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UN PARTITO DI MASSA
I dati sugli iscritti del PCI sono impressionanti. Dopo il 1945 e per buona parte degli anni ’50, il
partito ne contava circa due milioni, nel 1954 toccò ufficialmente il limite massimo di 2.145.327.
La cultura e la pratica dei comunisti trovavano espressione elle Feste dell’Unità, allestite in tutta
Italia, Il 1° maggio era la festa dei lavoratori e il 25 aprile il giorno della Liberazione, così come in
altre occasioni di anniversario, i comunisti scendevano in piazza in massa, per ricordare i loro caduti
I LASCITI DELLA GUERRA: TRIESTE
La guerra fredda e le tensioni nate dalla guerra e dal fascismo continuavano a segnare la vita ai
confini d’Italia. Il territorio contestato di Trieste era stato diviso in zone di occupazione delle potenze
vincitrici, come Berlino e Vienna. Ci furono momenti di forte tensione sul confine, specie
nell’ottobre-novembre 1953, quando Tito alzò la posta e minacciò l’invasione della Jugoslavia
Tito finì per accettare un compromesso e i confini vennero fissati. Trieste ritornò sotto la sovranità
italiana. Si arrivò finalmente all’accordo il 5 ottobre 1954, a Londra, ’assetto tenne e venne
confermato da ulteriori negoziati nel 1975. Trieste fu dichiarata “porto franco”. Finalmente finiva la
guerra anche a Trieste, 1956: IL DISCORSO SEGRETO E L’UNGHERIA
Per quanto riguarda il rapporto tra il PCI e l’Unione Sovietica, il 1956 fu un anno di svolta, con la
rivelazione del discorso segreto in cui Nikita Chruscev denunciava i crimini staliniani
I drammatici fatti di Ungheria di quello stesso anno suscitarono ulteriori turbolenze in tutto il mondo
comunista.
La prima reazione del PCI agli eventi ungheresi, fu un’ortodossa difesa dell’URSS. L’”Unità” scrisse
che “bisogna scegliere: o per la difesa della rivoluzione socialista o per la controrivoluzione bianca,
per la vecchia Ungheria fascista e reazionaria”.
Nell’ottobre 1956 un gruppo di influenti intellettuali comunisti inviò una lettera collettiva al
Comitato centrale del partito: sarebbe poi divenuta nota come “Manifesto dei 101”. Una volta
raccolte le firme, il “Manifesto” fu portato in redazione a l’”Unità”, chiedendone la pubblicazione e
l’apertura di un dibattito all’interno del partito sull’Ungheria. La richiesta fu respinta.
La lettera suscitò subito scalpore e i firmatari vennero accusati di tradimento: alcuni ritrattarono
subito.
I dati ufficiali indicano che nel 1956-57 il PCI perse circa 200.000 iscritti. Molti disertori del PCI
entrarono a far parte della “nuova sinistra” che cominciava allora ad affermarsi e ci fu anche chi
aderì alla destra
L’adesione del Partito Socialista al modello sovietico fu duramente colpita dai drammatici eventi del
1956. L’Ungheria innescò la rottura dei socialisti con il PCI e con lo stalinismo. Pietro Nenni, il loro
leader nel dopoguerra, condannò l’invasione del novembre 1956
IL CUORE D’EUROPA: ALTIERO SPINELLI, L’ITALIA E L’INTEGRAZIONE EUROPEA
L’Europa era stata in guerra due volte nella stessa generazione e in entrambe le guerre l’Italia era
stata in prima linea. Usciti dal conflitto, in molti volevano che ex alleati ed ex nemici di unissero per
evitare un’altra guerra. Non sorprende che l’Italia fosse al centro dell’ideale dell’integrazione
europea. Cruciale per l’intero progetto fu il ruolo di Altiero Spinelli.
L’isoletta di Ventotene, al largo della costa tirrenica tra Lazio e Campania, ospitò uno dei maggiori
centri di confino fascista. Spinelli vi fu internato e su quell’isola, insieme con il compagno
intellettuale antifascista Ernesto Rossi, scrisse il famoso Manifesto di Ventotene - titolo completo
Per un’Europa libera e unita: progetto d’un manifesto. Il testo sarebbe diventato un punto di
riferimento del movimento per l’unione europea
Secondo Spinelli e Rossi, un’Europa libera e unita è premessa necessaria per il potenziamento della
civiltà moderna, di cui l’era totalitaria rappresenta un arresto
con la caduta di Mussolini nel luglio 1943, Spinelli, Rossi e altri costituirono il Movimento federalista
europeo. Spinelli sarebbe diventato una figura chiave nella creazione di diverse istituzioni europee
Grazie a personaggi come Spinelli e all’esito contraddittorio della guerra (essendo né vincitrice, né
vinta), l’Italia divenne un paese decisivo nei processi che portarono all’integrazione europea. Fu uno
dei sei fondatori della Comunità economica negli anni ’50: il Senato approvò l’adesione alla
Comunità del carbone e dell’acciaio nel marzo 1952
IL DECOLLO: L’ITALIA NEGLI ANNI DEL BOOM
Lo definirono il miracolo economico, ma per altri era semplicemente “il boom”. Nei primi anni ’50
l’Italia era ancora un paese relativamente povero, ma alla fine del decennio era già partita la grande
trasformazione.
Si continuava a emigrare all’estero in cerca di lavoro, ma i movimenti di maggior rilievo erano
interni, verso le città industrializzate del nord
. Il boom interessò ogni aspetto della vita economica e sociale. Il miracolo rivoluzionò il linguaggio e i
ritmi di vita. La terra rimaneva incolta e la vita urbana divenne la norma. Tra il 1953 e il 1964
nacquero 10.860.000 bambini: i figli del baby-boom. L’Italia degli anni ’60 era irriconoscibile rispetto
a dieci anni prima
Un’offerta illimitata di manodopera a buon mercato e industrie capaci di produrre beni di consumo
economici da vendere su un promettente mercato di famiglie che ancora non avevano il frigorifero,
la televisione, l’auto o la lavatrice
ULTIMO ATTO? LOTTE CONTADINE E RIFORME NEL DOPOGUERRA
Proprio mentre andava scomparendo, il ceto contadino ottenne vittorie senza precedenti in tutto il
paese. Queste conquiste non fecero che accelerare la fine dell’Italia rurale come grande fonte di
impiego
si adottavano tattiche più innovative, come gli scioperi al contrario, lavorando gli incolti o
sistemando le strade in stato di abbandono
A seguito di queste lotte, nell’agosto 1950 la Democrazia cristiana istituì la Cassa per il Mezzogiorno,
un istituto che utilizzava fondi pubblici per creare e favorire lo sviluppo nel Sud. Non tardò a
diventare una fonte di clientele politiche e di corruzione
Gli anni ’50 videro anche la definitiva dispersione dei latifondi meridionali. La terra fu redistribuita
in base a criteri democratici, ma anche con metodi chiaramente mirati a rafforzare l’egemonia
democristiana. L’ESODO: STORIE DELLA GRANDE MIGRAZIONE
Ci fu il boom economico che tra la fine degli anni ’50 e i ’60 dette vita alla seconda grande
migrazione, che in larga misura rimase entro i confini nazionali. Per la prima volta nella storia, l’Italia
era in grado di offrire lavoro alla maggioranza dei suoi cittadini
Gli immigrati disponevano di un’unica arma efficace: il diritto di voto. I partiti politici guardavano con
grande interesse a questo nuovo elettorato fluttuante e non potevano ignorare del tutto le sue
esigenze. Si doveva averne cura, trovargli gli alloggi, dargli un’istruzione
In quegli anni nacquero molti miti sugli immigrati e i loro comportamenti. Imperavano gli stereotipi
e la discriminazione, soprattutto contro i meridionali, che venivano spesso legati a diverse forme di
criminalità. I padroni di casa esponevano cartelli di avvertimento: “non si affitta ai meridionali”
LA FINE DELL’ITALIA RURALE
Per secoli la vita familiare e lavorativa della vasta maggioranza degli italiani era stata determinata dai
tempi e dai processi produttivi dell’agricoltura
Nei vent’anni tra il 1951 e il ’71 l’Italia perse 5 milioni di lavoratori agricoli. Nel 1951 il 42% degli
italiani lavorava la terra, nel 1996 si era ridotto al 7%. Se ne andavano i contadini e arrivavano le
macchine: nell’Italia del 1957 c’erano soltanto 57.000 trattori, nel 1980 superavano il milione.
LA FINE DELLA MEZZADRIA
Dopo la guerra, i mezzadri conquistarono consistenti concessioni a seguito di uno sciopero. Nel 1947
ottennero di tenere per sé il 53% del prodotto, per tradizione era il 50 e nel 1964 la quota salì al 58%
senza precedenti. Ma la mezzadria era ormai in agonia. Il sistema mezzadrile non conveniva più né
alle famiglie, né ai proprietari. Con il crollo di quei sistemi molti lasciarono la terra. Nel 1964 fu
approvata una legge che vietava la stipula di nuovi contratti di mezzadria.
LA NOSTALGIA E I MESTIERI DI UNA VOLTA
La scomparsa degli stagionali negli anni del boom lasciò uno scenario magnifico ma desolato in cui
alle grandi aziende bastava ormai una forza lavoro minuscola che riusciva a gestire il ciclo produttivo
grazie alle macchine. SOLDI, SOLDI, SOLDI
Qualcuno fece profitti enormi con il boom. Si affermarono nuovi inventori e imprenditori. Esplodeva
la creatività e crollavano barriere e gerarchie: progettisti, architetti e scrittori collaboravano con
imprenditori e ingegneri.
Come, ad esempio, Giovanni Borghi aprì la sua prima fabbrica fuori Milano nel 1951. La società si
chiamava Ignis e lui fu soprannominato Mister Ignis. La Ignis fabbricava frigoriferi e lavatrici, i beni di
consumo durevoli indispensabili per le case del boom. La Ignis divenne una delle maggiori produttrici
di frigoriferi d’Europa, ad un certo punto ne sfornava 8000 al giorno
FABBRICHE E OPERAI
Le seconda rivoluzione industriale italiana (la prima era stata alla fine dell’800) che creò e
accompagnò il boom fu molto breve: di fatto finì che era appena incominciata. Ma fu un momento di
cambiamenti e sviluppi tumultuosi. Tra gli anni ’50 e ’70 le grandi fabbriche divennero ovunque un
aspetto caratterizzante del paesaggio. La nuova classe operaia diventò la materia prima, in quanto
insieme produttrice e consumatrice di merci
Il lavoro era logorante, il ritmo della giornata lavorativa era marcato dalle sirene, le innumerevoli
ciminiere eruttavano fumo. A fine turno a casa e subito a letto, il giorno dopo tutto si ripeteva di
nuovo. Il lavoro in fabbrica era duro, ripetitivo e spesso pericoloso, ma era anche sicuro e
relativamente ben pagato. Questi operai potevano fare acquisti e dar da mangiare alla famiglia. In
agosto le fabbriche chiudevano e si tornava al paese o si andava in vacanza
Com’era inevitabile, la sindacalizzazione e le dure condizioni di lavoro portarono proteste e richieste
di miglioramento. Scioperi e manifestazioni segnarono la fine degli anni ’50 e i primi ’60 nelle zone
più industrializzate UNA STORIA D’AMORE: GLI ITALIANI E L’AUTO
Prima degli anni ’50 le automobili erano ancora una rarit&