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Gli studi sul caregiving system
Il concetto di caregiving system (tradotto in termini misurabili) si è avuto grazie agli studi attraverso la Parental Development Interview, che gli autori hanno utilizzato per l'analisi delle rappresentazioni mentali genitoriali. George e Solomon hanno considerato 2 dimensioni della PDI: la base sicura e la competence. La base sicura valuta se e come le madri, nelle loro descrizioni della relazione, si configurano capaci di considerare i bisogni propri e del bambino, di includere tali informazioni in modo flessibile nelle proprie azioni e di attivare strategie equilibrate per far fronte in un modo supportivo alle situazioni in cui il bambino incontra delle difficoltà. La competence valuta se e come le madri dicono di agire sostenendo il percorso evolutivo del figlio, proponendo nuovi stimoli, facendo domande e rappresentando loro stesse come facilitatrici. In uno studio successivo considerano 4 differenti dimensioni: la base sicura, il rifiuto, ecc.l'impotenza e l'incertezza. La dimensione di rifiuto considera il grado con cui le rappresentazioni materne riflettono immagini del sé e del bambino come incapaci di partecipare alla relazione. La dimensione di incertezza valuta il grado con cui le rappresentazioni materne riflettono aspetti quali il dubbio, confusione, il vacillare rispetto alle opinioni sul sé nel proprio ruolo da genitore, sul bambino e sulla relazione. La dimensione di impotenza misura il grado in cui nel racconto materno gli eventi, la relazione e il bambino sono raffigurati come "fuori dal proprio controllo".CAPITOLO 2- LA REAZIONE DEI GENITORI ALLA DIAGNOSI DI DISABILITÀ O DI MALATTIA DEL FIGLIO
Processo di La nascita di un bambino affetto da malattia o disabilità: preazione alla diagnosi
La diagnosi di disabilità o malattia cronica di un figlio rappresenta uno dei momenti più difficili e critici per una coppia genitoriale. La famiglia con un bambino con
disabilità esperisce alti livelli di stress e tale stress è spesso associato a una serie di difficoltà che possono riguardare l'intera famiglia (aumento del rischio di depressione genitoriale, problemi ulteriori nel bambino, nella costruzione del legame affettivo genitore-figlio e nelle interazioni familiari). Nella mente materna, già nel corso della gravidanza si sviluppano rappresentazioni o immagini del bambino. Si crea una rappresentazione del BAMBINO FANTASMATICO, collegata alle fantasie edipiche dell'infanzia del genitore e una rappresentazione del BAMBINO IMMAGINARIO che è collegata alle fantasie e alle aspettative genitoriali attuali. Tali rappresentazioni si incontrano solo alla nascita con il BAMBINO REALE, con le sue effettive caratteristiche. L'incontro tra le diverse immagini del bambino impronterà la relazione tra genitore e bambino con esiti diversi, a seconda che queste rappresentazioni abbiano un carattere prevalentemente.flessibile e positivo oinvece rigide e negative. Quando il bambino che nasce ha una disabilità o malattia cronica, integrare le diverse immagini del bambino è ancora più complesso. Il bambino immaginato è una rappresentazione molto lontana dal bambino reale. Sebbene la nascita di un bambino comporti sempre un adattamento della coppia genitoriale e della famiglia nel complesso, quando nasce un bambino portatore di disabilità o malattia cronica, tale situazione si connota come fortemente stressante; lo stress può raggiungere livelli particolarmente elevati e prolungati nel tempo e ciò può interferire in maniera significativa nella costruzione della relazione genitore-bambino, con profonde ripercussioni sullo sviluppo futuro del bambino e sul benessere della famiglia stessa. Le fasi del processo di reazione alla diagnosi: 1- SHOCK E STORDIMENTO INIZIALE: un tale stato genera un senso di impotenza e confusione che non consente ai genitori disvolgere le normali attività quotidiane, di comprendere ciò che gli sta accadendo, le indicazioni e le spiegazioni mediche, i bisogni del bambino. In questa fase il genitore vive una netta scissione tra le rappresentazioni del bambino atteso, idealizzato e perfetto e il bambino reale, malato, con problemi, "rotto", destinato ad una vita infelice. 2- NEGAZIONE DEL PROBLEMA: il genitore rifiuta la diagnosi, tanto da convincersi che la malattia non sia reale o che sia una situazione temporanea e risolvibile. Si assiste spesso a una ricerca esasperata di evidenze differenti per disconfermare la diagnosi ricevuta, chiedendo svariati consulti medici. La ricerca di tali consulti può essere interpretata come l'espressione del meccanismo di difesa della negazione, ma anche come bisogno di riparazione per una malattia di cui il genitore, ancora a livello inconscio, si sente responsabile. Tali atteggiamenti sono negativi, dal momento che non consentono al genitore dimisurarsi con la realtà della malattia, di rilevare i bisogni del figlio e conseguentemente di impegnarsi nel trovare le soluzioni relazionali e terapeutiche maggiormente adattive per lo sviluppo del bambino.
3- ALTERNANZA DI EMOZIONI DIFFERENTI: la rabbia e la collera, rivolta verso persone differenti (medici, personale sanitario, il partner, i propri genitori, ma anche verso il figlio). La vergogna e la colpa, il genitore si sente responsabile della malattia del figlio; è tipico soprattutto delle madri accusarsi di aver causato la malattia del figlio. Questo sentimento può generare impotenza e inadeguatezza, il genitore si sente incapace di prendersi cura del figlio. Tutto ciò si acuisce nei casi di malattia a trasmissione ereditaria.
In molti casi, dopo un certo periodo di tempo, ha inizio una quarta fase, L’ADATTAMENTO ALLA REALTA E L’ACCETTAZIONE. Questa fase non può essere immediata, il genitore deve prima attraversare un momento di sofferenza.
attraverso una fase depressiva, si giunge a una contrattazione della situazione reale che consente di prendere consapevolezza sia dei limiti sia delle risorse legate alla malattia del figlio e riorganizzare la propria vita per affrontare la situazione. Tale processo di reazione alla diagnosi non si configura come un percorso lineare, ma appare caratterizzato da un'alternanza e una sovrapposizione continua tra stati emotivi e sentimenti differenti rispetto al Sé, alla situazione, al figlio e agli altri attori significativi di questo processo. Non tutti però arrivano a superare tutte le fasi descritte in modo adeguato, giungendo all'accettazione della diagnosi, a tal proposito vi sono TRE DIVERSE REAZIONI DI NON ACCETTAZIONE DELLA DIAGNOSI: 1) GENERALE ATTEGGIAMENTO DI RIFIUTO DEL BAMBINO. Il genitore trascura il bambino, non si preoccupa della malattia, nega alcuni problemi connessi alla malattia, non cerca possibili terapie o trattamenti per il figlio. 2)- IPERCOINVOLGIMENTO O IPERPROTEZIONE. Il genitore isola il bambino in un guscio che considera protettivo, impedendogli il contatto con i pari, non consentendogli di esplorare l'ambiente, di sviluppare la propria autonomia nelle diverse aree dello sviluppo. Tutto ciò sviluppa nel bambino un senso di timore verso l'esterno che sfocia in isolamento, eccessiva dipendenza del bambino dai genitori. È particolarmente tipico delle madri regredire a forme di relazione primitive, caratteristiche di fasi di vita precedenti dello sviluppo del bambino: si instaura un legame simbiotico in cui non c'è spazio per altri partner o altre relazioni, in un momento di vita del figlio in cui egli avrebbe invece bisogno di strutturare legami alternativi a quello della madre.
- IPERSTIMOLAZIONE. Il genitore sollecita, sprona il bambino in maniera eccessiva; esaspera il confronto con gli altri, evidenziando carenze, ritardi; non riesce a considerare le caratteristiche e i ritmi
personali del proprio bambino e non riesce a sottolineare le acquisizioni, le capacità, le risorse e le conquiste ottenute. Riprendendo il concetto di ZONA DI SVILUPPO PROSSIMALE, il genitore non solo non è in grado di definire il livello attuale dello sviluppo del bambino, ma non è nemmeno in grado di determinare il suo livello potenziale, spingendo il bambino verso apprendimenti non ancora adeguati al suo grado di sviluppo, con esiti negativi.
La comunicazione della diagnosi
Il processo di reazione alla diagnosi è particolarmente influenzato dal tipo di comunicazione della diagnosi da parte dei professionisti. Esso rappresenta uno dei momenti più delicati sia per la famiglia sia per i servizi, oggi è ampiamente riconosciuto che il tipo di comunicazione può aiutare il genitore a sviluppare una reazione più costruttiva e attiva e di conseguenza a giungere all'accettazione della diagnosi.
È possibile quindi affermare che la
modalità di comunicazione della diagnosi possono, in ultima istanza, influenzare in maniera positiva o negativa la relazione affettiva genitore-figlio. Una diagnosi di disabilità è certamente un'esperienza drammatica e dolorosa, tuttavia, il genitore può vivere tale momento come un sollievo, perché ciò consente di dare un significato ad alcune caratteristiche e ad alcuni comportamenti del bambino, prima poco comprensibili. Oggi sembra esserci un generale accordo nel concepire la comunicazione della diagnosi non semplicemente come un unico momento, ma come un processo. L'esperienza ha rilevato l'inefficacia e i rischi associati ad alcune modalità di comunicazione della diagnosi: a) la comunicazione rapida e approssimativa, b) la comunicazione effettuata in un unico incontro, c) la comunicazione effettuata a un solo genitore, da parte di un unico professionista, d) la comunicazione effettuata con informazioni insufficienti o errate. È importante invece adottare una comunicazione che sia: 1) Graduale: la diagnosi deve essere comunicata in modo progressivo, permettendo al genitore di assimilare le informazioni gradualmente e di elaborarle emotivamente. 2) Chiara e comprensibile: le informazioni devono essere trasmesse in modo chiaro e comprensibile, evitando l'uso di termini tecnici o ambigui. 3) Empatica: il professionista deve dimostrare empatia e sensibilità nei confronti del genitore, riconoscendo la sua sofferenza e offrendo sostegno emotivo. 4) Coinvolgente: il genitore deve essere coinvolto attivamente nel processo decisionale, permettendogli di esprimere le proprie preoccupazioni, domande e desideri. 5) Supportata da risorse: il professionista deve fornire al genitore informazioni accurate e risorse utili per affrontare la diagnosi e le sfide che essa comporta. In conclusione, la comunicazione della diagnosi di disabilità è un momento cruciale che richiede attenzione e cura da parte dei professionisti coinvolti, al fine di favorire una relazione affettiva genitore-figlio sana e positiva.La diagnosi dovrebbe al contrario:
- essere comunicata attraverso una serie di incontri
- Coinvolgere diverse figure professionali.
- le indicazioni dovrebbero essere fornite in modo chiaro e specifico, l'obiettivo di tali incontri non è solo quello di fornire indicazioni sulla malattia, ma soprattutto è necessario prestare attenzione ai genitori.
- Bisogna intendere tale processo come un iniziale accompagnamento e un sostegno ai genitori. La comunicazione della diagnosi dovrebbe essere vissuta in maniera partecipativa.
- essere comunicata congiuntamente, a entrambi i genitori. Tale modalità da un lato consente ai 2 adulti di poter far affidamento nella presenza dell'altro. Dall'altro lato evita anche di lasciare l'onere, a uno dei due genitori, di dover dare la comunicazione al partner.
I primi incontri di comunicazione della diagnosi coincidono con la fase di shock e disorientamento, in questa fase è necessario...