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INTRODUZIONE
Il termine “resilienza” (dal latino resalio, “saltare”, “rimbalzare” ) è stato utilizzato, primariamente,
presso le scienze fisiche ed ingegneristiche, ove sta ad indicare la capacità di alcuni oggetti
inanimati (ad esempio i metalli) di resistere ad urti e sollecitazioni dinamiche, senza per questo
perdere la propria integrità. Successivamente, è stato introdotto anche in Psicologia, ove fa
riferimento alla capacità di adattarsi positivamente, mostrando adeguati livelli di competenza, a
seguito di un evento avverso.
CAPITOLO 1 - CHE COS’E’ LA RESILIENZA
La resilienza: un costrutto tra scienza e mitologia
Si usa il termine “resilienza” per riferirsi a tutti i comportamenti di adattamento positivo di un
individuo a fronte di minacce alla sua incolumità fisica e/o psicologica.
La capacità di sopravvivere a circostanze avverse è un Leitmotiv di molti racconti e storie del
genere umano, nei quali questa capacità viene equiparata ad un “dono”, esclusivo di alcune persone.
Studi psicologici hanno sfatato questo mito, evidenziando il carattere di “ordinaria normalità” del
fenomeno: attualmente, la resilienza viene considerata un normale processo di sviluppo, che può
aver luogo in alcune condizioni e che deriva dall’interazione tra fattori esterni ed interni agli
individui.
L’introduzione del costrutto di resilienza in Psicologia, avvenuta negli anni ’70, la si deve agli studi
longitudinali delle équipes di Garmezy e di Werner, che si sono occupati, rispettivamente, di
ricerche sull’eziologia della schizofrenia e la sua trasmissione transgenerazionale e di ricerche sui
fattori che ostacolano un buon adattamento nel corso dello sviluppo nella popolazione hawaiana. I
risultati emersi da queste ricerche sono stati, per l’epoca, decisamente sorprendenti: gran parte dei
figli di soggetti schizofrenici non esibisce alcun disagio nell’adolescenza ed in età adulta e bambini
hawaiani classificati come “ad altro rischio” mostrano, in realtà, buone competenze accademiche,
lavorative e di relazione. A queste scoperte si deve l’interesse verso il fenomeno e la conseguente
nascita della scienza della resilienza. Quest’ultima si è sviluppata per ondate, che possono essere
riassunte nei punti seguenti:
1. approccio puramente descrittivo ricerca di attributi personali e risorse esterne associati
alla resilienza nei bambini considerati a rischio;
2. interazione tra fattori individuali ed ambientali nel determinare la resilienza questione
ancora attuale;
3. test di efficacia dei modelli di intervento che mirano al potenziamento dei fattori di
protezione;
4. integrazione delle conoscenze psicologiche con nozioni genetiche, statistiche ed inerenti lo
studio dello sviluppo neurocomportamentale.
Rischio psicosociale, fattori di protezione e vulnerabilità
Al costrutto di resilienza si legano tre concetti-chiave:
1. RISCHIO PSICOSOCIALE insieme delle condizioni ambientali ed individuali che
espongono ad un rischio superiore di morbosità mentale rispetto a quello della popolazione
generale.
I fattori di rischio comprendono quattro categorie: 1) caratteristiche individuali; 2) fattori
familiari; 3) variabili afferenti all’ambiente sociale; 4) eventi occasionali con valenza
negativa. Si distinguono, inoltre, fattori di rischio distali, che esercitano un’influenza
indiretta sull’individuo e non sono sufficienti a determinare conseguenze negative (ad
esempio, la condizione economica), e fattori di rischio prossimali, che esercitano
un’influenza diretta sull’individuo ed influiscono fin da subito sulle sue capacità di
adattamento (ad esempio, l’aver subito una violenza). I fattori di rischio non agiscono
singolarmente, bensì tendono a co-occorrere, motivo per cui si parla di rischio cumulativo.
Il gradiente di rischio è la relazione proporzionale tra fattori di rischio e probabilità che ci
siano problemi di adattamento ed i soggetti off the gradient sono quelli che hanno un
adattamento migliore/peggiore di quello ipotizzato sulla base del loro livello di rischio: il
concetto di rischio psicosociale è, pertanto, una probabilità, poiché può esistere una
differenza tra rischio potenziale e rischio reale;
2. FATTORI PROTETTIVI variabili individuali ed ambientali che annullano o limitano
l’azione negativa dei fattori di rischio, spostando la traiettoria di sviluppo dell’individuo
verso l’adattamento. I fattori protettivi comprendono: 1) caratteristiche individuali; 2) fattori
familiari; 3) caratteristiche della comunità in cui la persona vive; 4) fattori legati alla scuola
ed al sistema educativo. C’è variabilità individuale, il che significa che un determinato
fattore può essere protettivo in certe situazioni e non in altre, che le persone non hanno a
disposizione sempre gli stessi fattori protettivi nel corso della loro vita e che li utilizzano in
modo diverso a seconda della fase di sviluppo in cui si trovano. Quindi, i fattori protettivi
agiscono contrastando i fattori di rischio (con un’azione di neutralizzazione o di limitazione
della loro influenza ed in questo ultimo caso si parla di azione “a cuscinetto” od “a
tampone”) o potenziando le risorse di adattamento dell’individuo, per esempio mettendo a
disposizione nuove opportunità e promuovendo il benessere e l’autostima.
I fattori protettivi vanno distinti dai fattori che promuovono la resilienza: i primi sono
variabili che agiscono in condizioni tanto di avversità quanto non negative, mentre i secondi
sono dati dall’insieme delle variabili individuali ed ambientali che agiscono SOLO in
situazioni di rischio elevato;
3. VULNERABILITA’ tendenza a sopperire al peso di circostanze avverse, mostrando
forme di patologia e disturbi psicologici. E’ risultato dell’interazione tra caratteristiche
individuali ed ambientali ed aumenta la suscettibilità ai fattori di rischio. E’ stata descritta
attraverso la metafora delle tre bambole e quella della bambola spezzata.
Metafora delle tre bambole: date tre bambole, di cui una di acciaio, una di plastica ed una
di vetro, tutte e tre colpite con un martello, riporteranno dei danni diversi a seconda del
materiale di cui sono fatte gli individui reagiscono in modo diverso a circostanze uguali a
seconda del loro livello di vulnerabilità (qui rappresentato dal materiale di ogni bambola).
Metafora della bambola spezzata: se una bambola cade a terra, si rompe più o meno
facilmente in base alla natura del suolo, alla forza con cui è stata fatta cadere ed al
materiale di cui è fatta la natura del suolo rappresenta l’ambiente in cui l’individuo è
inserito, la forza con cui cade la bambola l’impatto dell’evento negativo ed il materiale il
livello di vulnerabilità individuale.
La resilienza: ambiti di studio
Se un tempo ci si è focalizzati, principalmente, sullo studio dell’adattamento dei bambini figli di
genitori con una patologia psichiatrica, gli ambiti di interesse sono, oggi, molto più vari: povertà,
guerre e conflitti armati, separazione/divorzio dei genitori, maltrattamento, morte dei genitori,
catastrofi naturali, atti terroristici, malattie ed ospedalizzazione, immigrazione ed appartenenza a
minoranze etniche, life events stressanti, resilienza nell’adolescenza e resilienza educativa od
accademica (intesa come abilità di avere un buon funzionamento scolastico anche in condizioni
negative).
Implicazioni pratiche del concetto di resilienza
Nella progettazione di programmi finalizzati a direzionare lo sviluppo verso esiti adattivi, la
tendenza attuale è quella di potenziare l’individuo e le sue risorse, più che quella di diminuire i
possibili disagi. Le strategie di intervento si dividono in:
- risk-focused azioni di prevenzione, cioè programmi che mirano a ridurre l’esposizione ad
eventi avversi;
- asset-focused programmi che vanno a far leva sulle risorse protettive (per esempio,
l’autostima);
- process-oriented interventi finalizzati a migliorare i processi adattivi più importanti (per
esempio, la formazione di relazioni interpersonali positive).
Alcuni interventi possono essere inseriti all’interno di programmi complessi e, quindi, rientrare in
più di una delle categorie sopra elencate.
Fondamentale obiettivo della ricerca è quello di trovare una sempre migliore applicazione delle
conoscenze nuove e già acquisite nell’ambito pratico di questi interventi.
CAPITOLO 2 - LA RESILIENZA PSICOLOGICA
Definizioni generali
Negli anni ’80, il dibattito scientifico dovuto alla nascita della scienza della resilienza ha sottratto
questo costrutto al dominio del mito, differenziando la resilienza dall’invulnerabilità, a cui spesso
veniva equiparata. RESILIENZA INVULNERABILITA’
C’è una soglia soggettiva di resistenza E’ assoluta
allo stress
Fattori di rischio diversi richiedono E’ indipendente dalla situazione
diversi meccanismi protettivi
E’ un processo dinamico, derivante Costituisce una caratteristica interna
dall’interazione tra fattori individuali e all’individuo
contestuali
E’ soggetta a cambiamenti evolutivi Non muta nel tempo
La natura della resilienza: tra fattori individuali e ambientali
Persiste una certa confusione semantica circa il costrutto, dal momento che psicologi e psichiatri
utilizzano il termine “resilienza” per far riferimento a concetti diversi. Tuttavia, a partire dagli anni
’90, i ricercatori hanno cominciato a definirla unicamente in quanto processo dinamico. Per cui, per
parlare correttamente di resilienza, sono necessarie due condizioni: un’esposizione ad eventi avversi
ed un adattamento positivo.
Lo studio della resilienza si è focalizzato, inizialmente, sui fattori individuali: negli anni ’50, i
coniugi Block hanno introdotto il concetto di Ego-resiliency contrapposto a quello di Ego-
brittleness (fragilità dell’Io, intesa come scarse flessibilità ed adattabilità). Successivamente, sono
stati maggiormente presi in considerazione anche i fattori ambientali e Grotberg ha identificato tre
fattori che descrivono la resilienza: 1) I AM (risorse individuali); 2) I HAVE (fonti di supporto
esterne); 3) I CAN (abilità e competenze, inerenti la sfera delle relazioni interpersonali). In
particolare, lo studio delle risorse esterne che favoriscono o meno un adattamento positivo pone il
focus su tre tipi di contesti: la famiglia, la scuola e la comunità. In ognuno di essi, caratteristiche
che promuovono la resilienza sono:
- relazio