Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
PARTE TERZA
Le concezioni americane dei diritti umani: impatti e lasciti
Sarah B. Snyder
Già nella Dichiarazione di indipendenza degli Usa furono stabiliti per i cittadini americani alcuni diritti "negativi" (libertà dall'intervento statale), poi Franklin D. Roosevelt aggiunse anche quelli positivi, ossia quelli sociali ed economici, e nei decenni successivi entrambe le categorie si espansero: Head Start, Medicare (maggiore accesso a istruzione e assistenza sanitaria) di Lyndon Johnson, Civil Rights Act e Voting Rights Act (1964-65; diritti civili e politici degli afroamericani)... Queste conquiste spinsero molti americani a considerare quello dei diritti umani come un problema prettamente estero.
Dopo un primo forte impegno per i diritti umani all'indomani della seconda guerra mondiale, rappresentato da Eleanor Roosevelt, gli Usa diminuirono il loro attivismo a livello internazionale (associazione tra diritti umani e comunismo), almeno fino ai tardi
anni Settanta, quando Jimmy Carter riportò il tema al centro della politica estera statunitense. Secondo Samuel Moyn (The last utopia, 2010) e Mark Bradley (American Vernaculars: The United States and the Global Human Rights Imagination), non c'è continuità tra questa fase e quella degli anni Quaranta, e l'autrice del saggio concorda, facendo iniziare però la nuova fase già negli anni Sessanta. In questa decade, i cittadini americani si impegnarono a livello individuale e collettivo (Ong) per influenzare diplomatici e politici e promuovere così il rispetto dei diritti umani negli Usa e nel mondo. Pur non ottenendo molti risultati concreti, riuscirono comunque a sensibilizzare l'opinione pubblica e anche a limitare il sostegno fornito dagli Usa a regimi dittatoriali. C'era dietro l'idea di lunga data che gli Usa fossero il Paese più adatto ad esportare la democrazia, tanto più dopo i progressi interni nel campo.dei diritti civili e politici, e quella, più recente, che solo i diritti umani potessero effettivamente democratizzare il sistema internazionale e che dovesse quindi essere garantito il loro rispetto ovunque nel mondo.
L'attivismo transnazionale degli americani fu reso possibile, o comunque più efficace, dalla diminuzione dei prezzi dei viaggi e dai progressi nelle comunicazioni televisive e satellitari. Nel 1961 i Peace Corps creati dal presidente Kennedy inviarono volontari in 11 Paesi dell'Africa, dell'America Latina e dell'Asia, e in undecennio 38.500 cittadini americani presero parte al programma. Questa esperienza, allontanando i volontari dagli Usa e mettendoli in contatto con nuove realtà, spinse molti di loro (es. Herbert Clemens) ad impegnarsi per migliorare il loro Paese (es. contro l'imperialismo) e il mondo sotto l'aspetto dei diritti umani.
Un'altra esperienza ugualmente rilevante per far sorgere l'attivismo
Il testo riguardava i Latin American Studies, disciplina nata a inizio Novecento negli Usa e fortemente cresciuta tra gli anni '30 e '70. Conducendo ricerca nell'America Latina, molti studiosi conobbero le sue politiche, strinsero legami con gli intellettuali e le popolazioni: furono quindi spinti ad attivarsi quando i governi repressivi si affermarono in quasi tutti i Paesi dell'area. Un processo simile, legato ai rapporti professionali, avvenne anche in altri contesti: quando l'economista Andreas Papandreou fu arrestato dai golpisti greci nel 1967, un grande numero di economisti (ma non solo) americani si mobilitarono per soccorrerlo, scrivendo personalmente alla Casa Bianca. Ancora un'altra esperienza era l'attività missionaria nei luoghi in cui avvenivano violazioni dei diritti umani, incoraggiata dal Concilio Vaticano II, ma anche dalla teologia della liberazione latinoamericana, dai protestanti ecumenici (tendenti "a sinistra"). Dopo
aver conosciuto in prima persona tali violazioni, molti missionari fondarono associazioni per la tutela dei diritti umani (David Wiley e Marylee Crofts con il "RhodesiaNews Summary", o Linda Jones con il Monday Night Group contro il regime di Park in Corea del Sud). Un tema molto sentito tra gli attivisti statunitensi fu quello della restaurazione della democrazia in Grecia. Nacquero innumerevoli organizzazioni che si battevano per questo scopo e molti cittadini si recarono personalmente in Grecia per appurare la situazione. La constatazione che gli Usa sostenevano un governo irrispettoso dei diritti umani alimentò disillusione sull'effettiva capacità degli Usa di rendere il mondo "un posto sicuro per la democrazia". A partire dagli anni Sessanta, dunque, il sostegno degli Usa ai governi oppressivi divenne più incerto, perlomeno quando le autorità vollero tenere conto dell'opinione pubblica. Il diritto allo sviluppo come dirittoumanoSara Lorenzini, Umberto Tulli1. Introduzione
Questo saggio ricostruisce la genesi della Dichiarazione sul diritto allo sviluppo promulgata dall'Onu nel 1986.
Indipendentemente dalle elaborazioni a cui viene ricondotto il documento, la maggior parte degli studi tendea vederlo come un'aggiunta del diritto allo sviluppo in una lista di molti altri diritti già esistenti. Qui, invece,si intende mostrare come la definizione dello sviluppo come diritto umano sia emersa nel corso degli anni Settanta dallo scontro apparentemente inconciliabile tra i diritti economico-sociali rivendicati dai Paesi decolonizzati (Nuovo ordine economico internazionale, Noei) e quelli civili e politici professati dall'Occidente. Furono proposti diversi compromessi, tra cui quello, piuttosto debole, della Dichiarazione Onu del 1986.
2. I primi dibattiti all'Onu: dal regime per i diritti umani allo sviluppo
I diritti umani si sono rivelati politicamente divisivi sin da quando, nel 1946,
la dominazione coloniale delle potenze occidentali, mentre per gli Stati Uniti era un modo per contrastare l'espansione del comunismo. Questo confronto tra i due blocchi si rifletteva anche nella pratica della Commissione, dove i Paesi occidentali e quelli orientali si accusavano reciprocamente di violazioni dei diritti umani. Negli anni successivi, la Commissione continuò a lavorare sulla promozione e la protezione dei diritti umani, ma la sua efficacia fu spesso compromessa dalla politica e dagli interessi nazionali dei suoi membri. Nel corso degli anni, sono state adottate numerose convenzioni e trattati internazionali per la tutela dei diritti umani, ma la loro attuazione e il rispetto effettivo dei diritti rimangono ancora oggi una sfida. Nonostante le critiche e le limitazioni, la Commissione Onu per i diritti umani ha svolto un ruolo fondamentale nel promuovere la consapevolezza e l'importanza dei diritti umani a livello internazionale. La sua opera ha contribuito a creare un quadro normativo e a promuovere la responsabilità degli Stati nel rispetto dei diritti fondamentali di ogni individuo.L'imperialismo occidentale; per gli occidentali, la natura imperiale dell'Urss, non rispettosa delle minoranze.
Tra il 1960 e il 1966, 40 Stati decolonizzati entrarono nell'Onu, mettendo in discussione le norme eurocentriche che lo reggevano e anche la stessa Dichiarazione sui diritti umani, in quanto furono ammessi anche nella Commissione e riuscirono a influenzare la concezione dei diritti umani in senso terzomondista.
Tra le nuove idee introdotte c'era quella per cui i Paesi industrializzati erano tenuti a cooperare con quelli in via di sviluppo. Da questa base, il giurista senegalese Doudou Thiam elaborò il concetto di "diritto allo sviluppo", ossia il diritto degli Stati postcoloniali di recuperare le perdite subite durante l'epoca coloniale.
3. La sfida del "Sud globale". Dalla Conferenza di Teheran al Nuovo ordine economico internazionale
I Paesi di recente indipendenza spostarono quindi l'attenzione dai diritti
Dell'individuo ai diritti collettivi, e alnesso tra autodeterminazione, sviluppo e diritti umani. La prima importante riconfigurazione del paradigma dei diritti umani avvenne alla Conferenza Onu per i diritti umani tenutasi a Teheran nel 1968, dove si imposela linea dei Paesi non allineati e in via di sviluppo, esposta fin dalla sessione inaugurale dallo Shah Reza Pahlavie poi da molti altri delegati: essi orientarono i lavori a una nuova agenda incentrata sui diritti economici e sociali, accantonando quelli politici e civili, molto spesso violati nei loro Paesi. Il "Proclama di Teheran", documento conclusivo della conferenza, dichiarò infatti che solo la promozione dello sviluppo economico e sociale nel mondo poteva portare all'affermazione dei diritti umani. Iniziò quindi una netta opposizione tra il paradigma occidentale e quello dei Paesi in via di sviluppo, che portò al graduale abbandono del linguaggio dei diritti umani da parte di questi ultimi.
Essi iniziarono a richiedere piuttosto un ordine economico internazionale più equo, come si vede nella Dichiarazione di Lusaka (1970) e nella "Carta di Algeri" (1977), entrambe stilate dai Paesi non allineati (riduzione delle spese militari e investimento dei risparmi nello sviluppo). I Paesi del "Sud globale" richiedevano anche il riconoscimento della loro sovranità permanente sulle risorse naturali, anche questa necessaria allo sviluppo. Tutto ciò si unì nel progetto di un Nuovo ordine economico internazionale (Noei), che monopolizzò il discorso pubblico tra il 1973 e il 1975 e che si concretizzò in una Dichiarazione, un Programma d'azione e una Carta dei diritti e doveri economici degli Stati. Le richieste erano diverse: sovranità sulle risorse, migliori condizioni commerciali, riduzione dei costi della tecnologia, ridistribuzione del potere decisionale nella Banca mondiale e nel Fmi, promozione di cartelli.abolizione delle barriere commerciali… L'idea di fondo era quella di rendere effettiva l'autodeterminazione politica attraverso quella economica, così da evitare il neocolonialismo. Il Noei non venne articolato secondo il linguaggio dei diritti umani, che, anzi, era ritenuto un ostacolo, in quanto del tutto estraneo al contesto del Sud del mondo. Si giunse addirittura a dire che, in Africa, alcune violazioni dei diritti umani erano inevitabili per promuovere lo sviluppo. L'affermazione di queste posizioni radicali oscurò in parte una proposta alternativa, cioè quella di presentare lo sviluppo come un diritto umano, avanzata per la prima volta nel 1972 dal giurista spagnolo Juan Antonio Carrillo Salcedo e da quello senegalese Kéba M'Baye. Secondo quest'ultimo, i Paesi industrializzati erano tenuti a garantire il diritto allo sviluppo non tanto come forma di risarcimento verso i Paesi coloniali, ma come questione morale.
disolidarietà globale.4. Delegittimare il Noei. La riscoperta dei diritti umani Le tesi di M'Baye caddero nel vuoto: i leader dei Paesi del Sud del mondo ritenevano lo sviluppo e l'affermazione dei diritti umani due preoccupazioni politiche ben diverse e contrastanti.