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MISURA

LA VIA DELL’ACQUA

NON AGIRE

EQUILIBRIO DEGLI OPPOSTI

L’UOMO DEL DAO

MAESTRO E DISCEPOLO

PICCOLA E GRANDE COMPRENSIONE

IL GOVERNO DEL SAGGIO

EPILOGO

Bibliografia 2

INTRODUZIONE

La parola Tao, o Dao, nella trascrizione pinyin adottata in questo libro, è intraducibile.

Essa significa letteralmente ‘via’, ‘cammino’, ma, benché sia usata anche in questo senso

specifico, nella tradizione taoista indica qualcosa di molto più sottile, che può solo essere

descritto indirettamente. Il Dao De Jing, il testo fondamentale del taoismo, comincia così:

Il Dao di cui si può parlare non è l’eterno Dao,

il nome che si può pronunciare non è l’eterno nome.

Dao allude perciò a qualcosa che è al di là di ogni concettualizzazione: ogni descrizione

che se ne può dare è necessariamente parziale e perfino, in un senso profondo, fuorviante.

Se vogliamo tentare di rendere in qualche modo l’aura della parola, possiamo dire che essa

abbraccia l’idea di ‘natura ultima delle cose’, di ‘sorgente, radice, principio’, di

‘movimento intrinseco del tutto’. È più facile darne una descrizione in termini negativi che

positivi: il Dao è detto ‘evanescente’, ‘silenzioso’, ‘senza forma’, ‘senza sostanza’,

‘indistinto’. Esso ‘non agisce’, ma in questa non azione ogni cosa si compie

spontaneamente. Esso è ‘vuoto’, ma il traboccare di questo vuoto è la pienezza

dell’universo visibile, l’emergere e il dissolversi delle forme. È un ‘recipiente vuoto il cui

uso è inesauribile’ e ‘l’antenato delle miriadi degli esseri’. Il vuoto, la cavità, la valle, il

femminile sono alcune delle metafore con cui ci si può avvicinare a esso:

Lo spirito della valle non muore mai.

È il femminile misterioso.

La porta del femminile misterioso

è la radice del cielo e della terra.

Questo concetto che non è un concetto non ha un analogo nel linguaggio della filosofia

occidentale. Per un verso richiama l’idea di divinità immanente. Per un altro ricorda il

vuoto della fisica quantistica, che è un continuo ribollire di creazione e distruzione, un

serbatoio di energia illimitata. Ma si tratta solo di analogie parziali. Non c’è nulla nel Dao

che assomigli all’aspetto personale dell’idea di divinità. E nello stesso tempo non è

qualcosa di lontano e inaccessibile all’essere umano: è simultaneamente quanto vi è di più

lontano e di più vicino, l’origine di tutte le cose e l’esperienza più intima e immediata. A

esso il saggio ‘ritorna’, in esso trova il suo ‘nutrimento’. Questo ritorno non è un

accrescimento, ma piuttosto uno svuotamento:

Praticare la conoscenza vuol dire

acquisire qualcosa ogni giorno.

Praticare il Dao vuol dire

perdere qualcosa ogni giorno.

Perdere e perdere fino ad arrivare al non agire. 3

Non facendo nulla, nulla resta incompiuto.

È un ritorno a uno stato di assoluta naturalezza, alla ‘semplicità del legno grezzo’. È

perdere ogni senso di un io separato e dotato di una volontà indipendente, di un io che

agisce autonomamente e cerca di imporre un proprio disegno. In questo senso il saggio

‘non agisce’: non si tratta di passività, di inerzia. Piuttosto il suo agire è come quello del

Dao stesso, è una spontanea espressione della sua natura, una spontanea risposta al

movimento della vita. Non contiene sforzo né intenzione predefinita. È piuttosto un

accadere che un agire: il saggio non interferisce. Si è, per così dire, tolto di mezzo. E’

divenuto una canna di bambù vuota, attraverso la quale il tutto suona la propria melodia.

In questo modo l’azione, senza far riferimento ad alcun canone di comportamento o norma

morale, possiede una sua intrinseca giustezza. E possiede una singolare, e agli occhi del

mondo magica, facilità e appropriatezza. Il saggio ‘non fa nulla’ e ogni cosa si ordina da

sé. Non fa nulla interiormente, cioè, e la sua azione esteriore è spontanea, leggera e precisa

come una danza.

La tradizione taoista da cui i testi contenuti in questo libro provengono nasce intorno al

sesto secolo a.C., insieme all’altra grande scuola di pensiero che ha segnato

profondamente la storia e la cultura cinese, il confucianesimo. Si tratta di due tendenze per

certi versi opposte e complementari, che tuttavia si intrecciano e si sovrappongono. Il

concetto di Dao è fondamentale in entrambe, ma assume un senso piuttosto diverso

nell’una e nell’altra.

Per i taoisti l’esperienza centrale è quella dell’individuo nel suo contesto naturale, a

contatto con il mistero dell’esistenza. I temi fondamentali sono la natura intrinseca delle

cose e il posto che l’essere umano occupa in essa. I confuciani invece partono dall’essere

umano nel suo contesto sociale. Non sono particolarmente interessati alla natura al di fuori

del contesto umano o all’individuo al di fuori del contesto sociale. Sulle questioni ultime il

loro atteggiamento è un prudente e pragmatico agnosticismo. Il problema concreto che li

appassiona è come la società umana possa darsi codici di comportamento corretti ed

efficaci, forme e rituali che realizzino il Dao dell’uomo, nella sua collocazione fra cielo e

terra.

Questi due approcci portano a punti di vista molto diversi sia sul cammino della

realizzazione individuale, sia sul problema dell’ordinamento sociale. All’approccio

intuitivo e esistenziale dei taoisti, che pone l’accento sulla semplicità e sulla naturalezza, si

contrappone l’approccio basato sulla ragione, sulla conoscenza, sull’educazione e sul

raffinamento delle forme culturali da parte dei confuciani. E, in termini sociali, la tendenza

confuciana a strutturare fortemente la società si scontra con la critica ‘individualista’ dei

taoisti, per i quali

Perciò, quando il Dao va perduto appare la virtù;

quando la virtù va perduta appare la benevolenza;

quando la benevolenza va perduta appare la giustizia;

quando la giustizia va perduta appare il rituale. 4

Il rituale è solo il guscio esteriore della sincerità

e l’inizio del disordine.

Ciononostante il confucianesimo, che diviene sotto gli Han (206 a.C.-220 d.C.) la dottrina

ufficiale dell’impero, assorbe a varie riprese elementi del taoismo e fra le due tendenze vi

è scambio e compenetrazione non meno che antagonismo e contrapposizione. Lo stesso

Confucio (551-479 a.C.) è uno dei personaggi che ricorrono più frequentemente nei

racconti di Zhuangzi e di Liezi: spesso caratterizzato in modo ironico, ma a volte anche

assimilato a un saggio taoista.

Alcune parole sui testi contenuti in questa raccolta e sui loro autori. I passaggi qui tradotti

provengono dai tre principali classici della tradizione taoista, che, a parte il primo (il Dao

De Jing o Tao Te Ching), sono generalmente indicati soltanto con il nome del rispettivo

autore, Laozi (Lao Tzu), Zhuangzi (Chuang Tzu), e Liezi (Lieh Tzu). Date e identità degli

autori di questi testi sono ampiamente dibattute e la storiografia oscilla fra una posizione

scettica, che tende a negare le attribuzioni tradizionali e a vedere in essi compilazioni di

materiali di epoche diverse, e una tendenza a ridare credito alle fonti tradizionali.

Dao De Jing (Laozi)

È un libricino di poco più di cinquemila caratteri, diviso in 81 capitoli, che ha esercitato

un’enorme influenza sul pensiero cinese ed è forse uno dei libri più tradotti al mondo.

Lo storico Su-ma Qian (circa 163-86 a.C.) ci dice che il suo autore si chiamava Li Er

(Laozi non è un nome proprio: lao significa ‘vecchio’ e zi è semplicemente un termine di

rispetto, onde Laozi è qualcosa come ‘il vecchio maestro’) e che era responsabile degli

archivi imperiali della dinastia Zhou. Su-ma Qian ce lo presenta come un contemporaneo

più anziano di Confucio, il che ne collocherebbe la nascita verso l’inizio del sesto secolo

a.C. Racconta inoltre l’origine del libro in questi termini. In tarda età Li Er lasciò la

capitale per andare a morire in solitudine dirigendosi verso Occidente. Trovandosi ad

attraversare un passo o una frontiera, fu invitato dal ‘guardiano del passo’ a lasciare una

testimonianza del suo insegnamento e scrisse perciò il Dao De Jing, il ‘classico (jing) del

Dao e della sua realizzazione (de)’. Sull’attendibilità del racconto di Su-ma Qian le

opinioni sono discordi: secondo alcuni Laozi sarebbe vissuto nel quarto o nel terzo secolo

a.C., secondo altri sarebbe una figura puramente leggendaria. Il più antico esemplare del

Dao De Jing di cui disponiamo è stato trovato nella tomba di Mawangdui (167 a.C.) e

corrisponde quasi esattamente al testo che ci è stato tramandato.

Zhuangzi

Lo Shi Ji (Resoconti dello storico) di Su-ma Qian è la fonte tradizionale anche per quanto

riguarda Zhuangzi. Secondo Su-ma Qian, egli visse nel quarto secolo a.C. in un luogo

chiamato Meng, il suo nome personale era Zhou, era un funzionario nei ‘giardini della

lacca’, e scrisse ‘un’opera di oltre centomila caratteri, per lo più della natura della favola’.

Il testo attuale dello Zhuangzi è quello stabilito e commentato da Guo Xiang (morto nel

312 d.C.). Esso è diviso in 33 capitoli, dei quali i primi 7 sono detti ‘interni’, i successivi 5

15 ‘esterni’ e gli ultimi 11 ‘misti’. I capitoli interni sono considerati il cuore dello

Zhuangzi, probabilmente i più antichi e opera di un singolo autore. I rimanenti capitoli

sono di livello disuguale: alcune parti sono brillanti e originali quanto i capitoli interni,

altre hanno piuttosto il carattere di rifacimenti e imitazioni di epoca successiva.

Liezi

Ciò che sappiamo di Liezi è ancora meno di quanto sappiamo degli autori degli altri due

testi. È più volte citato nello Zhuangzi e anche in altri testi taoisti troviamo accenni a un

certo Liezi che ‘viaggiava cavalcando il vento’. Nel suo proprio libro egli figura in vari

passaggi, da cui si deducono informazioni biografiche, non sappiamo quanto attendibili. Il

più antico testo del Liezi di cui disponiamo è quello commentato da Zhang Zhan (circa 370

d.C.). Il libro consiste di otto capitoli, uno dei quali è quasi certamente un’interpolazione.

Lo stile narrativo semplice e diretto del Li

Dettagli
Publisher
A.A. 2018-2019
112 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-OR/23 Storia dell'asia orientale e sud-orientale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher mi.na.23 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Religioni e filosofie dell'Asia orientale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Rossi Donatella.