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2. GLI STUDI E LA FORMAZIONE POLITICA
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Gerardo Berenga nasce a Lanciano il 29 gennaio 1860 da una famiglia di avvocati e di
amministratori. Appartiene ad una famiglia economicamente facoltosa (che godeva anche di
rendite agrarie), politicamente liberale e di lunga tradizione forense.
1871: compie gli studi liceali a Chieti.
1882: laurea in giurisprudenza a Napoli.
Ritorna nella sua città natale, inizia la sua attività professionale e si avvicina alla politica. Entra
nel Partito liberale. Nel 1882 il Partito, con a capo Berenga, conquista la minoranza al Consiglio
comunale di Lanciano. A livello internazionale, nello stesso anno, viene allargato il suffragio che
porta alla rappresentanza politica una classe più eterogenea.
1888: diviene socio della Cassa Operaio-Agricola di Lanciano e del Banco di Lanciano; fonda il
suo giornale “I tre Abruzzi” con la finalità principale di unire prima l’Abruzzo e poi l’Italia (il
giornale resta operativo fino al 1921).
1895: viene eletto sindaco di Lanciano, carica che conserverà fino al 1910.
Sottolineò l’importanza che la partecipazione politica e l’organizzazione del consenso
avrebbero avuto sia per il sistema politico nel suo complesso sia per ottenere maggiore
stabilità e garanzie nei rapporti tra società civile e Stato.
Promosse il liberismo sociale e politico, inteso a favorire l’ascesa delle classi lavoratrici e ad
agevolarne l’immissione nella vita attiva dello Stato, in linea con la politica giolittiana.
Il suo impegno si c0ncretizzava nell’epoca giolittiana, considerata portatrice di benessere,
industrializzazione e cambiamento; nella pratica si trovava ad operare in un contesto segnato
da scarsità di risorse e di mezzi di educazione civile e intellettuale.
Gli articoli su I tre Abruzzi si possono considerare come veri e propri manifesti politici,
espressione delle sue idee in campo economico, sociale e amministrativo. Considerava i
giornali sempre importanti per gli equilibri interni al sistema politico: I tre Abruzzi finiva per
essere quasi un partito, una forma di collegamento per le forze che si rifacevano alle idee del
gruppo liberale. Dal giornale traspare la lotta politica per conquistare l’appoggio di pochi
elettori. Successivamente, la comparsa di un più maturo impianto ideologico, con pagine di
informazione, di cultura e di intrattenimento, con spazi per la pubblicità, garantirà al giornale
una più larga considerazione.
Con questi “mezzi” professionali e di riflessione culturale, Berenga lavorava per affermare
stabilmente il suo potere personale e quello della classe liberale che rappresentava su scala
locale.
È un periodo di trasformazioni quello in cui, fra il 1880 e il 1890, Berenga iniziava la sua attività
politica, caratterizzato da una differenziazione tra conservatori e progressisti.
In questo quadro non si parlava di alternanza di partiti, ma della pratica delle “coalizioni
governative” che favorirono l’avvio della politica del trasformismo, conseguenza
dell’allargamento del suffragio e del rafforzamento dell’estrema sinistra che aveva suggerito il
processo di convergenza fra le forze moderate. Si otteneva una maggioranza “costituzionale”
ampia e sicura contro i pericoli provenienti dalle aree rivoluzionarie e clericali, favorendo la
dissoluzione dei partiti tradizionali e la loro frammentazione in piccoli gruppi raccolti su base
locale o attorno alla figura di un leader. In questo modo, la vita politica non di rado scadeva in
fenomeni di corruzione.
Fin dagli inizi degli anni ‘80 Berenga nota come non esistessero veri e propri partiti, ma
raggruppamenti, coordinati da personalità di rilievo, che rispecchiavano la loro origine
parlamentare ed elettorale, legata all’esistenza del suffragio limitato e del sistema
uninominale. Più che partiti erano movimenti o schieramenti di notabili.
Nel corso degli anni ‘80 il gruppo radicale assunse un ruolo sia di opposizione nei confronti
delle formazioni trasformistiche sia di raccordo fra la sinistra parlamentare e le correnti
rivoluzionarie dei repubblicani intransigenti e del movimento socialista. Secondo Berenga, il
momento di rottura per il movimento repubblicano doveva essere individuato nel marzo 1881,
quando la Francia realizzò l’occupazione di Tunisi con l’appoggio della Germania e
dell’Inghilterra. Questa strategia aveva determinato l’incrinamento dei rapporti tra Francia e
Italia, spingendo quest’ultima ad un avvicinamento alla Germania e all’Austria per uscire
dall’isolamento. Proprio i rapporti con la Germania favorirono la svolta conservatrice italiana e
l’idea repubblicana perdeva tutti i suoi sostenitori.
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Berenga riteneva che la decadenza dello spirito repubblicano fosse un segnale di progresso, un
richiamo alla necessità di affrontare e risolvere i problemi, come la questione sociale.
Berenga riteneva che il partito clericale fosse una minaccia per la classe dirigente liberale, ma
anche un sostegno se alleata e inserita nelle istituzioni governative. Denunciava la mancanza
di un autentico partito cattolico: sopravvivendo il principio “né eletti né elettori” i clericali in
Italia non rappresentavano i conservatori, come in altri Paesi europei e, quindi, non erano un
punto di riferimento.
A prevalere erano i movimenti di:
destra – aveva governato il Paese nei momenti più difficili; meritava per Berenga una
valutazione positiva;
sinistra – non poteva vantare nessuna grande riforma elettorale;
Un’alternanza tra destra e sinistra e un rinnovamento della classe dirigente potevano avviare
dei miglioramenti risolvendo i tanti problemi post unitari, in particolare quello finanziario. Tra
questi due gruppi politici non vi erano sostanziali differenze ideologiche.
Secondo Berenga, va riconosciuto alla Destra storica il merito di aver fondato uno Stato e di
averlo amministrato a lungo senza però riuscire a farsi capire pienamente, soprattutto a causa
della quantità di imposte dirette e indirette, rese necessarie per coprire i costi dell’unificazione,
e delle ingenti spese nel campo dell’amministrazione pubblica, delle comunicazioni,
dell’istruzione e dell’esercito. La sinistra, invece, che nel complesso aveva realizzato un
programma inferiore alle aspettative e si era dimostrata incapace di attuare una qualche
riforma sociale, eccetto quella elettorale, aveva ottenuto maggior consenso elettorale.
Sosteneva che l’allargamento del suffragio fosse stato realizzato senza la necessaria e
indispensabile preparazione delle masse, con il conseguente decadimento morale e politico
nelle istituzioni e con l’avvio di quello che verrà definito “parlamentarismo”. Il parlamentarismo
è la conseguenza del discredito di una larga parte di parlamentari, tanto che Berenga avanzava
la proposta di ridurre il numero dei deputati. Per risolvere il problema del parlamentarismo,
oltre alla riduzione dei deputati, Berenga proponeva la riforma amministrativa e l’abolizione del
Senato (considerato inutile), assegnando al Consiglio di Stato la facoltà di preparare le leggi da
presentare all’Assemblea Unica.
1887: Crispi succede a Depretis come Presidente del Consiglio.
Vi era una sostanziale continuità di stile politico, seppur con modalità differenti, tra Depretis,
Crispi e Giolitti. Crispi era riuscito a crearsi un seguito grazie ad una personalità forte e
carismatica. Il suo atteggiamento politico è caratterizzato da momenti contrastanti: euforia
espansionistica, interventi per garantire l’ordine pubblico, sostegno statale all’economia per
favorire l’industrializzazione e lo sviluppo economico. Godeva dell’appoggio di buona parte
della sinistra e dei conservatori.
Con la legge di pubblica sicurezza dell’89 venne meno l’appoggio dell’estrema sinistra
democratica, favorendo l’avvio delle sollevazioni di massa e la conseguente politica repressiva
con l’intervento delle forze di polizia sia contro il movimento operaio sia contro le
organizzazioni cattoliche e i movimenti repubblicani.
Di Crispi Berenga criticava la scelta di allearsi con la Triplice Alleanza, che aveva portato l’Italia
ad una situazione di limitazione. Secondo Berenga, l’Italia avrebbe dovuto mantenere buoni
rapporti con gli altri Stati, sena chiudersi in un rapporto esclusivo con la Germania. Non
condivideva la reazione del governo italiano di fronte alla notizia dell’eccidio di Dogali di
accordare i finanziamenti richiesti e di inviare rinforzi per il consolidamento della presenza
italiana sul territorio: l’eccidio indusse il governo a organizzare la cosiddetta spedizione di Adua
che determinò la sconfitta, la perdita di sedicimila uomini e le dimissioni di Crispi nel 1896.
Con la fine del governo di Crispi si andava consolidando un fronte conservatore contro i nemici
delle istituzioni (socialisti, repubblicani e radicali) con l’obiettivo di garantire l’ordine pubblico
attraverso metodi forti che portarono ai moti del ‘98, alla repressione militare di Milano, ai
provvedimenti di Pelloux, all’ostruzionismo parlamentare e all’uccisione di Umberto I.
Berenga riteneva Sonnino, Crispi e Pelloux paladini di un governo forte e repressivo
indispensabile a salvare lo Stato, emarginando e frenando la destra clericale e l’estrema
sinistra socialista e repubblicana. Questa politica era riuscita a realizzare soltanto governi
deboli e violenti e a consentire un nuovo esperimento di politica liberale da parte di Giolitti, per
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facilitare la trasformazione dello Stato in senso democratico. Riteneva che la mobilitazione
delle classi era la conseguenza inevitabile dello sviluppo economico e che all’origine delle
agitazioni non vi fosse un programma rivoluzionario ma solo il desiderio di conquistare migliori
condizioni di vita e lavoro. Sosteneva che bisognasse perseguire una linea di neutralità, che
avrebbe consentito lo sviluppo delle organizzazioni sindacali, operaie e contadine che,
attraverso manifestazioni di protesta, avrebbero favorito la spinta all’aumento dei salari e al
miglioramento del tenore di vita della popolazione.
Berenga considerava la conquista della Libia (impresa che pur confermando la fedeltà alla
Triplice Alleanza, mostrava una maggiore autonomia d’azione) un momento determinante in
quanto scosse pericolosamente gli equilibri della politica di Giolitti:
rafforzò le tendenze più radicali – nell’ambito dell’area socialista;
indebolì le tendenze riformiste – risultate molto importanti nel sistema giolittiano;
La svolta liberale del ‘900 aveva portato ad una progressiva affermazione sia del movimento
socialista sia del movimento cattolico, che eserciteranno un crescente peso ne