vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
L SECOLO DEI CONSUMI INAMICHE SOCIALI NELL UROPA DEL OVECENTO
Capitolo1: L’utopia del consumo totale. L’evoluzione dei luoghi di consumo di Emanuela
Scarpellini
Se si osserva la storia di questi luoghi di consumi nel corso del tempo, si possono osservare due
aspetti interessanti:
1. essi seguono un’evoluzione abbastanza simile, all’interno delle società occidentali;
2. i luoghi dove avviene il rito del consumo subiscono la medesima evoluzione conosciuta della
merce.
La merce è divenuta simbolo per cui non compiamo liquori ma status sociale, non cosmetici ma
bellezza e giovinezza.
Le botteghe sono state una caratteristica del tessuto cittadino e la piazza del mercato è stata
spesso il punto d’incontro sociale più importante dell’intera comunità. Il negozio ha di solito un
affaccio sulla strada o sulla piazza. Al suo interno vi è una precisa separazione fisica fra lo spazio
riservato al pubblico e lo spazio riservato al venditore, spesso rappresentata da uno o più banconi
che dividono l’ambiente, assegnando al venditore una funzione centrale. Il negozio aveva spesso
una parte nascosta al pubblico dove si svolgeva un’attività di produzione artigianale. Tutta la sua
struttura, dunque, era funzionale: serviva alla vendita, ma anche alla produzione e allo stoccaggio,
e l’aspetto estetico non era rilevante. Il consumatore entrava in tali luoghi per rispondere a
un’esigenza specifica, l’approvvigionamento dei beni per soddisfare i bisogni, e prendeva parte
anche ad un meccanismo di scambio e incontro sociale.
A Parigi, con la realizzazione dei primi passages, si pensa di affiancare un buon numero di negozi
raffinati a luoghi di socializzazione per creare uno spazio commerciale di grande attrazione.
Nascono così le gallerie commerciali coperti, i passages appunto, che erano costruiti secondo uno
stile architettonico moderno ed erano ben illuminati. In un certo senso essi rappresentavano un
ambiente “protetto”, sicuro e quasi privato, ma nello stesso tempo erano anche un luogo pubblico e
sociale. Questi luoghi furono importanti per la circolazione delle idee e l’elaborazione di programmi
sociali e politici. Con il tempo divennero sempre più grandi e maestosi, sacrificando in parte
l’aspetto commerciale che aveva salutato la loro nascita.
Il miglioramento delle comunicazioni consentì la formazione di mercati nazionali: la merce non era
più prodotta e consumata localmente, ma poteva essere rapidamente spostata a grandi distanze e
venduta in tutte le parti del paese. Il contemporaneo sviluppo industriale portò per la prima volta a
produzioni di massa. Si affermarono così grandi produttori che imposero sul mercato le loro
marche grazie alla pubblicità. Il primo grande magazzino fu creato a Parigi nel 1852 e in pochi
anni apparvero altri empori simili. Alla fine dell’Ottocento il modello dei grandi magazzini si era
completamente affermato. Questi empori erano diventati una caratteristica delle grandi città e
un’attrazione turistica. Le facciate esterne sono ricche e decorate. Le ampie finestre-vetrine rivolte
verso la strada sono addobbate. Le porte d’entrata sono ampie e sempre aperte. La figura del
venditore, prima centrale, ora quasi compare, assumendo semmai la funzione di assistente e
consigliere. Il successo delle nuove forme di vendita risiedeva nel realizzare alti profitti non tramite
prezzi elevati, ma grazie a grandi volumi di vendite favorite dai prezzi bassi. Un elemento
fondamentale di queste strutture di vendita era costituto dal prezzo fisso. Per un’organizzazione
come quella dei grandi magazzini era impensabile affidarsi a un prezzo lasciato all’abilità dei
commessi, con relativo impiego di tempo nella contrattazione. Anche i clienti si mostrarono
soddisfatti dell’adozione del prezzo fisso che, insieme all’ingresso libero senza obbligo di acquisto,
rendeva psicologicamente meno impegnativa l’entrata nei grandi magazzini. Era infatti possibile
studiare e valutare con calma i diversi articoli. Nacque così l’uso di “fare shopping”, cioè impiegare
il proprio tempo all’interno di questi luoghi di consumo, talvolta senza effettuare acquisti. All’inizio
del Novecento la struttura della grande distribuzione conobbe varie trasformazioni, proponendo
forme più semplici e lineari. La teatralità cominciava a lasciare spazio alla funzionalità. Ebbero
grande sviluppo le catene di negozi che proponevano un modello di negozio più semplice e di
minori dimensioni. Figlio delle difficoltà economiche fu poi un particolare tipo di catena di negozi, il
magazzino a prezzo unico. Si trattava di empori rivolti specificatamente ad una clientela meno
abbiente, che offrivano una vasta gamma di prodotti ad un unico prezzo. I locali erano arredati
modestamente e la merce era ammassata sugli scaffali.
I supermercati moderni sono il frutto dell’epoca della grande depressione e si basano su due
elementi fondamentali: il self-service e i prezzi bassi. La struttura di questi primi supermercati era 1
molto semplice: si trattava di un grande ambiente unico con pareti, soffitti e pavimenti spogli e privi
di decorazione, luci diffuse, con scaffali disposti ovunque pieni di merci accatastate. Quando
migliorò la situazione economica iniziarono ad apparire supermercati con un arredo più curato. In
Europa la diffusione dei supermercati fu relativamente veloce. Il supermercato si configura come
un importante luogo d’incontro sociale e il senso di freddezza dei suoi arredi è contrastato dai
colori vivaci dei prodotti, disposti su lunghe file per creare l’impressione di grande abbondanza. Il
supermercato infatti è lo specchio di una società uscita da gravi crisi e da due guerre mondiali ed
entrata in un periodo di grande crescita economica. Un’altra novità fu che per la prima volta era
l’intera famiglia a recarsi a fare la spesa. Tradizionalmente erano le massaie a compiere gli
acquisti nei negozi. Il supermercato non era percepito come un semplice negozio dove
approvvigionarsi, ma un luogo dove soddisfare la curiosità, svagarsi, vivere un’esperienza in
qualche modo positiva insieme a tutta la famiglia. Le idee di esperti di marketing contribuirono a
creare il modello di supermercato razionale ma esteticamente curato che conosciamo oggi. Oltre ai
supermercati si è sviluppato il discount. L’ipermercato consiste in una sorta di supermercato di
grandissima superficie, posto alla periferia della città, che comprende anche numerose tipologie di
alimenti a basso prezzo.
A partire dagli anni Cinquanta una nuova tipologia commerciale appare negli Stati Uniti: gli
shopping centers. Essi coinvolgono fasce di popolazione con un reddito abbastanza elevato e
che potevano disporre di un’automobile per spostarsi dal nuovo luogo di abitazione al posto di
lavoro in città. La struttura riprendeva la forma del centro cittadino, con vie pedonali che si
incrociavano, piazzette centrali, fontane e verde, e i negozi allineati lungo le vie. I centri
commerciali erano completamenti coperti e dotati di aria condizionata. Gli shopping centers
rimanevano aperti con orario continuato fino a tarda sera, favorendo lo svolgimento di iniziative
ricreative a carattere non commerciale: concerti, spettacoli, mostre. Non mancarono anche vittime,
prime fra tutti i primi commercianti del luogo. L’attività dello shopping si legò sempre di più a quella
del divertimento, facendo registrare il maggior numero di presenze di sera e soprattutto nel fine
settimana, quando la famiglia si recava a “trascorrere” insieme il suo tempo libero nei centri
commerciali. I concept stores rappresentano l’ultimo sviluppo delle catene di negozi: essi non si
limitano a vendere i prodotti di una certa impresa, ma sono studiati nei minimi particolari, dalla
vetrina all’arredamento interno, per “vendere” uno stile di vita. Alcuni esempi sono Nike Town,
Disney Store, Virgin o Feltrinelli. Se lo shopping centers è enorme, caotico e tendenzialmente
rivolto a tutti, il concept stores è ricercato, mirato a un preciso target di clientela e a promuovere il
brand.
Capitolo2: Le teorie del consumo di Paolo Capuzzo
L’“ancien régime del consumo” consiste in un ordine che attribuiva a ciascuna categoria sociale
degli standard di consumo. La polemica contro il lusso evidenziava i pericoli di “sovversione”
sociale, impliciti nell’estensione dei consumi tradizionalmente destinati soltanto ad élite
aristocratiche.
In Francia, tra Seicento e Settecento, Melon parla del lusso come di una risorsa per la ricchezza
nazionale e del buon governo come di qualcosa ben lontano dalla virtù. Voltaire pone l’accento
sulla rivoluzione dei valori che l’apprezzamento del lusso comportava. I due filoni di pensiero
confluivano nel neomercantilistico, che rivalutava la funzione economica del lusso, e quello
dell’esprit nouveau, che rivalutava la vita mondana rispetto a quella di fede. Si celebrano la
ricchezza e il lusso come strumenti di ascesa sociale. Diderot era d’accordo, il lusso poteva essere
utile, ma andava inserito in un progetto sociale. Il lusso mobilita l’economia, ma deve venire venire
temperato da equità e moderazione. Per Hume il lusso è un elemento di civilizzazione che traina
l’economia, sviluppa i commerci ed estende i benefici su “molti”.
Nell’Ottocento lo studio dei consumi si sposta da un ambito etico-normativo a uno sociologico-
statistico. Si trattava di studiare le famiglie operaie nelle loro strategie di consumo, di analizzarne i
modi e di intervenire successivamente per orientarne le abitudini. Si cercava di valutare
quantitativamente la mortalità del consumo operaio. Sebbene queste prime indagini quantitative
fossero fortemente gravate da propensioni moralizzatrici, esse rappresentano un passo importante
perché fanno entrare la statistica nel discorso del consumo. Preoccupazioni specifiche
riguardavano la minaccia rappresentata dall’emergente cultura commerciale per le donne.
Principale fonte di apprensione sociale, riguardo agli effetti del grande magazzino sulle clienti, era
2
rappresentata dalla presunta diffusione della cleptomania. In questo contesto, il grande magazzino
diventò il principale imputato, perchè il suo consapevole utilizzo della dimensione irrazionale ai fini
commerciali indeboliva la capacità di autocontrollo delle donne. Il grande magazzino era visto
perciò come un ambiente che spingeva ad abbassare, o addirittura ad annullare, le normali riserve
morali. Questa rappresentazione negativa della cultura commerciale è stata superata grazie
all’opera degli imprenditori del commercio, dei pubblicitari e dei giornalisti di moda che hanno
ricostruito un’immagine di