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2 I PROBLEMI DI MENTALIZZAZIONE NEI BAMBINI E NEGLI ADOLESCENTI
2 I problemi di mentalizzazione nei bambini e negli adolescenti
2.1 Una tassonomia dei fallimenti nella mentalizzazione nei bambini e negli
adolescenti
La mentalizzazione distorta si riferisce ad un’interpretazione errata o a una lettura distorta della
mente in cui vengono attribuiti stati mentali alle menti altrui, ma in modo sistematicamente distorto.
La pseudomentalizzazione riguarda, invece, quella lettura della mente che assomiglia alla
mentalizzazione, ma manca di alcune delle caratteristiche essenziali della vera e propria
mentalizzazione.
È chiaro che al di là di una totale assenza di mentalizzazione, esistono diversi modi in cui la
mentalizzazione può risultare compromessa – che vengono definiti (scherzando) da Allen, Fonagy e
Bateman (2008) come “escrementalizzazione: mentalizzare ma facendolo da schifo”.
2.2 L’assenza di mentalizzazione
Nell’ambito di studio della ToM, è stata studiata l’ipotesi di un’assenza di mentalizzazione sottostante
ai disturbi dello spettro autistico. La maggior parte dei ricercatori in questo settore ha adottato una
visione cognitiva modulare della mentalizzazione, simile alla concettualizzazione di Chomsky (1980)
dello sviluppo linguistico come un insieme di schemi presenti nella struttura del cervello umano.
Nella sua forma più estrema, i ricercatori che aderiscono all’approccio modulare vedono l’autismo
come esempio di una condizione clinica in cui il modulo della ToM è stato eliminato come se ci fosse
una lesione.
La prima prova che ha fornito l’idea che gli individui autistici possano mancare del modulo della
ToM è stata fornita in uno studio di Baron-Cohen, Leslie e Frith (1985). La prestazione in un compito
di “falsa credenza” di un gruppo di bambini autistici di undici anni è stata confrontata con quella di
bambini della stessa età con sindrome di Down e di bambini di quattro anni clinicamente normali.
Durante il compito, un personaggio impersonato da una bambola (Sally) colloca un oggetto in un
cestino. Poi, un altro personaggio (Anne) nascondeva l’oggetto in un luogo diverso, mentre Sally era
fuori dalla stanza. Ai partecipanti veniva chiesto dove Sally avrebbe cercato l’oggetto al suo ritorno.
I risultati hanno mostrato che l’80% dei bambini autistici non era in grado di comprendere la “falsa
credenza” di Sally relativa al luogo in cui si trovava l’oggetto.
Gli autori hanno concluso che i bambini autistici potrebbero non avere la capacità di costruire teorie
sui contenuti (credenze o false credenze) della mente altrui, un deficit che è stato definito, con un
termine ormai noto, come “cecità mentale” (mind-blindness).
2.3 L’ipomentalizzazione: non abbastanza di una buona cosa
Nonostante le evidenze iniziali ci una completa assenza di ToM nell’autismo, si è rilevato che un
numero significativo di bambini e adolescenti riusciva a superare i compiti di falsa credenza. Inoltre,
molti ricercatori hanno iniziato a riformulare il concetto di ToM, considerandola all’interno di un
continuum, al contrario di una visione categoriale. Per esempio Baron-Cohen e colleghi hanno
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CAPITOLO 2 A.A.
APPUNTI DI PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO ATIPICO
LA MENTALIZZAZIONE /2019
E DELLA RELAZIONE BAMBINO-CAREGIVER 2018
NEL CICLO DELLA VITA
sviluppato un approccio alla mentalizzazione dove la ToM è considerata il modulo posto al livello
più basso di un continuum più articolato relativo alla capacità di “empatia”. In questa visione, i
bambini autistici possono essere situati all’estremo inferiore del continuum di empatia.
Ampliando ulteriormente la convezione di un continuum della ToM, una crescente letteratura ha
dimostrato la compromissione di moduli che si trovano a un livello ancora più basso, precedente allo
sviluppo della ToM, all’interno dell’ampio continuum dell’empatia. Inoltre, la scarsa mentalizzazione
nei bambini autistici è presente anche durante l’età prescolare. Questi bambini hanno meno
probabilità di riuscire a compiere distinzioni tra eventi mentali e fisici o tra apparenza e realtà, di
comprendere le funzioni del cervello o della mente, nel distinguere i verbi mentali da quelli non
mentali; hanno difficoltà nella comprensione degli stati mentali complessi e tendono a confondere i
ricordi delle proprie azioni con quelli delle azioni di altre persone. Nel suo insieme, una solida
letteratura evidenzia come i bambini e gli adolescenti autistici abbiano una ridotta capacità di
mentalizzare in tutte le fasi dello sviluppo.
2.4 Mentalizzare o non mentalizzare: l’iper e l’ipomentalizzazione nella schizofrenia
1
Il cluster dei sintomi negativi della schizofrenia a esordio precoce in adolescenza sembra presentare
una riduzione della mentalizzazione simile a quella osservata nell’autismo. Tuttavia, questi fallimenti
nella mentalizzazione sembrano essere l’esito di inferenze inesatte di stati mentali, associate ai
2
sintomi positivi della schizofrenia, piuttosto che di uno scarso sviluppo o di un’assenza di
attribuzioni di stati mentali tipici invece dell’autismo. Langdon e colleghi interpretano le
caratteristiche paranoidi di alcuni dei sintomi positivi della psicosi (come le allucinazioni) come
forme di ipermentalizzazione dove la ToM risulta disregolata per via delle inferenze compromesse,
rigide o estreme riguardanti di gli indizi sociali e gli eccessi di attribuzione di stati mentali e di
intenzioni. Detto semplicemente, secondo questa visione le persone affette da schizofrenia tendono
ad attribuire intenzioni laddove non esistono.
Langdon e collaborati hanno spiegato la ipermentalizzazione come originata dall’incapacità di
assumere diverse prospettive. In sostanza, gli individui affetti da schizofrenia hanno difficoltà a
leggere la mente (ipomentalizzazione) e di conseguenza proiettano i propri sospetti paranoici e
pregiudizi sugli altri (ipermentalizzazione).
2.5 L’ipermentalizzazione: troppo di una buona cosa
Nel descrivere la tendenza a ipermentalizzare presente nelle persone affette da schizofrenia, Langdon
e Brock (2008) citano Nesse (2004), che ha scritto che “coloro che hanno lavorato con gli
schizofrenici conoscono la strana sensazione di essere con qualcuno le cui intuizioni sono acutamente
sintonizzate su sottili segnali involontari, anche quando la persona è incapace di un’accurata
comprensione empatica”. Questa affermazione potrebbe benissimo essere stata fatta da clinici che
lavorano con il disturbo borderline di personalità (DBP).
1 Schizofrenia • sintomi negativi (o di Tipo II): deficit patologici, come affettività appiattita, perdita della motivazione
e povertà di linguaggio.
2 Schizofrenia • sintomi positivi (o di Tipo I): eccessi patologici, come deliri, allucinazioni, e comportamenti, pensieri
o eloquio disorganizzati.
102 CAPITOLO 2
A.A. APPUNTI DI PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO ATIPICO LA MENTALIZZAZIONE
/2019 E DELLA RELAZIONE BAMBINO-CAREGIVER
2018 NEL CICLO DELLA VITA
In un recente studio (Sharp, Pane, Ha et al., 2001), abbiamo utilizzato la prova Movie for the
3
Assessment of Social Cognition (MASC) per indagare per la prima volta, i problemi di
mentalizzazione negli adolescenti borderline.
Nel loro insieme, i risultati del nostro studio confermano le evidenze cliniche relative al fatto che la
mentalizzazione disfunzionale nelle persone con DBP è maggiormente caratterizzata dall’utilizzo di
strategie alternative inusuali (ipermentalizzazione) che non dalla perdita di questa capacità (assenza
di mentalizzazione o ipomentalizzazione). L’ipermentalizzazione nelle persone con DBP non è il
risultato della “cecità mentale”, anzi, questi individui tendono a scontrarsi con l’integrazione e la
differenziazione degli stati mentali. Dunque, i deficit di mentalizzazione nelle persone con DBP
sembrano operare a un livello metacognitivo superiore, anziché a un livello percettivo inferiore.
La tendenza degli adolescenti borderline a ipermentalizzare può essere dovuta alle storie traumatiche
associate al DBP. Recenti ricerche sugli animali suggeriscono che i traumi precoci possono
influenzare in modo permanente l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA). Anche la ricerca con i
bambini traumatizzati ha dimostrato cambiamenti persistenti nell’asse HPA. Infatti, negli adulti con
DBP si è riscontrata una responsività elevata allo stress; l’aumento della risposta allo stress a sua
volta influenza la capacità di mentalizzare. Un recente studio ha dimostrato che donne che reagiscono
allo stress con altri livelli di cortisolo commettono più errori di mentalizzazione – in particolare per
la tendenza a ipermentalizzare – dopo l’induzione di stress, evidenziando in tal modo che la risposta
allo stress modula la mentalizzazione.
È anche possibile che l’ipermentalizzazione possa svilupparsi non solo in presenza di abusi, ma anche
in assenza dei fattori protettivi che smorzano l’influenza dello stress – specialmente l’attaccamento
sicuro. Nel modello di sviluppo della mentalizzazione, la sicurezza dell’attaccamento fornisce al
bambino il contesto in cui sviluppare la propria abilità mentalistica, attraverso la capacità del
caregiver di trattarlo come un agente psicologico.
Mentre l’esposizione a stress cronici ed episodici e un contesto di attaccamento insicuro sono cause
ambientali che contribuiscono allo sviluppo dell’ipermentalizzazione, è possibile che l’ipersensibilità
interpersonale venga ereditata. La conoscenza dei correlati neuronali della mentalizzazione supporta
4
l’idea dell’ipermentalizzazione come di un endofenotipo neurocognitivo, relativo a una
predisposizione genetica al fenotipo comportamentale di relazioni interpersonale disturbate.
3 La Movie for the Assessment of Social Cognition (MASC) consiste nel chiedere alle persone di guardare un filmato di
quindici minuti, riguardante quattro personaggi (Sandra, Michael, Betty e Cliff), che si riuniscono per una cena. I
personaggi nel film manifestano caratteristiche stabili (tratti), che li differenziano l’uno dall’altro (per esempio, espansivo,
timido, egoista ecc.). Ogni segmento di filmato tratta tematiche di amicizia e di appuntamento tra persone e, durante il
film, ogni personaggio sperimenta situazioni differenti. Queste situazioni sono pensate per suscitare emozioni e stati
mentali, come rabbia, gratitudine, gelosia, paura, ambizione, imbarazzo o disgusto. Le relazioni tra i personaggi variano
nel grado di intimità (da amici a estranei) e rappresentano, quindi, diversi sistemi di riferimento sociale sulla base dei
quali fare inferenze sugli stati mentali. S