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Storicamente il termine “RESILIENZA” è stato impegnato soprattutto nel campo della

fisica, per indicare la capacità di un corpo di resistere a urti violenti, o nell’ambito

dell’ingegneria, per descrivere la proprietà di un materiale che recupera la sua forma

originale dopo essere stato deformato sotto pressione. Successivamente è stato

introdotto nelle scienze umane per indicare quelle persone che riescono a resistere

all’impatto psicologico di situazioni negative e potenzialmente traumatiche rivelando

un buon adattamento psicosociale. La resilienza ha i suoi fondamenti nel dramma, nel

sogno americano, che si basa sul principio che tutto può succedere, basta volerlo e

lavorare duro per ottenerlo. Secondo Rutter la pratica di utilizzare la resilienza come

un sinonimo di invulnerabilità si rivela inadeguata per almeno quattro ordini di motivi:

1. il termine invulnerabile rimanda ad un’assoluta resistenza al danno da parte

dell’individuo, mentre è appropriato definire la resilienza come un fenomeno

graduale

18.corre il pericolo di essere applicata indistintamente a tutte le situazioni, mentre

sappiamo che è necessario che ci sia una reale condizione di pericolo per la salute

dell’individuo e che l’adattamento psicologico dei soggetti deve poter essere

definito funzionalmente adeguato

19.sembra implicare che la resilienza sia un carattere interno all’individuo

20.si riferisce a caratteristiche immutabili nel tempo mentre la resilienza va incontro a

cambiamenti evolutivi.

Quindi dalle prime ricerche che attribuivano alla resilienza il significato di invincibilità,

si è passato alla concezione sviluppata negli anni ’80 per cui la resilienza era un

insieme di fattori individuali per approdare poi alla ricerca attuale, che definisce la

resilienza come processo dinamico che si verifica quando si è in una condizione di

trauma e si raggiunge un adattamento positivo.

Considerare la resilienza un attributo interno dell’individuo, fisso e immutabile, può

comportare un legittimare la rinuncia verso qualsiasi forma di azione preventiva. Negli

anni Cinquanta i cognugi Block introdussero il costrutto di Ego-resiliency, e arrivarono

a definire cinque tipologie di personalità, relativamente stabili nel tempo:

1. Ego-resilients: ovvero gli individui ben inseriti e molto competenti nei rapporti

interpersonali

21.Unsettled undercontrollers: soggetti molto impulsivi e antisociali

22.Vulnerable overcontrollers: soggetti controllati, rigidi e disadattati

23.Belated adjusters: soggetti che vanno incontro all’adattamento sono nell’età

adulta dopo un’infanzia e un’adolescenza problematiche

24.Anomic extraverts: soggetti ben adattati nell’adolescenza ma disadattati nell’età

adulta

LA RESILIENZA DELL’IO è in generale la capacità di adattarsi con successo e in

maniera flessibile agli eventi stressanti interni ed esterni. L’opposto della resilienza

dell’io è la fragilità dell’io.

Grotberg vede la resilienza come il risultato dell’interazione tra risorse interne ed

esterne al bambino. Individua tre tipologie di fattori utili per categorizzare le diverse

fonti di resilienza, che definisce I AM, I HAVE, I CAN. La prima categoria riguarda le

risorse individuali, la seconda le fonti di supporto esterne e la terza le abilità e le

competenze che si riferiscono alla sfera delle relazioni interpersonali. I fattori

individuali associati alla resilienza sono sintetizzati da Benard lungo 4 dimensioni

che compongono il profilo del bambino resiliente:

- le competenze sociali sono tipiche di bambini molto reattivi e socialmente efficienti

fin dalla prima infanzia, con uno spiccato senso dello humour e alti livelli di

creatività;

- le capacità di problem solving che corrispondono ad alti livelli di abilità cognitive;

- l’autonomia personale contiene tutti quegli attributi che si riferiscono a un’immagine

positiva del sé;

- il senso del futuro, l’insieme di credenze relative al grado di controllo che si può

avere sulla propria vita e sul proprio ambiente.

Le caratteristiche individuali sono quelle che da decenni la letteratura sul rischio

psicosociale indica come fattori protettivi. Le risorse esterne, sempre sulla base di

ciò che sintetizza Benard, sono riconducibili a tre tipi di contesti: la famiglia, che deve

fornire relazioni affettuose e supporto sociale, deve avere aspettative ambiziose ma

realistiche nei confronti dei figli e deve offrire loro l’opportunità di sentirsi membri

della famiglia. La scuola può fungere da fattore protettivo, aiutando i bambini a

fronteggiare lo stress derivante dalle vicissitudini che vivono nel proprio ambiente,

come l’alcolismo o la psicopatologia dei genitori o la povertà. La comunità, che

consiste nell’offerta di risorse necessarie a raggiungere una qualità della vita

soddisfacente, come per esempio i servizi di cura per la salute e per l’infanzia, gli

alloggi, l’offerta educativa e formativa, le possibilità di impiego e di svolgere attività

ricreativo-culturali.

Il modello organizzativo- evolutivo della resilienza spiega come queste

caratteristiche interagiscano tra loro per determinare la capacità di affrontare le

esperienze negative nel corso dello sviluppo. Offre una cornice teorica per

comprendere la continuità/discontinuità dell’adattamento delle prime fasi dello

sviluppo. In particolare, descrive come la risoluzione dei compiti evolutivi tipici della

prima infanzia possa influenzare e modellare il modo in cui verranno affrontati periodi

successivi dello sviluppo. In una tale prospettiva resilienza non è sinonimo di

competenza.

RESILIENZA E ADATTAMENTO PSICOSOCIALE (CAP 4)

Resilienza e adattamento positivo vengono frequentemente usati come sinonimi, ma

la maggior parte degli studiosi impegnati in questo ambito di indagine sostiene che

esistano delle valide ragioni per considerare i due concetti come differenti e separati,

anche se in stretta connessione. L’adattamento positivo si riferisce alle capacità

dell’individuo di mostrare un buon funzionamento sia relativamente alle dimensioni

interne, che esterne, oppure rispetto a una combinazione delle due, come essere felici

e avere successo a scuola e nel lavoro. Molti autori accompagnano il concetto di

adattamento positivo a quello di competenza. Quest’ultima si riferisce alla capacità di

funzionare in modo efficace nel mondo in relazione ad alcune aspettative che si

basano sulle norme di comportamento tipiche del contesto di riferimento, e i

ricercatori concordano nel considerarla come un concetto multidimensionale, che

riguarda diversi fattori di vita. Sono numerose le ricerche che utilizzano il

raggiungimento dei compiti evolutivi tipici di una determinata fascia d’età per

misurare l’adattamento positivo dei partecipanti.

Ecco quali sono i fattori e i processi che concorrono a determinare l’adattamento di

bambini e adolescenti che affrontano diversi tipi di situazioni avverse:

1. Bambini con genitori affetti da psicopatologia: le ricerche hanno messo in

luce una forte connessione tra la psicopatologia dei genitori e il rischio di

sviluppare problemi psichiatrici di varia natura da parte dei figli. I figli di genitori

affetti da disturbi mentali sono maggiormente a rischio di manifestare forme di

disadattamento rispetto a quelli di genitori che non presentano questo tipo di

problematica. Vengono innanzitutto contemplati fattori relativi al genitore, come la

cronicità del disturbo, la sua età di comparsa. La trasmissione intergenerazionale

viene mediata in modo significativo dalla qualità dell’interazione genitori-figli. Le

condizioni generali della famiglia sono altrettanto degne di considerazione poiché

la presenza di un disturbo psichiatrico può costituire una notevole minaccia alla

vita coniugale e familiare. Anche alcune caratteristiche dei bambini rivestono un

ruolo importante nel determinare l’impatto che la psicopatologia dei genitori può

avere sull’adattamento dei figli. Possiamo infine rintracciare diverse condizioni di

ambiente extra familiare che svolgono il ruolo di fattori protettivi nella trasmissione

intergenerazionale della psicopatologia. Dobbiamo considerare la rete sociale

all’interno della quale sia il bambino sia i suoi genitori sono inseriti. Altro ruolo

importante è ricoperto dai servizi di cura.

25.Bambini maltrattati: con maltrattamento infantile ci si riferisce a tutte le forme di

cattiva salute fisica e/o emotiva, abuso sessuale trascuratezza, negligenza,

sfruttamento commerciale che comportano un pregiudizio reale o potenziale per la

salute del bambino. Sebbene la maggior parte di questi bambini manifesti forme di

disadattamento, una certa percentuale esibisce un funzionamento competente in

diversi domini. Nelle famiglie dei bambini maltrattati l’inadeguata qualità delle

relazioni di attaccamento, combinata a una limitata capacità di discutere le

emozioni e ad alti livelli di stress e depressione genitoriale, può causare disturbi

nella sfera dell’autoregolazione emotiva. Questi bambini possono mostrare anche

problemi relativi allo sviluppo del senso del sè. Diversi autori hanno cercato di

identificare gli attributi o le caratteristiche che contribuiscono a promuovere il

benessere psicologico e la resilienza nel caso del maltrattamento infantile. Si

possono distinguere varie categorie di fattori di questo tipo: le caratteristiche

individuali, tra queste le abilità cognitive sembrano essere predittori di resilienza

molto importanti. Anche l’abilità di comprendere in modo appropriato i

comportamenti dei propri coetanei costituisce un buon predittore della competenza

e dell’assenza di problemi comportamentali in bambini in età scolare; i fattori

relativi all’ambiente familiare, poichéè generalmente i genitori abusanti esibiscono

uno stile educativo caratterizzato da poco calore e sensibilità e da alta negatività e

intrusività. I ragazzi maltrattati con un maggiore adattamento hanno madri più

affettuose, meno ostili e controllanti; le relazioni esterne alla famiglia, in particolare

la disponibilità di relazioni di amicizia con i coetanei e con adulti significativi è

spesso associata a esiti adattivi anche a fronte di condizioni di rischio; l’ambiente

scolastico se positivo è associato a una minore probabilità di essere coinvolti in

comportamenti a rischio.

26.Bambini appartenenti a gruppi minoritari: l’appartenenza a minoranze etniche

e culturali è spesso connessa a esperienze di migrazione che, come abbiamo visto

nel capitolo precedente, sono considerate una fon

Dettagli
Publisher
A.A. 2017-2018
7 pagine
2 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/04 Psicologia dello sviluppo e psicologia dell'educazione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Barons98 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia dello sviluppo e dell'educazione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Verona o del prof Lavelli Manuela.