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IL WELFARE FRAMMENTARIO. LE ARTICOLAZIONI REGIONALI DELLE POLITICHE (di Kazepov Barberis)
L'illusione riformista delle politiche di assistenza in Italia
1.1 La path dependence italiana delle politiche di assistenza
Il settore dell'assistenza è stato fortemente interessato dai cambiamenti che il sistema di welfare ha visto nei decenni scorsi, in particolare per quel che riguarda il processo di potenziamento delle autonomie territoriali avviato dal D.P.R. 616/1977. Ciò ha permesso nella gestione degli interventi sociali anche in regioni dove non c'era una tradizione consolidata di questo genere.
C'è da dire però che i sistemi regionali mostrano una resistenza al cambiamento. Quindi si è andato determinando nel tempo che le situazioni di godimento di una qualche forma di prestazione sono subordinate:
- All'appartenenza a una delle categorie protette
- Sorte di rientrare nell'ambito territoriale
I 3 criteri categoriale, temporale e territoriale, a volte finiscono per sovrapporsi introducendo forti elementi di indeterminatezza rispetto alla garanzia di condizioni minime di diritti essenziali.
Oltre a queste caratteristiche un altro fattore di path dependence che può essere individuato nella specificità dei contesti locali e nelle diverse condizioni di partenza. È da notare che in nessun paese europeo esistono differenze territoriali così marcate come in Italia.
Guardando ai divari territoriali nella diffusione della povertà si nota come nel 2003 l'incidenza della povertà in Calabria e in Basilicata era pari al 24,2% e 25,6% a fronte del 4,5% della Lombardia e del 4,2% del Veneto. Nel 2011 la distanza tra queste regioni in termini di incidenza della povertà è rimasta più o meno immutata.
La povertà è il terreno su cui si manifestano le maggiori disuguaglianze.
territoriali e si registrano gli effetti della "giungla categoriale" ma anche di una situazione in cui a parità di bisogno, a seconda di dove si vive si ha o meno diritto, o anche solo accesso a qualche misura di sostengo, producendo un circolo vizioso in cui la spesa sociale cresce dove il contesto è più ricco e non dove il bisogno è più grave.
Quindi, possiamo dire che le politiche regionali di contrasto alla povertà sperimentate nelle regioni meridionali non possono assicurare equità di trattamento degli aventi diritto né efficacia in termini di uscita dalla condizione di bisogno.
I provvedimenti regionali sul tema cercano di coprire il vuoto lasciato dalla sperimentazione nazionale del reddito minimo di inserimento, sostituita da una nuova misura: reddito di ultima istanza che prevedeva una l'attribuzione compartecipazione ridotta da parte dello stato e alle singole regioni dei criteri di individuazione dei beneficiari.
e delle norme attuative. Questa misura non venne mai realizzata e fu archiviata dalla Corte Costituzionale per l'illegittimità dell'intervento sociale. Il dibattito sulla povertà ha avuto poca influenza sugli orientamenti politici dei diversi governi che si sono succeduti e che hanno continuato ad affidare il compito di contrastare la povertà soprattutto al welfare fiscale, disattendendo anche le indicazioni della commissione di indagine sull'esclusione sociale. 1.2 Le tendenze comuni dell'intervento La frammentazione territoriale e la categorialità in tema di povertà si intrecciano con orientamenti più generali di politica sociale che possono essere rintracciati in altri sistemi di assistenza europei. Le politiche e le azioni richiedono come contropartita l'impegno del beneficiario a dare prova di responsabilità e a superare la condizione di bisogno, ma ciò comporta il rischio di stigmatizzazione in quanto nonviene quasi mai presa in considerazione la scarsità delle risorse messe a disposizione dal contesto in cui i poveri vivano e che riguarda non solo il mercato del lavoro ma lo stesso sistema di welfare. Nella gestione dei servizi l'accesso alle risorse, invece di costituire una precondizione per l'integrazione dil'autonomia, soggetti che non sono in grado di conseguire da soli diventa un premio per chi dimostra di avere le caratteristiche per riuscire a conseguire gli obiettivi di emancipazione che gli vengono posti come traguardo da raggiungere. Nel valutare la disponibilità del beneficiario a collaborare andrebbero presi in considerazione i contenuti dello scambio e le caratteristiche del lavoro offerto. Ci possono essere anche buone ragioni per rifiutare di uscire da un programma di assistenza per svolgere un lavoro a termine e poco retribuito, se non si ha la certezza di rientrare nel programma al cessare del lavoro o se esso prevede una lunga istruttoria.In molti casi il desiderio di autosufficienza o il bisogno di riacquistare il rispetto degli altri attraverso qualsiasi lavoro inducono ad accettare lavori dequalificati e a qualsiasi condizione. Un'altra deriva è quella di una specie di regressione verso forme di neofilantropia e neopaternalismo di cui sono esempi l'economia del dono o il conservatorismo compassionevole dell'intervento. Questi orientamenti sono serviti soprattutto a giustificare una maggiore selettività e la riduzione delle risorse pubbliche destinate all'assistenza. 1.3 Vecchi e nuovi decentramenti L'area dell'assistenza rappresenta un caso complesso anche in virtù del fatto che l'unica legge nazionale che disciplina la materia viene dopo un vuoto legislativo durato più di un secolo. È necessario considerare da un lato il cambiamento prodotto da riforme con solo una componente assistenziale e dall'altro quello avvenuto su scala regionale che ha.anticipato la riforma della legge quadro. Al centro di queste ricostruzioni c'è da una parte la distanza con gli altri paesi europei e dall'altra l'accento sui processi di decentralizzazione che prendono avvio con il D.P.R. 616/1977 che trasferisce la competenza legislativa in materia di assistenza sociale alle regioni. In questo quadro è da considerare anche la riforma del titolo V della Costituzione del 2001. Nell'arco dei 30 anni che separano le 2 riforme si collocano provvedimenti opposti, ispirati ai principi dell'universalismo dell'equità e di trattamento tra cui emerge la legge 328/2000 che ha una portata rivoluzionaria per il welfare italiano, tale da far parlare di una stagione di nuove politiche sociali. Le riforme avviate dalla metà degli anni '70 e finite con la creazione del sistema sanitario nazionale (1978) sembrano essere ispirate da una filosofia di fondo che impronta il sistema di welfare ad unIl testo fornito descrive un modello universalistico fondato sul pieno riconoscimento della cittadinanza sociale, sulla diffusione di una dotazione minima dei servizi sociali e sulla territorializzazione dell'intervento, creando le basi per un vero e proprio welfare locale all'interno di un quadro universalistico in cui i cittadini maturano un diritto sancito sulla base della nazionalità.
La legge 328/2000, da un lato, tende ad assicurare l'equità di trattamento dei bisogni sociali su scala nazionale e, dall'altro, promuove il welfare locale implicitamente attraverso l'istituzione dei piani sociali di zona. L'impatto della riforma del titolo V sulla legge 328/2000 è tale da far parlare di snaturamento della legge stessa nel suo spirito universalistico e nella promozione della cittadinanza.
Ancora una volta ci troviamo di fronte a un'illusione riformista simile a quella che aveva caratterizzato la prima grande stagione di riforme degli anni '60.
’70.L’aspirazione al potenziamento dei sistemi locali di welfare non è una novità per il nostro paese in quanto suilivelli territoriali più micro si è da sempre scaricato il peso di interventi non programmati su scala nazionale.Il welfare locale, infatti, ha avuto una funzione di supplenza nei confronti del welfare nazionale e regionale.Sull’aumento della distanza tra i 2 welfare ha avuto un ruolo fondamentale la devoluzione di funzioni aregionale che ha lasciato “sole” le classi dirigenziali.livello l’Italia un’occasione l’ultimaSembra quasi che per ogni cambiamento sia stato persa e occasione chepotrebbe andare persa è quella che riguarda la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali allaluce della legge 42/2009 sul federalismo fiscale che impone una ridefinzione dei criteri per la determinazionedella spesa, sulla base di fabbisogni, costi standard e stabilità di risorse nel tempo.
Il rischio è quello di assumere come livelli essenziali quelli esistenti che non integrano erogazioni monetarie e servizi e contribuiscono a istituzionalizzare ulteriormente lo status quo. L'identificazione di welfare regionali all'identificazione è possibile chiedersi se sia possibile pervenire di sistemi regionali di assistenza, utilizzando le categorie con le quali sono stati classificati i regimi dei diversi paesi europei. Lodemel e Schulte individuano una serie di dimensioni quali il rapporto tra trasferimenti di denaro e servizi in natura, il grado di centralizzazione degli interventi, la presenza di clausole di attivazione e il livello di selettività. Sulla base di queste dimensioni essi elaborano una tipologia che distingue tra regime istituzionale, differenziato, residuale e parzialmente differenziato. Il regime istituzionale è incentrato su istituzioni fortemente centralizzate che prevedono prestazioni uniformi, separate da forme diaccompagnamento sociale. Il regime differenziato affianca prestazioni categoriali a prestazioni di tipo universale, amministrate localmente, ma sganciate da forme di accompagnamento sociale. Il regime residuale si basa su schemi locali con una forte enfasi sul controllo sociale e il trattamento. Il regime parzialmente differenziato si basa su schemi categoriali per i soggetti non abili al lavoro, con un richiamo non vincolante a obiettivi di controllo sociale e di trattamento. Successivamente un gruppo di studiosi coordinati da Ian Gough ha riformato in modo più dettagliato la tipologia di regimi assistenziali prendendo in considerazione anche il numero di beneficiari, la generosità dei trasferimenti, la severità della prova dei mezzi e il grado di discrezionalità. Questa classificazione individua 8 diversi regimi assistenziali. Questa classificazione però rende spesso difficile la comparazione tra regimi. Si può tentare di riflettere sulle differenze.tra le regioni italiane. Nel set di dati utilizzati per queste classificazioni si rileva una centratura sul fronte dell'offerta di interventi e servizi.