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I 3 alienisti visitarono il Grandi, trovandolo nelle condizioni di "un fanciullo di 12 anni"; dopo
di che lo interrogarono: capirono che non aveva pentimenti e non si sarebbe vergognato in
assise (se non x avere i calzini rotti); inoltre notarono un "amor proprio esagerato e un
sentimento morboso di sè". Infine analizzarono gli scritti del Grandi, in cui egli diceva di
voler bene ai carabinieri e al giudice Satti xche lo avevano portato via dall'Incisa (dove
altrimenti lo avrebbero ammazzato).
14 settembre 1875
La mattina dopo, Morselli era di nuovo alle Murate: voleva rivederlo, da solo, e si era portato
i suoi strumenti.
Dalle sue misurazioni non sarebbe risultato nulla di anormale (le cifre non differivano gran
che dalle medie). Dalle guardie, venne a sapere che il Grandi -fin dai primi giorni- era
tranquillissimo: leggeva, scriveva e cantava.
Morselli continuò a visitarlo di tanto in tanto, finchè -il 17 febbraio 1876- affermò che nel
Grandi era sopraggiunta la pubertà; e al cambiamento fisico corrispondeva un cambiamento
morale: l'indifferenza era stata sostituita dal timore x il futuro, tracce di rimorso e dolore
-> sembrava -finalmente- destarsi in lui una qualche coscienza.
Tuttavia, occorreva anche -come x ogni malato- ricostruire l'anamnesi; x questo, Morselli si
era recato personalmente all'Incisa x sapere cosa si pensasse del Grandi Callisto: venire a
sapere quale fosse la reputazione di Carlino non era difficile, ma le 2 prove (giudizio popolare
e verità scientifica) non si equivalevano e alla giustizia occorreva il verdetto della scienza
(non il parere del volgo).
Quando si decise di interpellare gli specialisti, gli avvocati Galardi e Papasogli si rivolsero
proprio a Livi e Morselli, affiancati dallo psichiatra Bini. A quel punto, l'accusa dovette
pensare a cercare qualcuno che la vedesse all'opposto: medici fiorentini non ve n'erano
-riferì Morselli- (erano quasi tutti d'accordo con loro 3); quindi, dopo mesi, la corte si rivolse
al professor Giuseppe Lazzaretti e con lui, accettò la nomina a perito anche Carlo Morelli.
Dopo che gli fu assegnata la causa sull'uccisore dei bambini -il 12 novembre 1875- il cavalier
Mori Ubaldini avrebbe dovuto interrogare l'imputato al massimo 24 ore dopo il suo arrivo in
città (del 1 settembre), invece ci andò solo il 7 febbraio: un ritardo di mesi dipendente da
non si sa quali ragioni. Inoltre, Mori Ubaldini non sentì nemmeno l'urgenza nè il bisogno di
conoscere da vicino chi andava a giudicare, infatti spicciò l'interrogatorio in pochi minuti e
poche domande; nonostante il presidente avesse il diritto di cercare altre info, che gli
sembravano utili, egli non approfittò affatto di questo potere.
Nella corte, il presidente Mori Ubaldini era affiancato da Filippo Petrucci e Agostino Bonini
(2 semplici giudici del tribunale).
Questione sull'infermità (o meno) mentale del Grandi:
tanto più si andava avanti nell'iter processuale, tanto più era difficile dichiarare l'imputato
infermo di mente -e quindi non imputabile-, xche era impossibile fare un processo a un pazzo.
Perciò, il dubbio sullo stato di mente doveva essere affrontato subito, nella fase iniziale e x
questo scopo esistevano degli appositi periti: la pazzia al momento del giudizio era di
competenza dei giudici togati; la pazzia al momento del crimine era invece di competenza del
giurì. Nel caso di Carlino, occorreva anche considerare la possibilità che l'imputato pazzo lo
fosse stato al momento del crimine, ma non quando fu interrogato dal Satti.
Su questo tema, i primi testimoni chiamati in aula furono Giovanni Melegari e Agostino Satti
(decisione approvata da Mori Ubaldini, ma che destava generale perplessità, xche sarebbero
dovuti rimanere neutrali):
-il primo non si presentò in aula;
-Satti fu invece il primo fra tutti i testimoni: disse che il Grandi aveva sempre goduto della
pienezza delle sue facoltà mentali e che in nessun momento del processo aveva avuto dei
dubbi
Altri testimoni:
-dottor Migliarini: disse di essere stato interrogato varie volte dalla famiglia dell'imputato,
che lo voleva chiudere in manicomio
-don Fabio Somigli, parroco del paese: disse di aver visto varie volte il Grandi in uno stato di
straordinaria agitazione
Il professor Carlo Livi volle porre qualche domanda al Satti: infatti, non sapeva capacitarsi
che quest'ultimo non avesse nemmeno mai sospettato di trovarsi di fronte ad un pazzo (dopo
che era stato proprio il Satti ad accompagnarlo alle Murate). Ma Satti rimase sulla sua via,
convinto che il Grandi era perfettamente responsabile delle sue azioni, le prove erano non
aver tentato il suicidio (gesto assolutamente insano) e avere paura della morte (infatti aveva
ringraziato i carabinieri che lo avevano portato via dall'Incisa).
In conclusione, soltanto alla corte toccava decidere l'imputabilità. Il codice penale, anzichè
definire l'imputabilità, si limitava a indicare le situazioni in cui essa si verificava; nella
legislazione toscana queste erano "la coscienza dei propri atti e la libertà di elezione". Ma le
cose cambiavano per il codice penale italiano, che considerava non imputabile chi presentava
"imbecillità, pazzia o morboso furore".
Cmq, il parere più diffuso fra i magistrati era che nè dalla scienza nè dalle leggi provenivano
criteri stabili e sicuri x verificare se la pazzia di un accusato fosse vera o simulata.
Inoltre, molti psichiatri -fra cui Livi e Bini- consideravano inaccettabile l'ipotesi di parziale
infermità mentale (ossia il limitare la presenza dell'infermità al momento in cui sono stati
commessi i delitti); tutto questo era coerente con la scelta processuale seguita, ma non con
la diagnosi dei periti della difesa. Evidentemente, non era facile trovare un accordo fra
specialisti di diverse discipline, nè tanto meno lo era interagire con i testimoni (specie
quando si trattava di persone x niente istruite).
Altre testimonianze:
-la sua famiglia lo riteneva infermo di mente;
-il muratore Simone Pellegrini assicurò che a ordinargli di non lastricare l'intero pavimento
della bottega era stato il padrone del fondo (non il Grandi);
-il falegname, che disse di aver notato nel Grandi alcuni segni esteriori di disordine mentale.
Ad accusare il Grandi di infermità mentale c'erano invece le guardie carcerarie; Chiarino
Chiarini, stimato medico carcerario
-il maestro Paolo Scoti (convocato da Mori Ubaldini, x conoscere l'intelligenza e l'istruzione
dell'imputato fin dalla gioventù) -> non si lamentava di Carlino: a parte il suo carattere
permaloso e vendicativo, non aveva mai notato nessuna imperfezione nelle sue facoltà
mentali, anzi -in alcuni casi- era anche superiore ad altri scolari
-un altro maestro, Luigi Simoni (predecessore di Scoti) rese una testimonianza opposta -che
Mori Ubaldini non fece verbalizzare: non era pazzo, però era tardo e a imparare ci metteva
molto più degli altri.
A questo pto, l'avvocato Galardi chiese che fossero esaminati gli scritti del Grandi, ma il
pubblico ministero Dini si oppose (nonostante la difesa li considerasse molto importanti x la
diagnosi dei periti), Mori Ubaldini fu d'accordo con lui -in nome di formalità procedurali- e
quindi i fogli vennero restituiti a Carlo Grandi. La difesa e Carlino stesso (alquanto orgoglioso
dei suoi scritti) protestarono.
7 febbraio 1876 ->
In carcere, il detenuto Grandi non pensò a scegliersi un avvocato; 2 difensori sarebbero
stati nominati dalla corte d'appello di Firenze, a oltre 5 mesi dall'arresto.
Il 23 agosto 1876, Mori Ubaldini elesse 2 medici, da ascoltarsi "relativamente alle
condizioni mentali dell'accusato". L'apertura del processo venne fissata per il 15 settembre
1876; tuttavia, ci fu un ulteriore rinvio, dovuto al Prof. Morselli, obbligato ad assentarsi da
Firenze a causa di un "grave incomodo" non specificato. Altri 3 mesi trascorsero, e fu così
che il dibattimento pubblico si aprì il 18 dicembre 1876.
Qualche mese prima (il 21 settembre 1876) anche il Martinati era andato alle Murate e
aveva posto diversi interrogativi al Grandi (principalmente con lo scopo di conoscere l'origine
dei suoi pensieri e sentimenti); inoltre, il Martinati aveva scorto anche una connessione fra le
deformità di Carlino: guercio dall'occhio sx, anche il piede sx era difettoso.
2 erano -nel dicembre 1876- i processi affidati a Yorick (avvocato, oltre che giornalista) dal
direttore de La Nazione: fra questi, quello di Callisto Grandi, che attirava l'attenzione di
persone di ogni ceto sociale. Essendo al cronista vietato -dall'art 49- di riferire le
deposizioni sentite in aula, Yorick escogitò degli ingeniosi stratagemmi x riferire cmq quanto
aveva sentito durante il processo (testimonianza indiretta): ad esempio, faceva finta di aver
sentito i periti al caffè.
Il detenuto era e rimaneva un assassino; tuttavia, nel corso del processo, qualcuno cambiava
opinione; così sarebbe accaduto anche all'avvocato Pietro Ferrigni/ Yorick (la cui parola
aveva una notevole influenza sul pubblico). Cmq, Yorick non voleva soltanto presentare una
carrellata di testimonianze su fatti ormai chiari: fin dall'inizio, presentò il caso da 2 punti di
vista incompatibili, facendo notare come -nei 2 casi- le stesse prove variassero di senso. Il
punto centrale del dibattimento -secondo Yorick- era capire se i pazzi sono capaci di pensare
e, x questo, il conflitto andava risolto fra scienza e giustizia.
Yorick lodò sia il professor Carlo Livi che Francesco Bini; mentre invece x Carlo Morelli e
Giuseppe Lazzaretti non scrisse una sola parola positiva. Nessuna parola invece era stata
spesa sui giudici, che non rappresentavano -in aula- nessuna parte nè se stessi, ma solo la
Giustiizia.
Ciò che aveva dato veramente molto fastidio a Yorick fu il fatto che -pur partendo dallo
stesso punto e seguendo più o meno la stessa via- accusa e difesa arrivassero a 2 conclusioni
differenti (xche 'manovrati' da 2 parti diverse): secondo Sante Dini, x convincere la gente
che l'omicida fosse un pazzo da chiudere in un manicomio, non bastavano le prove presentate
dalla difesa nè il romanzo autobiografico scritto dal Grandi stesso; dall'altra parte, avvocati
e periti della difesa giudicavano fondamentale quel documento (che adesso si trovava sul
tavolo di Yorick).
18 dicembre 1876 -> Dibattimento in assise contro Grandi Callisto, "accusato di omicidio
premeditato e tentato omicidio"
(prima udienza)
Un migliaio e mezzo circa di persone erano venute apposta a Firenze x reclamare giustizia; di
faccia al pubblico, la corte: presieduta da Giorgio Mori Ubaldini -consig