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Tirannide - Biografia
Nacque probabilmente nel 1313 a Rave di Venatura, nel contado di Sassoferrato, e morì a Perugia il 12 luglio 1357, all'età di 44 anni, per causa non conosciuta. La condizione della sua famiglia era agiata, tanto da offrirgli la possibilità di studiare lontano dalla città natale e vivere per lungo tempo senza un mestiere. Si istruì presso Piero da Assisi, probabilmente un frate minore, il quale lo mise in condizione di iniziare lo studio del diritto romano, presso l'università di Perugia già intorno ai 13-14 anni. A Perugia Bartolosegui le lezioni di Cino dei Sinibaldi di Pistoia, amico di Dante, che esercitò su di lui una grande influenza. Proseguì poi gli studi nell'Università di Bologna dove in seguito svolse il dottorato, che gli consentì di maturare il suo giudizio su molte questioni giuridiche. La sua vita pubblica iniziò con il ruolo di assessore ricoperto a Todi, poi
A Pisa e forse anche a Cagli. La sua carriera universitaria inizia nel 1338 a Pisa, come professore di diritto civile, tuttavia erano anni non troppo felici in ragione della carestia che colpì la città nel 1340 e dei continui scontri tra guelfi e ghibellini. Fu per tali circostanze forse che intorno al 1342 Bartolo lasciò la città per tornare a Perugia (Giulio Claro scrisse che fu costretto ad abbandonare la città in quanto l'imputato che ha sottoposto a tortura morì e scappando evitò di rispondere personalmente della morte dell'imputato), dove le sue doti di giurista e docente poterono manifestarsi appieno: le sue lezioni furono seguite da studenti che, in numero sempre maggiore, giungevano da tutte le parti d'Italia; e sono gli anni più produttivi dal punto di vista della ricerca scientifica per Bartolo che pubblicò numerosi trattati, dissertazioni su argomenti giuridici e conferenze volte ad armonizzare i testi giustinianei.
rivisitandoli ed interpretandoli con metodo dialettico, misurandoli con le nuove realtà sociali scaturite dall'ordinamento della Chiesa e dalle nuove organizzazioni che stavano delineandosi (Comuni in primo luogo). Le opere dell'autore sono tre: De regimine civitatis, De Guelphis et Gebellinised infine il De tyranno. Fin dai suoi temi Bartolo venne riconosciuto come il più grande di tutti i giuristi e, per la fama e l'autorità raggiunte, fu definito monarcha juris: un dio in terra nella scienza giuridica. Già in vita poi ottenne onori di ogni genere, tra cui la nomina a consigliere da parte dell'Imperatore Carlo IV di Boemia. Le sue opere divennero oggetto di studio universitario e forense, accanto ai testi del diritto romano giustinianeo ed i suoi pareri (consilia) divennero argomenti incontrastati dinanzi ai tribunali di molti paesi: in alcuni di essi (ESP e POR) si stabilirà con decreto reale che nei casi dubbi, per risolvere le controversie, si dovrà fare riferimento ai suoi scritti.dovessero prevalere le opinioni di Bartolo.Prefazione
“Hodie Italia est tota plena Tyrannis”, è la frase che compare in calce al Deregimine civitatis, opera precedente di Bartolo. Per il vero questa era opinione diffusa al tempo, tanto che Dante nel canto VI Purgatorio aveva pochi decenni prima denunciato che “le città d’Italia tutte piene son di tiranni”, lamentando l’uso ricorrente della forza da parte degli usurpatori e avventurieri di ogni prisma al fine di sovvertire le istituzioni. Il pensiero espresso in De tyranno è un pensiero vivo, attuale, perché intimamente connesso non solo con i problemi del tempo che fu di Bartolo, ma anche con i problemi del tempo che è nostro, perché il fenomeno giuridico studiato da Bartolo, l’ingiusto acquisto ed esercizio del potere, resta vivo ed attuale.
La grandezza e la genialità di Bartolo sanno però nell’aver dato alla
condannamorale una connotazione giuridica. Il pensiero politico e giuridico del '300 ha come suo irrinunciabile postulato l'esistenza di un ordinamento giuridico universale, da una parte rappresentato da una idea d'Impero e dal diritto romano, punto di riferimento principale dei popoli una volta assoggettati all'autorità di Roma, inteso come un diritto comune dei popoli stessi; dall'altro dal progressivo formarsi dell'ordinamento giuridico della Chiesa, anch'esso ritenuto diritto comune nell'Europa della societas cristianorum. Accanto a questi due diritti universali, espressione di una tacita esigenza di unitarietà, si collocava anche una multiforme e instabile galassia di forme statuali e articolazioni sociali (Regni, Ducati, Comuni, Corporazioni), dotate di propria autonomia, ossia di una capacità di emanare norme giuridiche. Tale autonomia era riconosciuta dallo ius commune (Lex Omnes Populi), ma più concretamente inragione dell'autonomia conquistata per assenza dell'Imperatore, per sua non effettiva autorità oppure in via di fatto con il danaro/spada. Accanto ad un conflitto tra i due poteri universali (Chiesa-Imperatore) si affianca un conflitto tra potere dell'Imperatore e potere delle autorità locali. Bartolo colse appieno la realtà del suo tempo elaborando quella che oggi viene detta teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici: secondo Bartolo convivono nell'ordinamento universale molte giurisdizioni, così egli denomina gli ordinamenti, da quella del proprietario sulla propria terra a quella massima dell'Imperatore sul mondo. Qualsiasi ordinamento giuridico fonda la propria legittimità sul diritto, e la propria effettività su di un potere legittimo che sia in grado di agire secondo il proprio statuto ed il diritto comune (lex). La stesura del De tyranno nasce non soltanto dall'esigenza scientifica di costruzione.di un sistema giuridico unitario o come reazione morale ad una desolante realtà politica dell'Italia, ma come vero e proprio invito all'imperatore Carlo IV di Boemia a farsi esecutore di giustizia, riconducendo la realtà sociale e politica nell'alveo del diritto. Non essendo in grado i in disposizione di combatterli, Imperatore e Papa con politiche remissive legittimavano gli usurpatori, in cambio di qualche limitato beneficio fiscale, nominandoli vicari imperiali/pontifici (es. Malatesta di Rimini): invece di rimuovere il tiranno si scendeva a patti con lui così facendo rimuovendo d'autorità il carattere tirannico del suo governo. Si assisteva così inerti alle prassi amministrative più degenerate (l'uso del potere al servizio di interessi personali e familiari una tra tutte). Bartolo non accetta la prassi dei vicariati imperiali e papali, che solo eccezionalmente giustifica solo quando concessi in stato di
necessità (Cap. X), di fatto così condannando il fenomeno e l'inerezia dell'Imperatore e del Papa. Egli concepisce quest'opera come strumento di azione legale e politica "perché tutti quanti abbiano la forza di liberarsi dai nodi del vincolo di quella orrenda perversità, cioè dalla schiavitù tirannica", confidando che Carlo IV di Boemia, imponesse su tutta la penisola il ripristino del primato della lex e l'autorità del tribunale imperiale. Il de Tyranno si presenta come un trattato completo di idee e spunti come, ad esempio, il principio che gli atti emanati sotto ingiusto dominio, non solo le ordinanze del tiranno, ma anche gli atti di tutti i funzionari, fossero da considerarsi nulli. Mentre da parte di molti si individua la tirannide come una degenerazione della monarchia, Bartolo estende il concetto a qualsiasi forma degenerativa di governo (monarchia, aristocrazia e governo popolare), spostandol'esempio di Bartolo, sostiene che la tirannia può essere esercitata da chiunque detenga un potere illegittimo. Secondo Bartolo, la legittimità del potere e del suo esercizio è di fondamentale importanza. Egli contrappone iudex e tyrannus, sottolineando che il termine iudex evoca un concetto generale di potere, che comprende qualsiasi forma di governo. Nonostante questa ampia definizione, Bartolo ritiene che la monarchia elettiva sia la forma di governo più stabile e meno incline alla degenerazione, mentre attribuisce poco credito alla forma di governo aristocratico. Tuttavia, ciò che conta di più per Bartolo non è il modello teorico, ma la sua effettiva conformità al diritto. Bartolo sostiene che la tirannia può esistere solo quando viene esercitata una giurisdizione illegittima e il tiranno può essere colui che è incaricato di tale esercizio o chi, come nel caso di un usurpatore, si appropria del potere in modo illegittimo.caso di ribelli usurpatori impedisca l'esercizio legittimo di una giurisdizione. Se da un lato egli non ritiene punibile la mera intenzione di instaurare un regime tirannico, tuttavia equipara alla tirannide anche l'intenzione, quando sia concretata nel compimento di atti preparatori. Nel de tyranno trova asilo anche il tema della guerra giusta, che la tradizione giuridica connotava dall'assenso del potere superiore, una giusta causa e una retta finalità (unica eccezione era data per la guerra di difesa, per la quale non occorreva l'assenso del superiore e le altre due condizioni erano implicite). Il tema si ripropone in Bartolo in relazione alla vacatio dell'imperatore, e quindi all'impossibilità di avere l'assenso dell'Imperatore con la conseguente nascita di poteri tirannici di fatto: per lui sono legittimi sia la resistenza al tiranno, sia il suo abbattimento fino al tirannicidio, a condizione che non sia possibile ricorrere alpotere superiore e che si persegua la pubblica utilità e non un fine personale. In questa ricostruzione, quindi, la pena per il tiranno può essere inflitta, in assenza di un potere superiore, da qualsiasi cittadino. Bartolomeo ArcPSD|7389389 suddivide la tirannia in due grandi categorie generali, avendo riguardo alla modalità in cui il fenomeno può riscontrarsi.
- Forma manifesta, che si distingue in:
- Tirannia ex defectu titutli, ossia per mancanza della titolarità o del potere, per illegittimità del suo conferimento, per esercizio dopo la revoca. Riguardo a tale forma è prevista la pena di morte e la nullità di tutti gli atti compiuti.
- Tirannia ex parte exercitii, ossia per illegittimità dell'esercizio del potere da parte del legittimo titolare, a causa di abuso o interesse privato e, in generale per violazione dello statuto della propria giurisdizione. Gli atti lesivi, in questo caso, non sono nulli.
bensìannullabili e cioè validi