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L’ORA DELLA VIOLENZA INSURREZIONALE
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I leader della Resistenza si erano ampiamente confrontati sul nodo dell’epurazione, in modo da
farsi trovare pronti al momento opportuno e dimostrare agli Alleati di saper gestire
autonomamente il temporaneo vuoto di potere e di riuscire a garantire una giustizia esemplare.
22 aprile: stabilita la costituzione a livello provinciale dei tribunali di guerra e delle corti
d’assise del popolo, strumenti tipici dei periodi post-dittatoriali, quando prevale l’esigenza di
incarnare lo spirito di una nuova coscienza sociale e nazionale. In una parte del mondo
partigiano era vivo il timore che il rinvio ai tribunali e alle corti d’assise potessero inficiare
l’azione di pulizia: si decise di sviluppare l’epurazione in tempi diversi. Infatti, al momento
dell’insurrezione si procedette contro i responsabili di violenze antipartigiane, i criminali di
guerra, le spie; solo in una seconda fase si procedette, con rapidi processi, contro i fascisti
arrestati al momento della resa.
La fase insurrezionale, pur con tutte le dinamiche connesse ad un trapasso di poteri di quella
natura, si svolse sotto il sostanziale controllo degli organismi politici e militari, tanto che furono
gli Alleati stessi a riconoscerne i meriti.
Gli ambienti resistenziali, vicini al Partito comunista e al Partito socialista, maturarono
abbastanza presto la convinzione che si dovesse sfruttare la situazione creatasi dopo il crollo
tedesco per togliere dalla circolazione i principali esponenti del passato regime.
Le speranze di radicale rinnovamento sostenute al nord dai gruppi legati ai partiti della sinistra
dipendevano dalla risolutezza dimostrata in quei frangenti.
Nei giorni che precedettero la Liberazione, il CLNAI attuò alcuni provvedimenti, in vista
dell’insurrezione nazionale.
21 aprile: apposite direttive stabilirono la proclamazione dello sciopero generale e la
concentrazione di tutti i lavoratori nei luoghi di lavoro a difesa degli impianti.
23 aprile: direttive emanate dal CVL disposero l’ingresso delle formazioni nei grandi centri a
sostegno dello sciopero insurrezionale e per indurre con ogni mezzo il nemico ad una resa
senza condizioni.
Aprile-maggio 1945: avvenne la resa dei conti contro i fascisti, i collaborazionisti, le spie e tutti
i personaggi con cui si identificava il peggio del passato regime.
La violenza partigiana nei giorni della Liberazione fu sia lo sbocco di un progetto pianificato, sia
l’inevitabile esito del ventennio di dittatura e di tutte le sofferenze da esso causate.
LA CONTA DEI MORTI
È difficile stabilire con precisione quante delle esecuzioni messe in atto in quei frangenti
fossero l’esito del piano di epurazione concordato in precedenza e quante fossero, invece,
l’esito dell’iniziativa autonoma.
Nell’immediato dopoguerra i reduci della RSI hanno stimato, senza fornire dati certi di questa
stima, che il numero dei caduti fosse superiore ai 300.000.
Col procedere del lavoro storiografico, però, hanno trovato sempre maggiore sostegno
documentario un numero di caduti approssimativamente attorno ai 10-15.000, vittime della
guerra insurrezionale sviluppatasi nel nord tra l’aprile e il maggio 1945.
LE FOIBE
Le vittime della violenza della Liberazione del Paese non furono solamente quelle appena
citate, ma ad esse bisogna aggiungere le vittime del regolamento di conti avvenuto quasi
contemporaneamente nei territori italiani del confine orientale (Trieste, il Goriziano, l’Istria).
Morfologicamente le foibe sono delle manifestazioni tipiche del paesaggio carsico: si
presentano come delle fenditure, profonde anche svariate decine di metri; si tratta di aperture
che, per le loro caratteristiche, sono votate ad occultare materiale e che diventarono il tragico
luogo di raccolta di esseri umani durante le due successive ondate di violenza, la prima in
seguito all’armistizio del settembre 1943, la seconda coincidente con la fine della guerra nella
primavera del 1945.
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Settembre 1943: con il disfacimento dello Stato italiano sul confine orientale, ad essere colpita
fu soprattutto l’Istria interna dove l’oppressione nazionale operata dal fascismo contro la
componente slava si era legata ai conflitti sociali esistenti tra il mondo contadino croato e la
classe dominante italiana. La violenza si espresse come ritorsione contro l’amministrazione
italiana, considerata dispotica e prevaricatrice, ma anche come lotta di classe contro gli
imprenditori e la classe dirigente locale. Ad agire furono soprattutto le organizzazioni del
movimento di liberazione croato insediatesi nell’area. Le vittime di questa prima epurazione, a
cui seguì l’infoibamento furono probabilmente tra le 400 e le 600.
Primavera 1945: gli jugoslavi, vinta la ‘corsa per Trieste’ , insediarono dal primo maggio al 9
giugno un regime di occupazione della Venezia Giulia. Si assistette ad un’azione di rapida
liquidazione di militari, spie, appartenenti alle forze di polizia e alti collaboratori dei tedeschi
occupanti, ma anche cittadini con sentimenti filoitaliani, sloveni anticomunisti e persino alcuni
membri del CLN.
Persero la vita circa 5.000 persone, tra infoibati e vittime dei campi di internamento jugoslavi.
Secondo altre stime, che tendono ad inserire nel computo generale anche i caduti giuliani e
dalmati del periodo successi all’8 settembre 1943, le vittime di quella fase di violenza furono
10-12.000.
L’EPURAZIONE NEI TRIBUNALI
I vertici della Resistenza avevano predisposto un Alto commissariato per le sanzioni contro il
fascismo, presieduto dal liberale Carlo Sforza.
I primi mesi del 1945, però, furono caratterizzati da un’inerzia abbastanza accentuata nel
campo delle sanzioni contro il fascismo nei territori progressivamente liberati. Nel periodo
immediatamente successivo alla Liberazione alcuni passi avanti furono invece compiuti. In
particolare, fu riorganizzato e rinnovato l’Alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo,
presieduto dal socialista Pietro Nenni. Fu risolta la questione della cessazione delle corti
d’assise e di cassazione straordinarie, che nei primi giorni di maggio avevano sostituito l’azione
dei tribunali militari e popolari. Venne disposto, al loro posto, il ripristino della magistratura
ordinaria.
14 luglio: viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale un provvedimento che stabilisce la “confisca
obbligatoria” dei beni per i colpevoli di delitti contro lo Stato e introduceva la “confisca
facoltativa” per chi si fosse macchiato di atti rilevanti.
31 luglio 1945: un decreto del governo dispose il trasferimento della competenza sulla
liquidazione dei beni del disciolto PNF (Partito Nazionale Fascista) dall’Alto commissariato per le
sanzioni contro il fascismo al ministero delle Finanze.
22 settembre: furono trasferite anche le competenze sull’accertamento dei profitti di regime.
Con un successivo decreto furono individuate come non punibili le persone che, pur avendo
avuto un passato fascista, si erano distinte nella lotta contro i tedeschi durante i venti mesi
della RSI. Ad es. il caso dell’amministratore della FIAT, Vittorio Valletta, che mentre trattava con
i tedeschi, aveva provveduto ad instaurare rapporti segreti con gli Alleati.
Molti dei maggiori industriali italiani, però, ottennero il proscioglimento. Emersero, inoltre, tutte
le contraddizioni di uno Stato che avrebbe dovuto attuare un’autoepurazione. (Noto è il caso
del Sovrano e di Badoglio che, pur essendosi compromessi col fascismo, non avevano ancora
subito alcuna punizione)
22 giugno 1946: Palmiro Togliatti promulga l’amnistia, liberando le carceri da buona parte dei
40-50.000 fascisti ed ex fascisti detenuti in seguito al giudizio dei tribunali. Questo fu l’evidente
espressione i un tentativo di pacificazione nazionale.
4. LE SPERANZE DI UN POPOLO
LE CONDIZIONI GENERALI
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Al dissesto finanziario si aggiunsero questioni legate all’ordine pubblico,
all’approvvigionamento delle risorse, alla ricostruzione delle case e delle infrastrutture, al
rapporto con gli Alleati, all’epurazione, le tensioni presenti in molte aree periferiche o di
confine.
Nonostante i vari problemi presenti nel Paese, vi erano, però, anche degli aspetti positivi: per
quanto riguarda l’economia, il Paese non si trovava in uno stato di disagio, anche per la
strategia attuata dagli Alleati tesa a risparmiare il potenziale degli stabilimenti industriali.
Le politiche autarchiche e di riarmo del regime avevano garantito un certo rafforzamento del
settore. Inoltre, durante la guerra e l’occupazione tedesca, l’economia italiana aveva
conosciuto un forte orientamento produttivo verso l’industria pesante (in particolare quella
meccanica) ed un diffuso processo di professionalizzazione.
In Italia, quindi, la crisi economica e sociale dell’immediato dopoguerra era dovuta
essenzialmente all’interruzione dei flussi di merci e servizi.
Il 1945 fu l’anno peggiore del dopoguerra per la produzione industriale a causa della mancanza
di materie prime, ma fu un anno molto grave per l’agricoltura, soprattutto nel centro-sud. Le
cause furono la forzata interruzione dei cicli di produzione, a causa dell’assenza di manodopera
e di macchinari agricoli, e le perdite subite dal patrimonio zootecnico.
I PROBLEMI POLITICI
La fine della guerra e la liberazione del Paese dai nazifascisti imposero l’esigenza di riscrivere,
dopo un ventennio di regime, le nuove regole di un moderno sistema democratico.
25 giugno 1944: il decreto luogotenenziale stabilisce che dopo la fine della guerra la scelta
delle forme istituzionali fosse rimessa al volere del popolo, attraverso l’elezione di
un’Assemblea costituente, e aveva affidato il potere legislativo al Consiglio dei Ministri, il quale
lo avrebbe potuto mantenere fino all’elezione del nuovo Parlamento.
A prevalere sin dall’inizio furono l’azione di freno derivante dalla regola d’accordo unanime fra i
partiti per l’adozione di qualsiasi decisione di rilievo e le pressioni di impronta conservatrice
esercitate dagli Alleati. A ciò si aggiunse l’estrema debolezza della cultura democratica del
Paese e l’estrema debolezza politica dei partiti che avrebbero dovuto dare forma alle istituzioni
del nuovo Stato. Questi partiti si configurarono più come partiti antifascisti che come forza di
governo, anche per la scarsa conoscenza della democrazia che il popolo aveva.
Dopo la fine della guerra, in Italia, come negli altri Paesi coinvolti nel conflitto, i cittadini
avevano il desiderio di dare sfogo ad aspirazioni e bisogni a lungo repressi: maggiore
aspettativa di consumo, crescente attenzione alla sfera privata. Quindi, non tutti auspicavano
un ampio rinnovamento politico e sociale, quanto piuttosto il desiderio di una vita “normale”.
A giocare un ruolo sf