di stampa, parola, riunione ecc., non è più un
cittadino attivo, e quindi non esiste più questa interdipendenza, le libertà
politiche non sono più così necessarie a “conseguire” quelle civili.
Conseguimento e conservazione delle libertà civili, sono verità non equi
ordinabili: una cosa è sostenere che senza la libertà di espressione (diritto civile)
il voto (diritto politico) è un inganno; altra cosa è sostenere che in assenza del voto
la libertà di espressione dura poco.
Nel primo caso il voto che il cittadino esprime senza possibilità di alternative è
una violenza; nel secondo caso le libertà esistono comunque, anche se
stentatamente.
L’interdipendenza può essere valida soltanto se circoscritta entro certi limiti di
tempo e di spazio: con il passare del tempo, infatti, democrazia e liberalismo si
sono composte in così indissolubile unità che “oggi soltanto gli stati nati dalle
rivoluzioni liberali sono democratici, e soltanto gli stati democratici proteggono i
diritti dell’uomo” (Bobbio). Quindi, concettualmente, tra libertà liberali e libertà
democratiche, tra democrazia e liberalismo non si può discorrere di
interdipendenza e men che mai di indipendenza.
Bobbio la pensa diversamente quando dice che “le due libertà sono diverse tanto
da poter essere indipendenti l’una dall’altra”. La libertà negativa (lib.) è una
qualifica dell’azione, mentre la libertà positiva (dem.) è una qualifica della
volontà. E quindi può esistere la libertà negativa senza quella positiva? Sono
libero di fare qualcosa se non sono libero di volerla? Il problema interiore della
libertà di volere è diverso dal problema esteriore della libertà di fare: e il problema
che si deve porre la politica è solo il secondo, soltanto il problema di non essere
impediti nel fare.
Infatti, la mia volontà può restare passiva anche quando mi è consentito fare
tutto ciò che voglio, e proprio perché l’autonomia è un rapporto interno del
soggetto, i problemi della libertà esteriore, della libertà di fare esulano
dall’ambito dell’autonomia.
Il problema ora è se l’autonomia esclude o no la coercizione, cioè se posso essere
autonomo anche quando non sono libero. Sia Bobbio che Sartori rispondono di
si: che una volontà sia autonoma non implica che l’azione che ne derivi sia libera.
Posso scegliere liberamente la religione da professare anche se non sono libero
di professarla nello stato in cui vivo, in uno Stato confessionale.
L’esempio della religione non tiene, in quanto la fede religiosa ha bisogno soltanto
della grazia, cioè un mistero interno all’animo dell’uomo, ma le idee politiche non
sono come la fede, non godono della grazia ricevuta dall’alto, e devono essere
pensate interagendo con flussi di informazioni, esprimendole con ragioni parlate
in un continuo confronto.
E quindi laddove esistono intimidazioni, dove deviare dall’ortodossia dominante
ci mette in cattiva luce, la libertà di espressione viene violata e di riflesso anche
la stessa libertà di pensiero: chi teme di dire quello che pensa finisce per non
pensare quello che non può dire. Inoltre, il controllo delle fonti, di ciò che
troviamo scritto e che ci viene detto, se viene impedito non può formarsi una
pubblica opinione degna di questo nome poiché non è autonoma appunto.
La libertà socialista
Con il termine libertà i liberali intendono qualcosa come una facoltà di fare o di
non fare, mentre i socialisti intendono qualcosa come un “potere di fare”. I primi
mettono l’accento sul non- impedimento, i secondi sulla potestà che lo stato mi
attribuisce fornendomi i mezzi adatti. Lo stato liberale non mi ostacola ma
neppure mi aiuta, ed è questo che non soddisfa il socialismo. Che giova la libertà
di stampa al povero che non ha neppure i mezzi per comprare il giornale? E quindi
lo Stato deve elaborare un programma di trasformazione sociale volto a
raddrizzare le storture sociali e a consentire anche al più piccolo dei cittadini
l’esercizio eMettivo di queste libertà liberali. Non più libertà dallo stato ma libertà
mediante lo stato.
Ciò che importa al socialista, abbiamo visto, non è che egli abbia la facoltà di fare
un giornale, ma che ne abbia anche il potere: tuttavia la libertà come potere non
deve essere conferita a scapito della libertà come facoltà.
Quindi i cittadini che hanno il potere di stampare un giornale, devono poterlo fare
liberamente, cioè non essere impediti nel manifestare le proprie idee. Quindi la
libertà-facoltà e la libertà-potere non si presentano quali alternative tra le quali
optare, ma fra un diritto che è (libertà) e un diritto che dovrà essere (potere). I
cosiddetti diritto sociali, quindi, più che veri diritti sono generosi propositi che lo
Stato assume per l’avvenire. E non è suMiciente menzionarli nella Costituzione,
ma è necessario predisporre i mezzi pratici per soddisfarli, e tali mezzi
appartengono ad un certo grado dello sviluppo economico e dell’evoluzione
tecnologica.
L’organicismo nella versione della nuova destra
Così come l’individualismo riconosce diMerenti versioni (liberale, democratico e
socialista), così anche l’organicismo è soltanto un termine di genere. Partendo
dall’organicismo antico, le caratteristiche di fondo possono essere così
riassunte:
a) la comunità viene prima dei singoli, e il valore delle parti si misura in ragione
dei vantaggi del tutto;
b) questo tutto non può conoscere attriti, voci dissonanti, dissenso;
c) come in un coro, c’è bisogno di un direttore che scandisce il ritmo e dirige
l’armonia.
Quando questa teoria viene ripresa dai teorici della nuova destra questo terzo
punto non lo ritroviamo poiché, stando a Rousseau, tutti i cittadini partecipano al
processo decisionale senza che altri intervengano ad organizzarli dall’alto: ecco
la novità, il neo-organicismo. Quindi non è in nome dell’autocrazia che la nuova
destra muove all’assalto della liberaldemocrazia. Puntano ad uno sviluppo
democratico, ma di una democrazia ovviamente diversa da quelle moderne, ma
più simile a quella antica che non conosce i valori del liberalismo.
Alla fine, quindi, l’obiettivo diventa il liberalismo, che segna il discrimine tra il
vecchio e il nuovo, limita la sovranità del popolo sia formalmente, con il rispetto
di determinate procedure, sia materialmente, con il divieto di legiferare su una
serie di comportamenti.
Quindi la democrazia, per Alain De Benoist, maggiore interprete di questo neo-
organicismo di destra, non si fonda sul dominio impersonale della legge, ma sul
personalissimo e assoluto governo dei cittadini. I cittadini sono coloro che
discendono partecipano della medesima cultura, e proprio per il fatto di avere
origini e valori in comune sono investiti di eguali diritti politici.
Quindi la partecipazione diretta alla formazione sociale è una diretta
conseguenza della coesione culturale.
“Più i cittadini condividono le stesse credenze, più è loro agevole prendere
collettivamente delle decisioni che vadano nel senso del bene comune.” (De
Benoist); “più il gruppo è compatto, più gli individui si trovano frequentemente e
strettamente in contatto, e più frequenti sono questi contatti, più c’è scambio di
idee e opinioni.” (Durkheim).
Certo, oggi le dimensioni della popolazione e dei territori non rendono praticabile
questo vis a vis degli antichi, ma anche l’economia di mercato, e forse
soprattutto, ha spezzato la disciplina del gruppo, ha perforato le antiche tradizioni
e ha permesso che gli individui si lanciassero all’inseguimento dell’ignoto. Anche
l’organicismo marxista ha avversato l’egoismo liberale, ma mentre essi
coerentemente sostituivano ai principi del mercato una statizzazione
dell’economia, i teorici della nuova destra teorizzano un riordinamento
corporativo che egualmente si fonda sull’egoismo e sugli interessi materiali: ecco
che l’idea della “democrazia organica” veleggia verso i cieli dell’utopia.
Quand’anche non fosse priva di concretezza, questa idea non ci alletta per il
principio che debbano essere i cittadini, con i loro gusti ed opinioni
perennemente cangianti e capricciosi, a detenere un potere assoluto: Voltaire
scriveva “se bisognasse scegliere, io detesterei meno la tirannia di uno solo che
quella di parecchi. Un despota ha sempre qualche momento buono,
un’assemblea di despoti mai.”.
Inoltre, se è vero che i diritti politici vanno riconosciuti ai soli cittadini che hanno
origini e valori comuni, come sostiene De Benoist, vuol dire che le minoranze
linguistiche e razziali e gli emarginati della società (prostitute, barboni,
omosessuali) non devono godere di nessun diritto politico.
L’organicismo marxiano
Anche in quest’altra versione dell’organicismo il conflitto e il dissenso sono visti
come un male per la società. “Nessuno dei cosiddetti diritti dell’uomo – scrive
Marx ne La questione ebraica – oltrepassa l’uomo egoista, in quanto membro
della società civile ripiegato su sé stesso e sul suo interesse privato”. Tutto quindi
viene travolto da questo empito comunitario, a cominciare dal bene più prezioso
dell’uomo, quello cioè di pregare liberamente secondo la propria moralità. Niente
libertà religiosa, niente libertà di culto e men che meno libertà di proprietà. Ogni
posizione di principio del liberalismo viene rovesciato non per produrre una
critica, ma un vero e proprio rifiuto di quella concezione.
Tuttavia non tutti i movimenti socialisti sono uguali: c’è il socialismo che contesta
la società liberale dall’interno, rea di aver assunto impegni non onorati, e c’è il
socialismo che condanna sempre gli assetti liberali. La critica risale quindi fino ai
principi che è la Storia a confondere. Quindi non si deve supplire alle deficienze
dell’ideale liberale con un ideale diverso, ma ciò che conta è cosa il p