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VII - IL TRAMONTO DEL VECCHIO REGIME

Nazionalismo e riforme all'alba del nuovo secolo

In seguito alla prima guerra mondiale la borghesia europea poté definire come Belle Epoque il periodo compreso tra la fine della guerra franco-prussiana e l'inizio della Grande guerra. Un periodo di pace, di espansione coloniale, di enormi progressi scientifici, di fioritura artistica (Parigi, Vienna), di progresso economico e di rivoluzioni nella vita quotidiana.

Certo questa è la visione dei ceti più ricchi e molto ottimistica. In questo periodo infatti avvenne la migrazione di milioni di persone, costrette ad attraversare l'Atlantico per sopravvivere, oppure aspri contrasti sociali. Inoltre, fu in questi anni che si diffusero il nazionalismo, l'antisemitismo e il militarismo. Nel resto del mondo poi scoppiarono una serie di guerre e rivoluzioni (Cina e Giappone, Russia e Messico), frutto delle tante contraddizioni politiche.

Negli Stati più sviluppati la

società era sempre più articolata, anche grazie all'espansione del terziario, e il maggior benessere diffuso stimolò il mercato: beni di consumo, tempo libero... Lo sport, ad esempio, assunse un grande rilievo e nel 1896 furono inaugurate le Olimpiadi moderne. Nascono nuovi partiti e nuove associazioni e l'alfabetizzazione permette una più vasta partecipazione politica, anche attraverso la stampa periodica. I governi dovettero dunque affrontare questa nuova società, che era divenuta sempre più "di massa" (suffragio). In Europa e negli Stati Uniti si ricorse a due strumenti per evitare disordini: una politica di riforme e il nazionalismo. Il nazionalismo si fonda sull'idea di gerarchie sociali e internazionali. Esalta la nazione come il bene supremo a cui vanno sacrificati gli interessi individuali (e di classe), per far sì che possa affermarsi sulle altre. Questo sentimento si diffonde nel contesto della corsa allecoloniali e la minaccia democratico-socialista. Per unificare, si ricorre a una nuova ideologia laica: si parla quindi di "nazionalizzazione delle masse". In Francia (unica repubblica in Europa), la decisa laicizzazione si affiancò a una politica di riforme, per scongiurare l'azione di radicali, socialisti e dei sindacati (Confederation generale du travail). Intanto stava nascendo un nazionalismo con una forte componente antisemita. Fu quindi un caso esemplare dello scontro politico l'affaire Dreyfus (1894), che segna l'inizio dell'antisemitismo moderno, razziale e politico e non più solo religioso. Il dibattito sul caso portò alla formazione di un movimento monarchico e cattolico (Action francaise), a cui si oppose il ministero di "difesa repubblicana" (nonché diversi intellettuali, come Zola). Repubblicani radicali e socialisti sostennero il ministero di Combes nella sua politica anticlericale, che ruppe le relazioni.diplomatica con il Vaticano e la separazione tra Chiesa e Stato (1905). L'anticlericalismo e lo scontro con i sindacati minarono però il consenso di questa parte, a vantaggio dei conservatori e nazionalisti, che si imposero nel 1912 con il governo Poincaré (presidente nel 1913), nel clima di crescente militarismo. In Italia la crisi seguita alla sconfitta di Adua (1896) e alla caduta di Crispi si aggravò con una serie di sommosse popolari contro il carovita, che portarono alla soppressione del partito socialista e di quello cattolico (ritenuti ostili allo Stato liberale). Nel 1900 il nuovo re Vittorio Emanuele III si affidò a Giovanni Giolitti per riguadagnare il consenso popolare e la politica dello statista caratterizzò i successivi quindici anni. Egli ridusse l'intervento statale nei conflitti lavorativi, lasciati liberi di seguire il loro corso, favorì i sindacati e giunse a patti con il socialismo riformista. La crisi diplomatica con il Vaticano e la separazione completa tra Chiesa e Stato (1905). L'anticlericalismo e lo scontro coi sindacati minarono però il consenso di questa parte, a vantaggio dei conservatori e nazionalisti, che si imposero nel 1912 con il governo Poincaré (presidente nel 1913), nel clima di crescente militarismo. In Italia la crisi seguita alla sconfitta di Adua (1896) e alla caduta di Crispi si aggravò con una serie di sommosse popolari contro il carovita, che portarono alla soppressione del partito socialista e di quello cattolico (ritenuti ostili allo Stato liberale). Nel 1900 il nuovo re Vittorio Emanuele III si affidò a Giovanni Giolitti per riguadagnare il consenso popolare e la politica dello statista caratterizzò i successivi quindici anni. Egli ridusse l'intervento statale nei conflitti lavorativi, lasciati liberi di seguire il loro corso, favorì i sindacati e giunse a patti con il socialismo riformista.

L'economia del 1907 rese difficile questa politica liberale, ma comunque nel 1912 fu concesso il suffragio universale maschile. Questa azione sconvolse gli equilibri, perché per la prima volta si presentarono alle urne i contadini, tradizionalmente legati alla Chiesa. Caduto il non expedit, i cattolici si allearono con i liberali in chiave antisocialista, mentre la guerra per la Libia (1911-12) diede grande peso al movimento nazionalista.

Il governo britannico sfruttò le ricchezze del suo immenso impero coloniale per intervenire in campo sociale (ad esempio potenziò l'educazione). I sindacati, uniti nel Trades Union Congress, tutelarono i salari nonostante la grande concorrenza.

Nel 1906 i liberali vinsero le elezioni contro i conservatori, appoggiati dal Partito laburista, espressione dei sindacati. Il ministro delle Finanze David Lloyd George aumentò la tassazione diretta (quindi verso i redditi più alti) e usò le risorse per la corsa agli armamenti.

ma anche per il sistema assicurativo, sanitario e pensionistico (Welfare State). Il governo liberale tentò anche di risolvere la questione irlandese, ma l'Home Rule (1913) fu contrastato sia dal Sinn Féin (partito indipendentista), sia dai protestanti dell'Ulster. L'impero fu organizzato in modo da tenere conto delle diversità specifiche: i paesi abitati da bianchi (Canada, Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica) ottennero lo status di dominion e una larga autonomia. La Germania concentrò il suo sviluppo sull'obiettivo di diventare una grande potenza mondiale: fu creata un'imponente marina da guerra e fu diffuso il sentimento nazionalistico, che vinse anche l'opposizione dei socialisti (divisi tra revisionisti e ortodossi). L'Austria-Ungheria fu caratterizzata dalle spinte nazionali, soprattutto dei popoli slavi: alcuni esempi sono il movimento dei Giovani cechi (Masaryk) e il movimento nazionalista degli slavi del Sud (annessione di

Bosniae Erzegovina). Nei territori austriaci si erano formati invece il Partito pangermanista (annessione al Reich tedesco) e il Partito cristiano-sociale (nazionalista e antisemita). Nel 1907 fu introdotto il suffragio universale maschile, che favorì comunque la popolazione a lingua tedesca. Anche i paesi del Nord Europa conobbero una politica di riforme e di allargamento del suffragio: Belgio (1894), Svezia (1907), Norvegia (1898 e alle donne nel 1913). La Danimarca concesse l'indipendenza all'Islanda (1893) e la Norvegia si separò dalla Svezia (1905). Nei paesi iberici invece prevalevano un'economia agricola e forti disuguaglianze sociali. In Portogallo i contrasti politici portarono all'assassinio del sovrano (1908) e a una rivoluzione (1910) che instaurò la repubblica, contrastata però dalle lotte tra clericali e anticlericali. Un contrasto che caratterizzò anche la Spagna. Qui la perdita delle colonie nel 1898 aveva generato uno

spiritodi riscossa (generazione del '98) improntato al nazionalismo (hispanidad), che era però contrastato dalle spinte autonomistiche (es. Catalogna). Gli Stati Uniti conobbero mutamenti significativi: divenuti una potenza industriale al pari della Gran Bretagna, triplicarono la loro popolazione tra 1865 e 1914 (immigrati, liberazione degli schiavi). Non si verificarono però scontri sociali, che ebbero come valvola di sfogo i vasti territori ancora da colonizzare. I sindacati diedero vita a proteste, ma non intaccarono mai il sistema economico, anche perché mancavano di una forte rappresentanza politica (il People's Party era molto debole). Il freno allo strapotere dei grandi industriali e finanzieri venne dall'alto. Il repubblicano Theodore Roosevelt (1901-1908) intraprese una politica estera attiva (marina militare, Caraibi, Panama) e rafforzò i poteri del governo federale per renderlo arbitro dei conflitti di lavoro (trust, tutela delle risorse

A inizio Novecento, negli Stati Uniti, si verificarono importanti cambiamenti politici ed economici. Il presidente Theodore Roosevelt, che assunse la carica nel 1901, promosse una serie di riforme progressiste per migliorare le condizioni sociali ed economiche del paese. Queste riforme includevano la regolamentazione delle grandi imprese, la protezione dei diritti dei lavoratori e la tutela dell'ambiente. Anche Woodrow Wilson, eletto nel 1913, agì contro i monopoli economici, riducendo i dazi, incentivando la concorrenza e i piccoli imprenditori. Queste riforme e l'ampliamento del suffragio (in alcuni Stati anche alle donne) fa parlare di questo periodo a inizio Novecento come di "età progressista", in cui gli Stati Uniti divennero un modello di civiltà da esportare al mondo.

Le campagne si muovono: Cina, Russia, Messico

A inizio Novecento la maggior parte della popolazione mondiale era comunque occupata nell'agricoltura, soprattutto nei paesi extraeuropei e in quelli dell'Europa orientale. In quella Occidentale la media era di solito inferiore al 50% per cento.

Un esempio di come l'agricoltura fosse ancora fondamentale nell'economia è la Grande depressione (1873). Il mondo delle campagne era dominato dai ceti aristocratici, sia nelle proprietà individuali che in quelle statali, ed era caratterizzato da...

Rapporti semiservili. I contadini erano sottoposti a malattie e analfabetismo, legati a una tradizione patriarcale e influenzati fortemente dalla Chiesa: in pratica il mondo dell'antico regime. Nelle rivoluzioni dell'Ottocento il ruolo dei contadini era stato marginale e anche in seguito i movimenti socialisti e anarchici si erano rivolti soprattutto agli operai. Con il nuovo secolo nascono però le prime associazioni sindacali contadine e anche nelle campagne iniziano le rivoluzioni, sempre però dietro l'impulso dell'élite liberale o della classe operaia. Una scossa rivoluzionaria si verificò nell'impero cinese nel 1911, che aveva tentato invano una politica di riforme sul modello giapponese. Già negli anni Cinquanta dell'Ottocento i contadini (sostenuti dalle potenze occidentali) avevano dato vita al Celeste regno della grande pace, nella Cina meridionale (capitale Nanchino). Le terre furono distribuite secondo principi

ugualitari (missionari cristiani), ma il movimento Taiping fusconfitto nel decennio successivo dalla dinastia Manciù e dai proprietari terrieri, con circa 20 milioni di morti.

Si affermò allora un potere basato sull'influenza dei mandarini “burocrati” e delle potenze straniere.

La debolezza del potere centrale, dimostrata anche nella guerra contro il Giappone (1894-95) spinse alcuniintellettuali ad imporsi nel governo, per riformare il sistema politico e l'economia secondo il modellooccidentale. Dopo pochi mesi, furono però sostituiti dai conservatori.

La corte indirizzò il malcontento contro la dominazione straniera e questo sfociò nella rivolta dei boxers(1900). La risposta congiunta delle varie potenze mondiali impose alla Cina condizioni economiche durissime.

Nel primo decennio del Novecento però l'imperatrice Ci Xi, dietro l'influsso di intellettuali e della nascenteborghesia mercantile, promosse una serie di riforme.

soprattutto nell'istruzione (Università di Pechino 1902). Quel vastissimo impero era però frantumato, privo di una moderna rete di collegamenti e di un'economia industriale. Questo rese difficili le rifor
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A.A. 2021-2022
117 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Gringoire8 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Galfrè Monica.