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Sbarbaro, Vittorini, Alvaro… con il risultato di traduzioni letterariamente esemplari ma un po'
impacciate sulla scena. Alla luce di queste osservazioni che vanno analizzate le mosse di Bompiani,
che sentiva la necessità di conciliare un alto profilo stilistico con l’efficacia drammaturgica.
Nel 1946 si dà dunque avvio alla collana “Pegaso teatrale”, gemella dell’omonima riservata alla
narrativa, essi si inaugura con due atti unici di Sartre (“Le mosche” e “Porta chiusa”) e uno di
Camus (“Il malinteso”) e si orienta verso le ultime tendenze d’oltralpe. Le relazioni tra cultura
italiana e francese vivono un periodo felice. Il controllo delle norme sui diritti d’autore non è affatto
agevole, infatti le due opere vengono pubblicate sulla neonata rivista “Sipario” (non ancora di
proprietà di Bompiani).
In “Pegaso teatrale”, nelle intenzioni, deve raccogliersi una scelta di testi teatrali di tutti i tempi e di
tutti i paesi, vi confluiscono alcune opere di Sofocle, Eschilo ed Euripide tradotte da Quasimodo e
Sbarbaro, opere di Pedro Calderon de la Barca e di Felix Lope de Vega, e infine opere di Molière.
Del teatro contemporaneo: “Assassinio alla cattedrale” di Eliot e le opere degli autori francesi più in
voga (Anuilh, Salacrou…).
Questi numeri di “Pegaso” segnano l’inizio di una stagione legata all’agenzia “Ulisse” e
all’acquisizione di “Sipario” nel 1947. Dopo i traduttori-scrittori prediletti durante la direzione
Vittorini, passa a traduttori-specialisti, vale a dire registi o critici teatrali.
L’invito agli scrittori italiani della scuderia Bompiani è raccolto in primis da Bontempelli, il quale
preme per la pubblicazione integrale della sua produzione teatrale, ma né verrà pubblicato presso la
collana “Pegaso” una sola tragedia “Venezia salvata”, che verrà poi rappresentata a Venezia nel
1949.
Anche Savinio, critico drammatico, scrive per il teatro e sotto l’ala di Bompiani pubblicherà la sua
opera “Alcesti di Samuele” andata in scena al Piccolo di Milano nel 1950 con reazioni della critica
contrastanti.
Anche Alvaro promette alla collana “Pegaso teatrale” il suo contributo, con le opere “Il caffè dei
naviganti” e “Medea”, che nel 1949 verrà rappresentato a Milano da Pavlova.
“Sipario”: Dagli esordi genovesi alla direzione Bompiani:
Il mensile “Sipario” nasce a Genova nel 1946 da un’iniziativa diretta da Gugliemino e Ivo Chiesa,
ed è edita dall’associazione culturale “L’isola”. Genova alla fine della guerra è una città
semidistrutta e priva di sala teatrale. Il pubblico è rapidamente aggiornato sul repertorio poco prima
proibito dalle numerose imprese editoriali e progetti che si moltiplicano nei primi anni del dopo
guerra, ma già nel 1946 le imprese editoriali meno solide sono messe in ginocchio dall’aumento del
costo della carta e della manodopera. La rivista è inaugurata con le opere del teatro esistenzialista di
Sartre e Camus, i cui diritti d’autore appartenevano però a Bompiani, che invece di pretendere i
soldi per i diritti arretrati, acquistò l’intera rivista. 9
Nel gennaio 1947 il mensile “Sipario” esce sotto la sigla della Bompiani a Milano, con lievi
modifiche. Nei cinque anni successivi, l’editore rimane dietro le quinte lasciando a Chiesa libertà di
azione, lavorando per un rinnovamento strutturale dell’organizzazione teatrale italiana, non a caso
fin dai primi numeri sono frequenti gli interventi di Grassi a favore della gestione municipale dei
teatri.
Il lettore di “Sipario” si imbatte in corsivi garbati ma pungenti. Nella scelta e nel taglio degli articoli
che alimentano i primi numeri della rivista si avverte l’impaziente desiderio di affrontare temi,
tendenze, protagonisti del teatro più recente. In merito ai primi copioni stampati la scelta cade in
prevalenza sui drammaturghi stranieri francesi e americani (Sartre, Camus, Marcel, Shaw, Wilder,
Saroyan…). Di contro nonostante il programmatico sostegno al repertorio di casa, si deve attendere
il numero di marzo-aprile 1947 per leggere un’opera italiana (“Ispezione” di Betti, il più pubblicato,
seguiranno le opere di Alvaro, Bompiani, Savinio, De Filippo Fabbri, Giovanetti).
Di teatro italiano comunque si discute molto, anche se politicamente non schierata “Sipario” è a
tutti gli effetti una rivista impegna e militante, le questioni cruciali su cui si concentra sono
essenzialmente tre:
• Problema delle strutture, connesso alla costruzione o ricostruzione delle sale;
• Strategie di promozione;
• Censura.
Negli anni che seguono la fine del conflitto alcuni grandi municipi sono chiamati a discutere al
restauro o al rifacimento delle sale, in questi anni sorgono i “Piccoli” teatri, “Sipario” è in prima
linea a sostenere l’esperimento milanese. Un’altra preoccupazione è la polarizzazione della vita
teatrale nei maggiori centri: Roma e Milano. La rivista auspica l’intervento delle energie cittadine
con il solo obbiettivo di rianimare la vita teatrale dei centri minori.
Un altro tema su cui il mondo del teatro si interroga è quello delle sovvenzioni statali, che in molte
occasioni sono al centro di sprechi e disordini gestionali, che “Sipario” è sempre pronto a
denunciare. Al tema degli aiuti finanziari è legata la polemica nei confronti della discriminazione
subita dal teatro di prosa rispetto alla lirica, largamente sostenuta dallo Stato. La questione delle
sovvenzioni è legata anche all’impopolarità del repertorio italiano, e della convergenza del pubblico
nelle sale cinematografiche, che provoca anche un aumento dei prezzi nelle sale, che “Sipario” non
si stanca mai di denunciare.
Ultima questione emersa è quella della censura, che la rivista condanna senza sfumature.
Va ricordato, infine, che “Sipario” si dedica costantemente al settore della musica e del cinema,
completano la rivista alcune rubriche fisse in cui vengono raccolte informazioni su palcoscenici
delle maggiori piazze europee, e raccolte di recensioni degli spettacoli più significativi.
Con gli anni “Sipario” si fa più ricca e più elegante passando da 150 a 200 a 300 lire, migliorando
di volta in volta la qualità della carta, il numero delle illustrazioni ed il numero di pagine.
Una svolta si ha nel 1951 quando Chiesa lascia la direzione, che verrà raccolta da Bompiani stesso
che la manterrà per vent’anni. Negli anni della direzione di “Sipario” si realizza un saldo intreccio
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tra impegno editoriale, attività teatrale e impresariato culturale, una vera osmosi di imprenditorialità
e mecenatismo.
Il teatro:
5. L’arte teatrale d’inizio secolo: capocomici, mattatori e compagnie del “teatro
1. all’antica italiana”. I primi tentativi di teatri stabili:
La peculiarità del teatro italiano d’inizio Novecento risiede nel suo immobilismo, mentre il teatro
borghese naturalista continuava a fronteggiare la concorrenza francese, il sistema teatrale stentava a
produrre novità. La lezione dei grandi attori (Salvini, Rossi, la Ristori), si rifletteva ancora nella
generazione di attori a cavallo tra i due secoli.
Impaniati in un sistema sempre più pesantemente condizionato da esigenze economiche e di
imprese, l’industria dello spettacolo ha la sua forza nelle “compagnie di giro”, con un repertorio per
soddisfare l’aspettativa dell’Italia giolittiana, che chiedeva spettacoli di facile consumo.
Contro lo scadimento dell’arte teatrale nacquero e si moltiplicarono perciò i tentativi di compagnie
stabili (Lanza al Politeama di Torino, Novelli al teatro Valle di Roma, Boutet al teatro Argentina di
Roma), tutte compagnie che non riuscirono a sopravvivere per più di qualche stagione.
Itinerari della drammaturgia del primo Novecento: l’eredità ottocentesca negli
2. autori borghesi-naturalisti. Proposte alternative: il teatro d’impegno.
D’Annunzio e il sodalizio con la Duse. La progettualità futurista:
Dal primo decennio del Novecento in poi, sulle scene italiane si afferma con vigore il repertorio
francese, mentre imperversa la concorrenza di generi di spettacoli diversi: cinematografo,
melodramma, operetta, riviste. La drammaturgia vede affermarsi autori borghesi-naturalisti come:
Rovetta, Giacosa, Praga, Benelli.
A rompere la monotonia prima dell’avvento di Pirandello, fu Bracco, che sperimentò temi
sentimentali e drammi a tesi, ma il suo miglior teatro si inscrive nella poetica intimista
dell’inespresso e del silenzio, la sua opera più riuscita fu “Piccola fonte”, anche Butti propose un
repertorio denso di idee e d’impegno, ispirandosi ad Ibsen, anche se più incline al moralismo. Alla
ricerca di una via teatrale diversa da quella verista partecipò anche Morsetti, che lesse in chiave
moderna il mito classico, svuotandolo di eroismo.
Antagonista della degradazione verista fu soprattutto D’Annunzio, che passò dall’iniziale
disinteresse per il teatro, a un crescente impegno verso il mondo dello spettacolo, determinato
dall’incontro con la Duse. I due condividevano il progetto di un teatro d’arte che sostituisse il piatto
repertorio naturalista, improntato anzitutto al recupero del senso tragico della classicità, la loro idea
della rifondazione teatrale s’incarno nel superamento dei ruoli, sostituendo la somiglianza fisica
dell’attore con il personaggio. Lo stretto rapporto tra i due ebbe inizio nel 1897 con la prima 11
parigina del “Sogno di un mattino di primavera”, nel 1901 la Duse fu la protagonista della “Città
morta”, ma un successo straordinario fu riservato a “La figlia di Iorio”, dove però il ruolo femminile
protagonista fu interpretato da Irma Gramatica. La riforma scenica dannunziana era incentrata sulla
resa dello spettacolo, inteso come complesso di movimenti, scenografia, costumi, danza, più che
sull’arte dell’attore.
Il vero vento di novità fu espresso dalla drammaturgia futurista, che minava alle fondamenta il
teatro di intrattenimento, il protagonista fu Marinetti, che si scagliò contro la prosa borghese pigra e
sonnolenta, auspicando un teatro che rispecchiasse il moderno dinamismo dell’era industriale. Per
primi i futuristi sulla scena dell’avanguardia europea, ristabilirono il coinvolgimento del pubblico,
con la soppressione della “quarta parete”. Marinetti nei suoi manifesti teorizzò la vo