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CAMMINARE SUL TEMPO
Vi sono anche altre specie che, pur non avendo sperimentato le libertà tecniche dovute alla nostra
rivoluzionaria camminata, si servono di artefatti e linguaggi. Da ciò si evince che non sono né il
linguaggio né le abilità tecniche a distinguere l’uomo dagli animali. Il saper fare degli animali non è
tanto elevato quanto quello umano perché noi, oltre alla rivoluzione anatomica che ci ha permesso
di camminare nello spazio, ne abbiamo compiuta un’altra, mentale, che ci ha permesso di
CAMMINARE SUL TEMPO: è una rivoluzione metafisica che ha creato un “vuoto” tra noi e il
tempo, liberandoci dalla pressione del presente. Non vi sono tracce materiali che ci permettono di
datare questa rivoluzione, ma possiamo dedurla dalla variabilità dei reperti. La variabilità è la
facoltà che permette di aprire la circolarità temporale insita nella dinamica produttiva, e che dunque
permette di innovare gli artefatti; è l’esito del funambolismo mentale che permette all’uomo di
progettare (gettare in avanti). Solo il pensiero dell’uomo detiene il segreto di quest’arte funambolica
con la quale si emancipa dal fluire del tempo naturale, immaginando il proprio mondo.
L’IMMAGINARIO è la casa dell’essere, abitando la quale l’uomo esiste: non è quel luogo oscuro
da cui bisogna uscire attraverso l’uso della ragione, come lo intendiamo nella cultura occidentale.
Secondo Damasio, la MENTE non coincide né con il corpo, pur essendo la sua imprescindibile base
sensoriale, né con il cervello, nonostante esso sia la sua sede organica privilegiata: essa è quel “meta
sé neurale” che integra corpo e cervello in una terza dimensione grazie alla quale otteniamo la
coscienza di agire e pensare. Qui entra in gioco l’immaginario, in quanto la capacità conformatrice
della mente si articola per concatenazioni di immagini associate tra loro. Esso dunque non coincide
né con l’irreale né con il fantastico, ma è la conditio sine qua non che ci allontana dalla contingenza
del presente, permettendoci di coordinare linguaggio e tecniche, ottenuti grazie al nostro bipedismo
fisico. Il bipedismo metafisico ha reso l’essere umano l’unico animale che, pur essendo nella
temporalità, non è della temporalità: è come se egli frapponesse, fra sé e il tempo, uno iato,
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un’apertura, facendo affacciare questo tempo proprio nell’aperto del proprio immaginario, e non
nella staticità del rapporto corpo-ambiente tipico degli animali. In questa apertura usciamo dal
tempo per conoscerne il senso in termini di possibilità. L’infinita possibilità del nostro essere ci
spinge nell’apertura vertiginosa dell’immaginario fuori tempo rispetto a quello animale, ed è
proprio per orientarsi nel suo essere fuori tempo che l’uomo costruisce delle costellazioni di senso. I
calendari, le età astrologiche, ecc., sono esempi di conformazioni sociali che danno un senso al
divenire, “istituendo” il tempo. In ciascuna di queste istituzioni si crea quel paradosso antropologico
che consiste nel poter cogliere il divenire solo uscendo da esso, attraverso la produzione di spazi di
significato socialmente costruiti. In sintesi, la differenza tra umani e animali sta nel fatto che gli
ultimi, essendo centrati al suolo del qui ed ora del loro ambiente, non hanno quello spazio-tempo
eccentrico grazie al quale l’uomo ricrea l’ambiente che lo circonda. L’uomo è l’unico animale che
può emanciparsi, come un funambolo, dal suolo del presente. La fune che permette ai suoi passi, ai
suoi pensieri di elevarsi dalla pressione del presente, è ancorata nel suo mondo mentale al senso del
passato e a quello del presente. Camminando su questa fune, l’uomo accede al cielo del suo mondo
immaginario, riuscendo ad incontrare il divenire in termini di possibilità progettuale, che gli
permette l’apertura creativa necessaria alla variabilità del suo mondo linguistico ed oggettuale.
CAPITOLO 3
IL RIEQUILIBRIO DELLA SECONDA NATURA
L’uomo è l’unico animale che ha infranto il circolo stimolo-risposta del mondo animale,
instaurando un dialogo creativo con il mondo, dal quale scaturisce una SECONDA NATURA,
sconosciuta agli esseri che vivono reagendo al mondo. L’uomo non reagisce, ma agisce creando
quella parte di natura specializzata che manca al suo organismo. Egli, infatti, è un animale “non
ancora stabilizzato” (Nietzsche), che risponde alle sue mancanze rendendosi adattabile alle diverse
qualità ambientali che fronteggia. L’artificio non è dunque il mero prodotto della tecnologia, ma è il
“pezzo di corpo” che l’uomo si costruisce per bilanciare la sua natura barcollante: la seconda natura
è l’insieme del mondo tecnicamente ricreato dall’uomo per sopperire alle mancanze della prima. È
per questo che Philippe Petit può considerare le aste del suo bilanciere come un’estensione di sé,
come un corpo tecnicamente costruito che potenzia quello organico. Le mancanze di cui “siamo
dotati” sono state spiegate da Bolk attraverso lo studio del fenomeno dell’ominizzazione in termini
di un processo neotenico (neutenia: in alcune specie, alcuni o tutti gli individui rimangono allo stato
larvale, pur raggiungendo la maturità sessuale) di ritardamento: egli ritiene che l’uomo, rispetto alle
scimmie, è come se nascesse e rimanesse ad uno stato fetale, rendendoci così le forme neonate dei
nostri progenitori. L’unico limite di questa teoria è che non ha integrato il nostro ritardo biologico
con lo sviluppo della seconda natura socialmente costruita: infatti, è dal nostro ritardo che proviene
l’impulso che sospinge la nostra specie in avanti. Il mito di Prometeo rispecchia bene questo
paradosso. Egli e suo fratello Epimeteo dovevano fare dei doni a tutte le specie, ma Epimeteo si
scordò degli uomini e Prometeo, per “compensare”, ruba il fuoco ad Efesto, il dio della tecnica, e
glielo dona. Zeus si infuria e incarica Efesto di costruire delle catene con le quali Prometeo sarà
incatenato ad un monte, e ogni giorno un’aquila gli squarcerà il petto. Epimeteo corrisponde alla
nostra natura ritardata, e Prometeo alla natura tecnica alla quale siamo incatenati per vivere: come la
causa involontaria del dono prometeico è stata la dimenticanza di Epimeteo, così il nostro ritardo
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organico ci ha permesso di uscire dal mondo animale, rendendoci capaci di forgiare la nostra
seconda natura. Gli animali, infatti, vivono in una bolla: grazie ai loro corpi maturi anatomicamente,
sono capaci di svolgere i loro compiti, ma allo stesso tempo vi sono vincolati, poiché non sono
capaci di fare null’altro. La loro maturità corporea è il limite invalicabile che non li predispone
all’incontro con il tempo. L’uomo, invece è una specie di ritardato che vive da estraniato
nell’altrove del suo immaginario, che è il suo vero e proprio habitat. Perciò tutti noi, in fondo,
siamo dei Philippe Petit: abbiamo sfidato una vertigine zoologica che ha elevato il nostro corpo
dalla pesantezza della forza di gravità della terra, e la nostra mente dalla leggerezza della forza di
gravità del presente. Il nostro successo è stato determinato dal fatto che abbiamo saputo
riequilibrare il nostro barcollare metafisico creando una tecnica funambolica, sempre più sofisticata,
che ci ha portati dall’altra parte di quel mondo conosciuto precedentemente quando aderivamo,
come le altre specie, pienamente al suolo e al presente.
CAPITOLO 4
AGIRE FUORI DAL PRESENTE
L’immaginario non ha ragione di esistere fuori dal corpo, così come lo sviluppo di quest’ultimo non
trova ragion d’essere al di fuori della nostra possibilità di uscire dal presente dovuta al nostro
immaginario. Questa circolarità tra mente e corpo inizia già nelle prime tappe della vita del neonato.
L’immaginario senso-motorio si sviluppa partendo dal gioco, in quanto è attraverso esso che
cominciamo a “comprendere”, cioè a prendere il tutto a sé attraverso il saper fare. L’uomo, già nei
primissimi mesi di vita, incontra la sua paradossale condizione rispetto alla temporalità: il suo
ritardo non gli permette di disporre di schemi pre-ordinati di stimolo-risposta, tipici degli animali, e
si ritrova a dover far fronte, con il proprio corpo, ad una pluralità di stimoli esterni. La sua infanzia
è più lunga rispetto a quella delle altre specie proprio perché le sue tecniche corporee necessitano
una lunga maturazione. Una delle principali funzioni del GIOCO è quella di aiutarlo a creare quegli
schemi senso-motori mancanti, che gli permettono di canalizzare la caoticità del mondo. Giocando,
il bambino esce dal tempo animale e sviluppa la terza area, la creatività, dove ancoriamo la fune del
nostro immaginario. Vediamo che il disordine della motricità del neonato va via canalizzandosi
verso l’ordine, arrivando ad un certo punto alla postura eretta: a quel punto il bambino libera le
mani e comincia a giocare. Se prendiamo l’esempio delle costruzioni, vedremo che all’inizio il
bambino sperimenta sempre la stessa figura; una volta abituatosi, comincia a sperimentare delle
variazioni, che lo porteranno a costruire qualcosa di diverso. Il gioco non ha una finalità verso
qualcosa, ma verso il continuo fare e disfare del mondo che lo circonda: è così che impariamo a
rompere le catene operazionali uscendo dalla gabbia dell’istante per andare incontro alle variazioni
della nostra natura. L’esistenza di un oggetto deve essere sempre colta in relazione a questa apertura
della catena operazionale umana, caratterizzata anche dalla sua capacità di variare da individuo a
individuo. Questa capacità operativa variabile dell’uomo è la leva che trasforma ed innova le
tecnologie di ogni comunità umana. 4
CAPITOLO 5
PENSARE FUORI DAL PRESENTE
La differenza tra immaginario senso-motorio e immaginario linguistico sta nella differenza tra
POTERE e POTENZA. Con l’immaginario senso-motorio l’uomo esprime il suo potere creativo
orientando il suo agire verso la manipolazione del mondo oggettuale; con quello linguistico, invece,
esprime il suo potenziale poiché qui l’agire si compie in termini speculativi, senza la necessità della
presenza degli oggetti da manipolare. L’immaginario linguistico ha il suo incipit in quello psico-
motorio, precisamente nell’azione di fonazione. Partendo dalle grida emesse alla nascita e arrivando
alla lallazione, il neonato c