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7. LA NUOVA COMUNITÀ: DONNE E ORGANIZZAZIONI GIOVANILI
DONNE
Entrambi i regimi suddivisero la società in base al genere.
Nel 1920, il fascismo allontanò le donne dal mercato del lavoro.
Dal 1929 al 1933 i nazisti licenziarono dalla pubblica amministrazione le donne sposate ed
economicamente benestanti.
La donna moderna, libera dagli obblighi familiari e impegnata in un’attività fuori dalle mura
domestiche divenne il simbolo di quanto di funesto c’era nella visione borghese individualistica.
Attraverso testi scolastici, i film e la stampa, la famiglia rurale venne proclamata come ideale.
La battaglia contro il femminismo e l’uguaglianza tra i sessi andò di pari passo con la tendenza
antiurbana, anticonsumistica e reazionaria di entrambi i movimenti.
L’esclusione delle donne dal mondo del lavoro nel settore agricolo e operaio assunse caratteri
diversi rispetto a quello impiegatizio e operaio. Il regime fascista usò i tagli salariali per rendere
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la manodopera maschile più competitiva e una serie di sussidi di maternità e altri vincoli per
rendere quella femminile più onerosa e complicata da gestire per i datori di lavoro. I lavoratori
erano retribuiti in parte mediante sussidi familiari e prestiti per la casa e il matrimonio, spesso
concessi a condizione che la donna lasciasse il lavoro.
Negli anni Venti la legislazione fascista escluse le donne dall’insegnamento della storia, della
filosofia e delle lingue classiche, mentre all’inizio degli anni Trenta le donne non vennero più
ammesse ad alcuni concorsi statali.
In Germania, anche prima dell’ascesa del nazismo, le pressioni esercitate dai funzionari statali
di sesso maschile avevano determinato drastiche limitazioni delle assunzioni femminili nel
settore pubblico.
Nel 1937 il programma di prestiti matrimoniali fu condizionato alla rinuncia al lavoro da parte
della donna all’atto del matrimonio.
Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, la manodopera femminile era concentrata nel
settore dei beni di consumo, non nell’industria. Nel 1939 il regime impose un servizio
obbligatorio femminile per colmare i vuoti nell’agricoltura. Le organizzazioni sindacali naziste e
il servizio obbligatorio non riuscirono a vincere la riluttanza di Hitler a coinvolgere più donne sul
fronte del lavoro: fece di tutto per tenere le mogli dei soldati a casa.
Sia il regime fascista che quello nazista cercarono di ridurre il numero totale di studenti
universitari di ambo i sessi per controllare la mobilità: la riforma fascista della Pubblica
istruzione del 1923, al pari delle successive riforme naziste, mirò a limitare l’accesso
all’educazione universitaria; a metà anni Venti, però, il numero degli iscritti d’ambo i sessi
cominciò ad aumentare (nel 1938 un quinto delle lauree assegnate fu appannaggio delle
donne).
I nazisti negli anni Trenta si trovarono alle prese con la scarsità di personale tecnico e una
grave crisi nel settore scolastico dopo l’iniziale licenziamento di migliaia di insegnanti donne.
La frequenza universitaria sia maschile che femminile continuò a decrescere fino alla fine degli
anni Trenta; le studentesse divennero il 30% nelle università, nonostante il limite fosse del
10%, quando gli studenti maschi cominciarono a essere mobilitati all’inizio della guerra.
La politica nazista creò una maggiore richiesta di personale femminile in alcuni settori quali
quello medico, dove l’esigenza di incrementare i servizi rivolti alle madri e ai bambini aprì
nuove opportunità di lavoro per dottoresse e infermiere.
Nessuno dei due regimi chiuse del tutto le porte dell’università alle donne.
Entrambi i regimi promossero la formazione di sezioni femminili all’interno delle organizzazioni
sindacali: furono privi di qualsiasi influenza nella battaglia per i diritti economici delle donne
lavoratrici. Il regime preferì considerare le lavoratrici prima di tutto come donne e mogli
piuttosto che come membri della forza lavoro, in modo da indebolire la coscienza collettiva e
indurre le donne a considerare marginale il proprio ruolo rispetto all’economia attiva.
ORGANIZZAZIONI GIOVANILI
Il Partito nazista e quello fascista dovevano essere il nucleo di una nuova classe dirigente, ma
nessuno dei due era all’altezza di questo ruolo, poiché a entrambi mancava la necessaria
vitalità dirigente. Le cose sarebbero potute cambiare formando una nuova generazione
interamente fascista o nazista.
Si operò:
attraverso l’organizzazione di massa della gioventù per indottrinare ragazzi e
ragazze agli ideali del regime;
attraverso un’istruzione elitaria più specializzata per studenti universitari e
quadri di partito;
Il ministro dell’Educazione tedesco istituì nel 1933:
Scuole politiche nazionali – modellate su accademie militari; il progetto non decollò
mai; dovevano formare i nuovi funzionari statali nazisti;
Scuole Adolf Hitler – ebbero più successo; miravano a creare la futura classe
dirigente;
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In Italia nel 1931 venne creata:
Scuola di mistica fascista – allo scopo di promuovere il culto del duce e di creare una
classe di devoti militanti;
Il tentativo di formare una nuova élite politica fallì in entrambi i Paesi, dato che le scuole di
regime si affiancarono al sistema tradizionale, senza proporre alcun vero percorso alternativo e
senza scalfire il prestigio delle scuole statali.
Le organizzazioni di massa perseguirono tre obiettivi:
1. inculcare nei giovani i miti fondamentali del regime – il culto del duce o del Fuhrer,
teorie nazionalistiche e razziali, accettazione della guerra e della violenza;
2. contrapporre a istituzioni tradizionalmente potenti, quali famiglia e chiese, modelli
alternativi di socializzazione;
3. fornire un certo grado di addestramento fisico e paramilitare – talvolta presentato
come attività sportiva;
I fascisti crearono l’Opera nazionale balilla (Onb) nel 1926: i ragazzi dagli 8 ai 14 anni
entravano nei Balilla, mentre dai 15 ai 18 anni diventavano Avanguardisti; le ragazze dagli 8 ai
12 anni erano Piccole italiane, mentre dai 13 ai 18 erano Giovani italiane. Inoltre, per i ragazzi
oltre i 18 anni c’erano i Gruppi universitari fascisti (Guf) e i Fasci giovanili di combattimento per
chi non frequentava l’università. Nel 1937, Mussolini istituì un’unica organizzazione giovanile,
la Gioventù italiana del littorio (Gil): esercitava il controllo sull’intero movimento giovanile con
l’eccezione del Guf, che rispondeva direttamente al Partito.
La leadership del Partito fascista e nazista fu sempre a disagio con gli intellettuali e le idee:
venne preferito l’addestramento fisico e paramilitare e le lezioni di disciplina al dibattito delle
idee.
Anche in Germania esistevano organizzazioni separate per ragazzi e ragazze secondo l’età: per
i ragazzi dai 10 anni lo Jungvolk e dai 14 la Hitler Jugend; per le ragazze, dai 10 anni lo
Jungmadel e dai 14 il Bund Deutscher Madel.
Sia i nazisti che i fascisti cercarono di dirottare la popolazione studentesca dalle università
verso un tipo di istruzione tecnica, più moderna e più rispondente alle esigenze del mercato del
lavoro.
Entrambi i regimi introdussero il lavoro manuale obbligatorio per tutti gli studenti quale
omaggio retorico all’idea di comunità nazionale o razziale egualitaria.
8. CULTURA E SOCIETÀ
LA POLITICA RELIGIOSA
Sia Mussolini (1929) che Hitler (1933) firmarono concordati col Vaticano per regolare nei
rispettivi Paesi i rapporti tra Stato e Chiesa. Fascismo e nazismo adottarono rituali e simbolismi
sacrali in cerimonie estremamente elaborate. Affiancarono alle feste cattoliche numerose feste
nazionali e di partito.
I nazisti credevano nel potere della razza come forza determinante nella storia; questa teoria
totalizzante e profondamente sovversiva, negava la validità di qualsiasi principio morale
universale al di là delle divisioni razziali ed era, per questo, fortemente in contrasto con la
religione tradizionale.
Il fascismo si trovò a confrontarsi con una chiesa nazionale che influenzava tutto, dalla cultura
ai costumi alla morale popolare.
Inizialmente Mussolini e Hitler dovettero affrontare il problema di conquistarsi la benevola
neutralità della gerarchia cattolica per poter indebolire il Partito cattolico dei rispettivi Paesi.
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Successivamente, in Italia, il Vaticano proibì alle residue forze politiche cattoliche di formare
qualsiasi fronte comune con i socialisti.
Mediante il concordato stipulato con la Chiesa l’11 febbraio 1929, il regime fascista raggiunse
quattro importanti obiettivi:
1. poté includere anche la Chiesa cattolica fra i sostenitori del nuovo Stato;
2. si assicurò che la Chiesa appoggiasse il proprio tentativo di conquistare il
consenso delle masse rurali cattoliche;
3. aumentò il proprio prestigio internazionale;
4. strappò alla Chiesa la promessa di sciogliere le sue organizzazioni politiche
giovanili;
La Chiesa ottenne, invece:
1. il riconoscimento di Stato con pieni diritti di sovranità;
2. venne riconosciuto il ruolo fondamentale della dottrina cattolica
nell’insegnamento delle scuole elementari e medie e nelle questioni riguardanti la
pubblica morale;
3. mantenne istituzioni ritenute non politiche – come l’Università cattolica di Milano, i
gruppi universitari cattolici, l’Azione cattolica, i gruppi sociali diocesani e un certo numero di
iniziative editoriali;
Anche di fronte alle leggi razziali italiane del 1938 la Chiesa si mostrò disponibile a tollerare un
certo grado di discriminazione religiosa, se non razziale, nei confronti degli ebrei.
Il concordato tra il regime nazista e il Vaticano del 20 luglio 1933 seguiva a grandi linee quello
Chiesa-Mussolini.
LA CULTURA
Entrambi i regimi rifiutarono specificatamente qualsiasi internazionalismo nell’arte e nella
cultura, preferendo una tradizione nazionale, espressa in un generico realismo e in un ritorno a
modelli classici e a forme statuarie.
Entrambi i regimi si assicurarono ampie aree di sostegno da parte dei produttori di cultura
attraverso una gamma di benefici specifici per artisti, architetti, musicisti e attori all’interno
della struttura corporativa.
A differenza dei nazisti, che applicarono un rigoroso criterio razziale alla vita intellettuale e
manifestarono chiare preferenze stilistiche in campo artistico, i fascisti non elaborarono norme
pregiudiziali con cui giudicare le arti creative.
Entrambi i regimi rifiutarono l’idea dell’intellettuale puro o non impegnato, o del professionista
apolitico, offrendo concreti vantaggi economici alle professioni i