vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Il ruolo del segretario del Pnf e le agenzie specializzate durante il regime fascista
All’inizio il segretario del Pnf non dispose di poteri governativi ampi; furono aumentati dallo statuto del partito del 1929. La sua nomina avvenne per decreto reale su raccomandazione del capo del governo ed egli assunse anche la carica di segretario del Gran Consiglio, venne ammesso al Consiglio dei ministri, al Consiglio superiore di difesa, al Consiglio nazionale delle corporazioni e al Comitato corporativo centrale. I due regimi istituirono agenzie specializzate statali sotto il controllo di esponenti del partito. I vecchi organi governativi furono svuotati di significato/incorporati nelle nuove agenzie. Le nuove burocrazie furono: - politico-partitiche; - socioassistenziali; - economiche; - poliziesche. Nel 1942 nel Reich erano state create nuove agenzie di partito che affiancavano/sovrapponevano i ministeri già esistenti. In Italia sei ministeri contendevano a svariate agenzie o collegi direttivi specializzati il controllo dell’economia. Nei due paesi l’apparato.politico-amministrativo del partito affiancò quello dello stato a duelivelli: geografico e funzionale; i leader locali (ras e Gauleiter) continuarono a godere di potere verso i propri "feudi". La sopravvivenza dei leader provinciali presenti dall'inizio può essere attribuita alla tendenza a evitare i conflitti con antichi compagni che non rappresentassero una minaccia diretta. In Germania potenti Gauleiter sfidarono funzionari governativi e di partito grazie al loro rapporto con Hitler. La chiave del successo nazista era quindi l'accesso diretto al Fuhrer. Capitolo quinto – Il sistema economico L'industria L'obiettivo comune a entrambi i Partiti fu quello di incrementare quanto più possibile la produzione industriale e agricola, senza curarsi dei soggetti e dei gruppi più deboli: i vantaggi ottenuti dalla classe dirigente furono molto superiori a quelli dei lavoratori. Il regime fascista procedette alla liquidazionedelPartito socialista e della Confederazione generale del lavoro, che comportò l'eliminazione della classe operaia come gruppo di interesse indipendente, al riconoscimento dei sindacati fascisti e alla sostituzione di quelli socialisti. Anche la dirigenza tedesca temeva la formazione di una potente organizzazione sindacale nazista: vennero distrutte le organizzazioni sindacali indipendenti. Con il fascismo si ebbe la distruzione del potere sindacale all'interno delle fabbriche. Due fattori azzerarono qualsiasi potere della manodopera: - i decreti del governo che sancirono riduzioni di prezzi e salari dopo il 1927 stabilirono limiti molto rigidi alle capacità negoziali dei sindacati fascisti a favore dei loro membri; - il governo non riuscì a ridurre la disoccupazione. Per l'Italia una spinta vigorosa all'economia venne durante i preparativi per la guerra in Etiopia; la Germania entrò in una fase di ripresa dopo la presa di potere da parte diHitler. La deflazione, in Italia, eliminò le imprese più piccole e consolidò i maggiori settori dell'economia in cartelli di produzione e di scambio. Nel 1933 venne istituito il libretto di lavoro, un documento di cui ogni lavoratore doveva essere in possesso per poter richiedere i benefici previdenziali. La leadership del Partito nazista fu costretta a scegliere tra il caos economico implicito nel programma anticapitalista della base del partito e la collaborazione col settore industriale nella ripresa economica e nel riarmo. Il ministero dell'Economia si adoperò per appianare i rapporti con l'industria. Per gratitudine gli industriali istituirono il Fondo Adolf Hitler, un contributo dell'industria tedesca al Partito nazista. I nazisti cominciarono la battaglia contro i grandi magazzini, istituendo la Ns Hago, l'organizzazione nazista del commercio al dettaglio. Con l'eliminazione del potere dei sindacati, la sola minaccia alIl potere degli industriali dell'Italia fascista proveniva dalla stessa burocrazia di Stato attraverso il sistema corporativo da poco introdotto. Il corporativismo può essere descritto come un sistema di contrattazione istituzionalizzata, in base al quale il capitale e il lavoro sono integrati obbligatoriamente in organizzazioni riconosciute dallo Stato, distinti secondo i rami produttivi e strutturati gerarchicamente, chiamate appunto corporazioni. Operavano non solo come organi di autogoverno, ma anche come strumenti di partecipazione a decisioni politiche concernenti l'intera società. Nel 1926 venne creato il ministero delle Corporazioni come primo passo verso la costituzione di una società corporativa: si sarebbe così riammessa la partecipazione dei lavoratori alle decisioni della dirigenza aziendale, ma Mussolini non voleva passare a un vero e proprio stato corporativo. Nel 1934 la legge sulle corporazioni diede vita a 22 corporazioni divise in tre.
grandi settori che corrispondevano all'industria, all'agricoltura e ai servizi, ma si trattò di un sistema piuttosto debole. Nel 1931 venne istituito l'Istituto mobiliare italiano (Imi), con cui il governo cominciò a intervenire sulla gestione delle maggiori banche. Nel gennaio del 1933 venne istituito l'Istituto per la ricostruzione industriale (Iri): fu la risposta alla grande depressione e al collasso del sistema bancario italiano. Il processo fu completato nel 1936 con la legge di riforma del sistema bancario, mediante la quale la Banca d'Italia e gran parte degli altri grandi istituti di credito divennero istituzioni pubbliche.
L'agricoltura
Anche nel settore agricolo i fascisti e i nazisti iniziarono una politica di sostegno che fu simile nei risultati. Entrambi i regimi incentivarono l'agricoltura azzerandone però l'indipendenza e il peso politico. L'alleanza con i grandi proprietari terrieri fu fondamentale per i
fascisti fin dalle origini. Adottarono duetemi, poi fatti propri anche dal nazismo: - la società rurale era una barriera contro la circolazione delle ideologie radicali d'importazione; - la nazione doveva essere quanto più autosufficiente possibile sul piano della produzione agricola. In Italia i principali beneficiari della politica agricola fascista furono i grandi agrari e il settore agroindustriale del dinamico nord. Un secondo beneficio venne dai grandi progetti di bonifica intrapresi dal regime nella seconda metà degli anni Venti. Gran parte dei fondi andarono al nord a sostegno dei potenti gruppi agroindustriali. La famosa battaglia del grano annunciata nel 1925 e la campagna di ruralizzazione del 1927 introdussero incrementi del prezzo del grano importato e altri incentivi per incoraggiare la semina di cereali. L'Italia compì grandi progressi nel settore cerealicolo, a scapito, però, degli allevatori penalizzati dall'aumento delproprietà contadina inalienabile – legge agrario-razzista; creava una sorta di vincolo terriero per un gran numero di aziende agricole di medie dimensioni condotte da contadini che potevano dimostrare la loro stabilità finanziaria e il loro puro sangue tedesco a partire dal 1800; fu una legge troppo limitata per frenare la fuga dei piccoli agricoltori attratti dalle città.
Entrambi i regimi emanarono leggi che scoraggiavano la fuga dalle campagne: gli italiani imponendo agli immigrati nelle città di ottenere permessi di residenza e limitando le costruzioni industriali nelle aree urbane; i nazisti usando la carenza di alloggi urbani e le limitazioni legali alla mobilità.
L'autarchia e la mobilitazione economica
Il capitalismo privato non fu direttamente minacciato, ma le decisioni dei singoli dirigenti industriali e dei consigli di amministrazione vennero subordinati agli obiettivi di politica estera dello Stato.
L'economia di guerra fascista
fu contraddistinta da quattro aspetti che la differenziarono da quella nazista: - affidò l'amministrazione del settore statale e il sistema di controllo valutario a funzionari competenti ma non di partito – rafforzò il potere dello Stato ma non del partito; - il nuovo sistema economico continuò a premiare le industrie già potenti che controllavano i cartelli – si assicurarono sufficiente valuta estera per l'acquisto di materie prime e ad approfittare delle opportunità offerte dalle aree di attività militare fascista; garantì che quanti stavano traendo profitto dal regime potessero continuare a farlo; - il sistema economico nazionale fu isolato in misura crescente da quello mondiale dal dirigismo commerciale e dai controlli valutari; - le decisioni fondamentali circa l'uso di questa economia di guerra finirono per essere sottratte al controllo degli industriali e dei maggiori esponenti dell'esercito; La carenzadi responsabilità in campo economico, e in gran parte di altri aspetti dell'amministrazione pubblica, contribuirà ad accentuare la conduzione amministrativa che affliggeva lo stile di governo fascista. Nel 1935, Mussolini decise che i possessori di valuta estera dovevano depositarla presso la Banca d'Italia. La distribuzione di materie prime fu affidata ai cartelli esistenti, organizzati in giunte corporative. Mussolini utilizzò il termine "autarchia" per definire la politica nazionale. L'asse di tutta la politica nazista fu la decisione presa nel 1933 del riarmo: il tema centrale da quel momento sarebbe stato il ritmo con cui realizzare la militarizzazione dell'economia. Il piano pensato da Hitler prevedeva la distribuzione della valuta estera da parte dello Stato in base alle priorità militari per la produzione dell'industria pesante. L'autarchia fu presente sin dall'inizio nell'industria privata per laio energetico per le industrie e per il settore agricolo. La produzione di combustibile sintetico, tessili e lignite fu incentivata, mentre il commercio venne regolato da accordi bilaterali di baratto e di compensazione con vari Stati confinanti. Il consumo privato domestico fu scoraggiato, ma il governo garantì il fabbisogno energetico per le industrie e per il settore agricolo.