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Bretagna, garante dell’indipendenza del Belgio, dichiarò guerra alla Germania; il 23 agosto il Giappone si
schierò a fianco dell’Intesa. Nel 1915 Turchia e Bulgaria entrarono in guerra al fianco degli Imperi centrali,
mentre l’anno successivo Portogallo e Romania si schierarono con l’Intesa. L’Italia non venne consultata
da Vienna al momento dell’ultimatum alla Serbia, e data la natura difensiva della Triplice Alleanza, dichiarò
la propria neutralità. Il capo del governo Salandra optò per il non intervento sostenuto anche dalla maggior
parte delle forze politiche (soprattutto Giolitti sosteneva che proprio grazie alla neutralità avremmo ottenuto
le terre irredente del Trentino, dell’Alto Adige e del Friuli Venezia Giulia). Il fronte minoritario interventista fu
però molto più aggressivo e convincente, contando sulla presenza di nazionalisti, associazioni irredentiste,
alcuni appartenenti al sindacalismo rivoluzionario, il socialista Benito Mussolini (che per questa scelta fu
espulso dal partito), Vittorio Emanuele 3, lo stesso Salandra e il ministro degli esteri Sonnino. Grazie ad
un’interpretazione letterale dello statuto, che attribuiva al sovrano e al suo governo le decisioni di politica
internazionale, e per questo nell’aprile 1915 il ministro Sonnino firmò ad insaputa del parlamento e con il
solo avvallo del re e di Salandra, il Patto di Londra con Francia, Gran Bretagna e Russia. L’Italia
s’impegnava ad entrare in guerra al fianco dell’Intesa e, in caso di vittoria avrebbe ottenuto il Trentino, il
Tirolo meridionale, la Venezia Giulia, la penisola istriana eccezzion fatta per Fiume, una parte della
Dalmazia e Valona in Albania. Di fronte all’opposizione del Parlamento, chiamato a ratificare il trattato,
Salandra si dimise, ma ottenne immediatamente il reincarico da parte del sovrano. La chiara volontà di
Vittorio Emanuele 3 di proseguire sulla strada dell’intervento e le imponenti manifestazioni di piazza
finirono per piegare il Parlamento e il 23 Maggio l’Italia dichiarò guerra all’Austria.
Nel 1889 venne creata la Seconda Internazionale e fu convocata per la prima volta 2 anni dopo al
Congresso di Bruxelles, dove i rappresentanti decisero di estromettere gli anarchici per non ricreare le
tensioni che avevano portato al fallimento la Prima Internazionale. La Seconda Internazionale si limitò a
svolgere una funzione di coordinamento frai i partiti socialisti dei diversi paesi; pur non avendo una struttura
rigida, emersero diverse anime e correnti del socialismo: quella rivoluzionaria di Rosa Luxemburg, quella
marxista ortodossa di Karl Kautsky fino alle posizioni riformiste o revisioniste di August Bebel. Si
delinearono così diversi orientamenti su come affrontare il difficile nodo del rapporto tra appartenenza
nazionale e ideologia internazionalista, una parte dei socialisti voleva che questo organo fosse una “più
grande patria” in cui vigesse il rispetto reciproco e garante della composizione dei contrasti e della tutela
della pace. In occasione dello scoppio della Grande Guerra tutti i partiti socialisti al di fuori di quello russo,
serbo e italiano, si erano schierati al fianco dei rispettivi governi dimostrando come, di fatto, la solidarietà
nazionale prevalesse su quella di classe e ciò portò al sostanziale smembramento della Seconda
Internazionale durante la guerra. Nel caso italiano, l’unica adesione socialista alla linea di governo fu quella
di Mussolini, inizialmente propugnatore di una “neutralità attiva ed operante” (come si legge sul suo
giornale “Avanti!”), ma poi apertamente critico con l’ostentato pacifismo socialista. Fu per questo espulso
dal partito, fondò il suo quotidiano “Il Popolo d’Italia” che fino al 1918 mantenne l’intestazione “quotidiano
socialista”. Il resto del partito socialista italiano si collocò sulla posizione del “né aderire, né sabotare” che il
segretario Costantino Lazzari coniò nel 1915. Nel settembre 1915 si tenne in Svizzera, una Conferenza
internazionale a cui parteciparono i partiti socialisti, ed in questa occasione, dove si fecero conoscere i
bolscevichi, venne approvato un documento in cui si chiedeva una pace “senza indennità né annessioni”,
mentre non passò la mozione di Lenin di trasformare la guerra imperialista in guerra di classe. In Germania
nel 1916 le divisioni interne al partito socialista si evidenziarono nella fuoriuscita dal partito di Rosa
Luxemburg che fondò la Lega di Spartaco, attestata su posizioni rivoluzionarie e antimilitariste.
Dopo l’invasione di Belgio e Lussemburgo nell’agosto 1914, le truppe tedesche guidate dal generale
Helmuth von Moltke dilagarono rapidamente in Francia e si spinsero quasi a Parigi, ma nelle prime
settimane di settembre i francesi riuscirono a fermare l’avanzata tedesca lungo il fiume Marna. Fallito il
progetto tedesco di una guerra lampo, iniziò così la guerra si posizione, che nessuno si aspettava né aveva
mai vissuto. L’esercito russo, dopo aver tentato invano di invadere la Germania, fu sconfitto nelle battaglie
di Tannenberg e dei laghi Masuri. Nell’agosto del 1915 i russi dovettero abbandonare buona parte della
Polonia e la Serbia, attaccata a novembre dalle truppe di Austria e Bulgaria, venne completamente mente
occupata. L’intervento della Romania al fianco dell’intesa, nell’agosto del 1916, si risolse in un completo
fallimento e il paese venne rapidamente invaso e conquistato dagli Imperi Centrali. Nel mare del Nord la
Gran Bretagna cercava di bloccare i rifornimenti diretti alla Germania, che in risposta intraprese un uso
indiscriminato di sommergibili. Nel maggio 1915 un sommergibile tedesco affondò il transatlantico inglese
Lusitania che ospitava passeggeri americani, le proteste negli Stati Uniti furono così energiche che i
tedeschi, temendo un intervento in guerra degli usa, abbandonarono temporaneamente la guerra
sottomarina indiscriminata. Nel 1915 le truppe italiane, comandate dal generale Luigi Cadorna non
ottennero successi nelle offensive lanciate contro gli austriaci lungo l’Isonzo, mentre nel Maggio-Giugno del
1916 le truppe austriache misero in serie difficoltà le truppe italiane in una spedizione punitiva (per il
passaggio all’Intesa), che gli italiani fermarono sull’altipiano d’Asiago. Le truppe tedesche, da febbraio a
giugno 1916, attaccarono la zona di Verdun in Francia, ma senza successo, come sostanzialmente inutile
fu la controffensiva anglo francese lanciata nella regione del fiume Somme. Divenne evidente, dato
l’enorme costo in vite umane, che non si sarebbe arrivati ad una pace separata, ma ad una vittoria sul
campo dello Stato che si sarebbe fatto logorare meno dal passare del tempo. Nel agosto 1917 a Torino la
carenza fi generi alimentari suscitò una vera e propria sommossa popolare; nel maggio si erano ammutinati
i marinai della flotta russa del Baltico; ma la situazione peggiore era nell’Impero asburgico dove alle
difficoltà militari si sommavano i conflitti etnici e per questo il nuovo imperatore Carlo 1 cercò di ottenere
una pace separata, ma senza successo. La rivoluzione bolscevica portò il paese all’uscita dalla guerra,
sancita dal trattato di Brest-Litovsk del 3 marzo 1918. Altro evento determinante fu, all’inizio di aprile,
l’entrata in guerra degli Stati Uniti, a cui seguì quello di diversi paesi dell’America centrale e meridionale,
ingresso dovuto alla ripresa della guerra sottomarina indiscriminata da parte dei tedeschi (unita alla
necessitò di tutelare i capitali finanziari prestati alle potenze dell’Intesa). la smobilitazione della Russia
permise agli eserciti di Germania e Austria di destinare ingenti rinforzi contro le linee italiane, che il 24
ottobre furono attaccate sull’Isonzo e sfondate nei pressi di Caporetto, e l’esercito italiano, dimezzato,
dovette ritirarsi sul Piave. Le truppe italiane passarono al comando di Armando Diaz e resistettero sul
Piave e sul Monte Grappa, impedendo ai tedeschi di giungere nella Pianura Padana. Tra marzo e giugno
1918 i tedeschi si spinsero fino alla Marna e in prossimità di Parigi, ma furono costretti ad indietreggiare a
causa della controffensiva delle forze dell’Intesa guidate dal generale francese Ferdinand Foch. Le truppe
italiane, con la battaglia di Vittorio Veneto, tra ottobre e novembre riuscirono a sfondare le difese
austriache, costringendo l’Austria-Ungheria all’armistizio, che fu firmato il 4 novembre 1918. In Germania
erano scoppiate numerose rivolte, che indussero Guglielmo 2 a lasciare il paese per recarsi in Olanda.
Anche l’Impero ottomano si era arreso a fine ottobre. La guerra si concluse ufficialmente l’11 novembre
1918 (con un bilancio fra gli 8 e i 9 milioni di morti), quando a Rethondes, in Francia, il governo provvisorio
tedesco firmò il duro armistizio imposto dai vincitori: la Germania doveva consegnare l’armamento pesante
e la flotta, ritirare le proprie truppe oltre il Reno, annullare i trattati con la Russia e la Romania e restituire i
prigionieri di guerra (a ciò verranno poi aggiunti 132 miliardi di marchi d’oro di riparazioni da pagare).
Russia: Il 30 luglio 1914 lo zar Nicola 2 firmò l’ordine di mobilitazione dell’esercito e la maggior parte delle
forze politiche presenti nella Duma votò i crediti di guerra, mentre contrari rimasero solo le diverse
formazioni socialiste. Il socialrivoluzionario Aleksandr Kerenskij, fautore di una lotta contro il nemico
esterno che però non s accompagnasse a compromessi col governo zarista era una delle voci del
socialismo, che però non rappresentava un blocco unito. Il governo si trovò presto a dover far fronte
all’inadeguatezza dell’esercito, che puntava ad una guerra di soli 3 mesi. Le sconfitte militari e la mancanza
di una salda guida politica acuirono quindi, nel corso del 1916, le preoccupazioni della maggioranza della
Duma. All’inizio del 1917 lo zar schierò l’esercito per reprimere una sommossa, ma le truppe si
ammutinarono e addirittura Pietrogrado il 27 Febbraio, i soldati si unirono agli operai in sciopero. Alcuni
deputati della Duma diedero vita a un comitato dal quale sarebbe scaturito il governo provvisorio, guidato
dal principe Georgij L’vov, nel frattempo gli insorti avevano preso il controllo della capitale e dato vita a dei
soviet egemonizzati politicamente dai menscevichi. Lo zar Nicola 2 decise di abdicare, lasciando il trono al
fratello che tuttavia vi rinunciò: il 3 marzo 1917 aveva così fine la dinastia Romanov. Il governo provvisorio
era favorevole ad instaurare una democrazia parlamentare e a proseguire la guerra, ma spesso questo
governo, che formalmente deteneva tutto il potere, si trovò scavalcato dalle decisioni del Comitato
esecutivo dei soviet.